25 Marzo 2018: Domenica delle Palme
Domenica delle Palme
Letture: Isaia 50,4-7; Salmo 21; Filippesi 2,6-11; Marco 14,1-15,47
Anno B
[...] Allora Giuda Iscariota, uno dei Dodici, si recò dai capi dei sacerdoti per consegnare loro Gesù. Quelli, all'udirlo, si rallegrarono e promisero di dargli del denaro. Ed egli cercava come consegnarlo al momento opportuno. Il primo giorno degli Àzzimi, quando si immolava la Pasqua, i suoi discepoli gli dissero: «Dove vuoi che andiamo a preparare, perché tu possa mangiare la Pasqua?». Allora mandò due dei suoi discepoli, dicendo loro: «Andate in città e vi verrà incontro un uomo con una brocca d'acqua; seguitelo. Là dove entrerà, dite al padrone di casa: "Il Maestro dice: Dov'è la mia stanza, in cui io possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli?". Egli vi mostrerà al piano superiore una grande sala, arredata e già pronta; lì preparate la cena per noi». I discepoli andarono e, entrati in città, trovarono come aveva detto loro e prepararono la Pasqua. [...]
Gesù entra a Gerusalemme, non solo un evento storico, ma una parabola in azione. Di più: una trappola d'amore perché la città lo accolga, perché io lo accolga. Dio corteggia la sua città, in molti modi. Viene come un re bisognoso, così povero da non possedere neanche la più povera bestia da soma. Un Dio umile che non si impone, non schiaccia, non fa paura. «A un Dio umile non ci si abitua mai» (papa Francesco).
Il Signore ha bisogno, ma lo rimanderà qui subito. Ha bisogno di quel puledro d'asino, di me, ma non mi ruberà la vita; la libera, invece, e la fa diventare il meglio di ciò che può diventare. Aprirà in me spazi al volo e al sogno.
E allora: Benedetto Colui che viene nel nome del Signore. È straordinario poter dire: Dio viene. In questo paese, per queste strade, in ogni casa che sa di pane e di abbracci, Dio viene, eternamente incamminato, viaggiatore dei millenni e dei cuori. E non sta lontano.
La Settimana Santa dispiega, a uno a uno, i giorni del nostro destino; ci vengono incontro lentamente, ognuno generoso di segni, di simboli, di luce. La cosa più bella da fare per viverli bene è stare accanto alla santità profondissima delle lacrime, presso le infinite croci del mondo dove Cristo è ancora crocifisso nei suoi fratelli. Stare accanto, con un gesto di cura, una battaglia per la giustizia, una speranza silenziosa e testarda come il battito del cuore, una lacrima raccolta da un volto.
Gesù entra nella morte perché là è risucchiato ogni figlio della terra. Sale sulla croce per essere con me e come me, perché io possa essere con lui e come lui. Essere in croce è ciò che Dio, nel suo amore, deve all'uomo che è in croce. Perché l'amore conosce molti doveri, ma il primo è di essere con l'amato, stringersi a lui, stringerlo in sé, per poi trascinarlo in alto, fuori dalla morte.
Solo la croce toglie ogni dubbio. Qualsiasi altro gesto ci avrebbe confermato in una falsa idea di Dio. La croce è l'abisso dove un amore eterno penetra nel tempo come una goccia di fuoco, e divampa. L'ha capito per primo un pagano, un centurione esperto di morte: costui era figlio di Dio. Che cosa l'ha conquistato? Non ci sono miracoli, non risurrezioni, solo un uomo appeso nudo nel vento. Ha visto il capovolgimento del mondo, dove la vittoria è sempre stata del più forte, del più armato, del più spietato. Ha visto il supremo potere di Dio che è quello di dare la vita anche a chi dà la morte; il potere di servire non di asservire; di vincere la violenza, ma prendendola su di sé.
Ha visto, sulla collina, che questo mondo porta un altro mondo nel grembo. E il Crocifisso ne possiede la chiave.
18 Marzo 2018: V Domenica di Quaresima
V Domenica di Quaresima
Letture: Geremia 31,31-34; Salmo 50; Ebrei 5,7-9; Giovanni 12,20-33
Anno B
In quel tempo, tra quelli che erano saliti per il culto durante la festa c'erano anche alcuni greci. Questi si avvicinarono a Filippo, che era di Betsàida di Galilea, e gli domandarono: «Signore, vogliamo vedere Gesù». Filippo andò a dirlo ad Andrea, e poi Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesù. Gesù rispose loro: «È venuta l'ora che il Figlio dell'uomo sia glorificato. In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore. Se uno serve me, il Padre lo onorerà. Adesso l'anima mia è turbata; che cosa dirò? Padre, salvami da quest'ora? Ma proprio per questo sono giunto a quest'ora! Padre, glorifica il tuo nome». Venne allora una voce dal cielo: «L'ho glorificato e lo glorificherò ancora!». La folla, che era presente e aveva udito, diceva che era stato un tuono. Altri dicevano: «Un angelo gli ha parlato». Disse Gesù: «Questa voce non è venuta per me, ma per voi. Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori [...].
Vogliamo vedere Gesù. Grande domanda dei cercatori di sempre, domanda che è mia. La risposta di Gesù dona occhi profondi: se volete capire me, guardate il chicco di grano; se volete vedermi, guardate la croce. Il chicco di grano e la croce, sintesi umile e vitale di Gesù. Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Una frase difficile e anche pericolosa se capita male, perché può legittimare una visione doloristica e infelice della religione.
Un verbo balza subito in evidenza per la sua presa emotiva: se non muore, se muore. E pare oscurare tutto il resto, ma è il miraggio ingannevole di una lettura superficiale. Lo scopo verso cui la frase converge è "produrre": il chicco produce molto frutto. L'accento non è sulla morte, ma sulla vita. Gloria di Dio non è il morire, ma il molto frutto buono. Osserviamo un granello di frumento, un qualsiasi seme: sembra un guscio secco, spento e inerte, in realtà è una piccola bomba di vita. Caduto in terra, il seme non marcisce e non muore, sono metafore allusive. Nella terra non sopraggiunge la morte del seme, ma un lavorio infaticabile e meraviglioso, è il dono di sé: il chicco offre al germe (ma seme e germe non sono due cose diverse, sono la stessa cosa) il suo nutrimento, come una madre offre al bimbo il suo seno. E quando il chicco ha dato tutto, il germe si lancia verso il basso con le radici e poi verso l'alto con la punta fragile e potentissima delle sue foglioline. Allora sì che il chicco muore, ma nel senso che la vita non gli è tolta ma trasformata in una forma di vita più evoluta e potente.
La seconda immagine dell'auto-presentazione di Gesù è la croce: quando sarò innalzato attirerò tutti a me. Io sono cristiano per attrazione, dalla croce erompe una forza di attrazione universale, una forza di gravità celeste: lì è l'immagine più pura e più alta che Dio ha dato di se stesso.
Con che cosa mi attira il Crocifisso? Con i miracoli? Con lo splendore di un corpo piagato? Mi attira con la più grande bellezza, quella dell'amore. Ogni gesto d'amore è sempre bello: bello è chi ami e ti ama, bellissimo è chi, uomo o Dio, ti ama fino all'estremo. Sulla croce l'arte divina di amare si offre alla contemplazione cosmica. «A un Dio umile non ci si abitua mai» (papa Francesco), a questo Dio capovolto che scompiglia le nostre immagini ancestrali, tutti i punti di riferimento con un chicco e una croce, l'umile seme e l'estremo abbassamento: Dio ama racchiudere / il grande nel piccolo: / l'universo nell'atomo / l'albero nel seme / l'uomo nell'embrione / la farfalla nel bruco / l'eternità nell'attimo / l'amore in un cuore / se stesso in noi.
11 Marzo 2018: IV Domenica di Quaresima, in "Laetare"
IV Domenica Quaresima in "Laetare"
Letture: 2 Corinzi 36,14-16.19-23; Salmo 136; Efesini 2, 4-10; Giovanni 3, 14-21
Anno B
In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo: «Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell'unigenito Figlio di Dio.
E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio».
Dio ha tanto amato il mondo, versetto centrale del Vangelo di Giovanni, versetto dello stupore che rinasce ogni volta, per queste parole buone come il miele, tonificanti come una camminata in riva al mare, fra spruzzi d'onde e aria buona respirata a pieni polmoni; parole da riassaporare ogni giorno e alle quali aggrapparci forte in tutti i passaggi della vita, in ogni caduta, in ogni notte, in ogni delusone.
Dio ha così tanto amato... e la notte di Nicodemo, e le nostre notti si illuminano. Qui possiamo rinascere. Ogni giorno. Rinascere alla fiducia, alla speranza, alla serena pace, alla voglia di amare, di lavorare e creare, di custodire e coltivare persone e talenti e creature, tutto intero il piccolo giardino che Dio mi ha affidato.
Non solo l'uomo, ma è il mondo che è amato, la terra è amata, e gli animali e le piante e la creazione intera. E se egli ha amato la terra, anch'io la devo amare, con i suoi spazi, i suoi figli, il suo verde, i suoi fiori.. E se Egli ha amato il mondo e la sua bellezza fragile, allora anche tu amerai il creato come te stesso, lo amerai come il prossimo tuo: «mio prossimo è tutto ciò che vive» (Gandhi).
La rivelazione di Gesù è questa: Dio ha considerato il mondo, ogni uomo, questo mio niente cui però ha donato un cuore, più importante di se stesso. Per acquistare me ha perduto se stesso. Follia d'amore.
Dio ha amato: la bellezza di questo verbo al passato, per indicare non una speranza o una attesa, ma una sicurezza, un fatto certo, e il mondo intero ne è intriso: «il nostro guaio è che siamo immersi in un oceano d'amore, e non ce ne rendiamo conto» (G. Vannucci). Tutta la storia biblica inizia con un "sei amato" e termina con un "amerai" (P. Beauchamp). Noi non siamo cristiani perché amiamo Dio. Siamo cristiani perché crediamo che Dio ci ama.
Dio non ha mandato il Figlio per giudicare il mondo, ma perché il mondo sia salvato, perché chi crede abbia la vita. A Dio non interessa istruire processi contro di noi, non dico per condannare o per pareggiare i conti, ma neppure per assolverci. La vita degli amati da Dio non è a misura di tribunale, ma a misura di fioritura e di abbraccio, nel paradigma della pienezza.
Perché il mondo sia salvato: salvare vuol dire conservare, e nulla andrà perduto, non un sospiro, non una lacrima, non un filo d'erba; non va perduta nessuna generosa fatica, nessuna dolorosa pazienza, nessun gesto di cura per quanto piccolo e nascosto: Se potrò impedire a un Cuore di spezzarsi, non avrò vissuto invano. Se potrò alleviare il Dolore di una Vita o lenire una Pena, o aiutare un Pettirosso caduto a rientrare nel suo nido non avrò vissuto invano. (Emily Dickinson).
4 Marzo 2018: III Domenica di Quaresima
III Domenica di Quaresima
Letture: Esodo 20,1-17; Salmo 18; 1 Corinzi 1,22-25; Giovanni 2,13-25
Anno B
Si avvicinava la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete. Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori del tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: «Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!». I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: «Lo zelo per la tua casa mi divorerà». Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: «Quale segno ci mostri per fare queste cose?». Rispose loro Gesù: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere». Gli dissero allora i Giudei: «Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?». Ma egli parlava del tempio del suo corpo. [...]
Gesù entra nel tempio: ed è come entrare nel centro del tempo e dello spazio, nel fulcro attorno al quale tutto ruota. Ciò che ora Gesù farà e dirà nel luogo più sacro di Israele è di capitale importanza: ne va di Dio stesso. Gesù si prepara una frusta e attraversa la spianata come un torrente impetuoso, travolgendo uomini, animali, tavoli e monete. I tavoli rovesciati, le sedie capovolte, le gabbie portate via mostrano che il capovolgimento portato da Gesù è totale.
Vendono buoi per i ricchi e colombe per i sacrifici dei poveri. Gesù rovescia tutto: è finito il tempo del sangue per dare lode a Dio. Come avevano gridato invano i profeti: io non bevo il sangue degli agnelli, io non mangio la loro carne; misericordia io voglio e non sacrifici (Os 6,6). Gesù abolisce, con il suo, ogni altro sacrificio; il sacrificio di Dio all'uomo prende il posto dei tanti sacrifici dell'uomo a Dio.
Gettò a terra il denaro, il dio denaro, l'idolo mammona, vessillo innalzato sopra ogni cosa, installato nel tempio come un re sul trono, l'eterno vitello d'oro è sparso a terra, smascherata la sua illusione.
E ai venditori di colombe disse: non fate della casa del Padre, una casa di mercato. Dio è diventato oggetto di compravendita. I furbi lo usano per guadagnarci, i devoti per guadagnarselo. Dare e avere, vendere e comprare sono modi che offendono l'amore. L'amore non si compra, non si mendica, non si impone, non si finge.
Non adoperare con Dio la legge scadente del baratto dove tu dai qualcosa a Dio perché lui dia qualcosa a te. Come quando pensiamo che andando in chiesa, compiuto un rito, accesa una candela, detta quella preghiera, fatta quell'offerta, abbiamo assolto il nostro dovere, abbiamo dato e possiamo attenderci qualche favore in cambio.
Così siamo solo dei cambiamonete, e Gesù ci rovescia il tavolo. Se crediamo di coinvolgere Dio in un gioco mercantile, dobbiamo cambiare mentalità: Dio non si compra ed è di tutti. Non si compra neanche a prezzo della moneta più pura. Dio è amore, chi lo vuole pagare va contro la sua stessa natura e lo tratta da prostituta. «Quando i profeti parlavano di prostituzione nel tempio, intendevano questo culto, tanto pio quanto offensivo di Dio» (S. Fausti): io ti do preghiere e offerte, tu mi dai lunga vita, fortuna e salute.
Casa del Padre, sua tenda non è solo l'edificio del tempio: non fate mercato della religione e della fede, ma non fate mercato dell'uomo, della vita, dei poveri, di madre terra. Ogni corpo d'uomo e di donna è divino tempio: fragile, bellissimo e infinito. E se una vita vale poco, niente comunque vale quanto una vita. Perché con un bacio Dio le ha trasmesso il suo respiro eterno.