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XIX Domenica del Tempo Ordinario

Commento al Vangelo della XIX domenica del Tempo Ordinario

Anno B

 

Anche questa domenica ci aiuterà a riflettere sul Vangelo di oggi un grande autore del passato, San Bruno di Segni.

«Intanto i Giudei mormoravano di lui perché aveva detto: “Io sono il pane disceso dal cielo” E dicevano: “Non è costui il figlio di Giuseppe, del quale conoscia­mo il padre e la madre? Come dunque può dire: Sono disceso dal cielo?”. Sembrava loro impossibile, infatti, che fosse disceso dal cielo, colui che ritenevano esse­re un uomo soltanto, e da uomini nato. E realmen­te, se altro non fosse stato, non avrebbe potuto scendere dal cielo.

Rispose Gesù e disse loro: “Non mormorate tra di voi. Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno”. Non mormorate, dice, non vogliate indurire il cuo­re. So infatti che non potete venire a me, perché il Padre non vi attira. Nessuno infatti può venire a me se non lo attira il Padre che mi ha mandato. Ed atti­ra non con la violenza, ma con l’amore. Secondo quell’espressione che dice: “Ciascuno è attratto dal proprio desiderio”. Dio, quindi, non attrae nessuno che non voglia andare, e non desideri essere salvato. Per questo sta scritto: Se vorrete e mi ascolterete, mangerete i frutti della terra, ma se non vorrete, la spada vi divorerà (Is 1, 19). Questa dunque è la cau­sa per la quale costoro non potevano venire a lui né comprenderlo, perché a loro il Signore diceva que­sto. E poiché la resurrezione dei cattivi procura la morte piuttosto che la vita, per questo il Signore di­ce dell’uomo giusto: E io lo resusciterò nell’ultimo giorno. Veramente infatti risusciterà colui che non difenderà più a lungo nulla di quelle cose che porta­no alla morte.

Segue: Sta scritto nei profeti: E tutti saranno docili a Dio. E’ infatti “docile” colui che può essere istruito. Tali infatti sono i figli della Chiesa, ai quali lo stesso Signore dice: A voi è dato di conoscere il mistero del Regno dei cieli: ma a loro non e dato, affinché vedendo non vedano, e udendo non intendano. Indurito e in­fatti il cuore di questo popolo, e sono diventati duri d’orecchi, e hanno chiuso i loro occhi, perché non veda­no con gli occhi, non sentano con gli orecchi, e si con­vertano e io li risani (Mt 13, 11-14). Il Padre, dun­que, attrae, ed al Figlio vengono, coloro che sono “docili”, che si lasciano insegnare ed istruire sulla sua fede e dottrina. Per questo anche si può dire: Tutti coloro che hanno udito il Padre e hanno impara­to, vengono a me. E’ infatti “docile” colui che ha ascoltato ed imparato; per questo non basta ascolta­re. Tutti costoro infatti ascoltavano il Padre, poiché nel Figlio ed attraverso il Figlio, il Padre parlava. Tuttavia non venivano al Figlio, poiché le cose che si dicevano non potevano né comprenderle né im­pararle.

Segue: Non che alcuno abbia visto il Padre, se non co­lui che è da Dio. Costui ha visto il Padre. Per questo non ha detto: Tutti coloro che hanno udito il Padre, perché nessuno può ascoltare o vedere il Padre nella sua propria essenza, se non solamente colui che è da Dio, che è uscito da Dio, che è Dio da Dio, luce da luce. Solamente costui vede il Padre. Per questo an­che si dice altrove: Nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio, e co­lui al quale il Figlio lo voglia rivelare (Mt 11, 27). In verità, in verità vi dico, chi crede in me ha la vita eterna. Ve l’ho detto e ancora ve lo dico, chi crede in me ha la vita eterna. Ecco io ve l’ho detto, se crede­rete sarete beati, se non crederete non rimane alcu­na scusa.

Io sono il pane della vita. I vostri padri hanno man­giato la manna nel deserto, e sono morti. Questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia. Mormorate, dice, perché vi ho detto: Io so­no il pane vivo disceso dal cielo. Ecco, ve lo dico ancora: Io sono il pane e il pane della vita e che so­no disceso dal cielo. Di questo pane, infatti, si nutrono sia gli angeli che gli uomini. E perché si dica pane della vita, egli stesso lo spiega quando dice: affinché chi ne mangia non muoia. E, certo, egli stesso è disceso dal cielo secondo la divinità: I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti. È dunque migliore questo pane della manna, poiché coloro che mangiarono la manna, sono morti; chi invece mangerà di questo pane, non mo­rirà. ... Io sono il pane vivo disceso dal cielo. Chi mangerà di questo pane vivrà in eterno», e il pane che io darò e la mia carne per la vita del mondo. Già ora, mentre il Signore spiega, comprendiamo cosa sia questo pane. Questo pane, infatti, è la carne di Cri­sto, che sull’altare della croce è stata immolata per la vita del mondo. E’ questa che la Chiesa mangia, e per questo non muore, ma vive in eterno. Il pane e il vino, infatti, che sono posti sull’altare, sono santificati, alla voce del sacerdote, dalla celeste be­nedizione, e si trasformano, nella sostanza, nella carne e nel sangue di Cristo, affinché divenga un’u­nica e medesima sostanza sia della carne che è nata dalla Vergine, sia di quella che è trasformata dal pa­ne. Questo così grande ed ammirabile sacramento iniziò quando il nostro Salvatore benedicendo il pane e il vino disse ai discepoli: Prendete e mangia­te, questo e il mio corpo e questo e il calice della nuo­va alleanza nel mio sangue (Mt 26, 26-27). Mai in­fatti qualcuno mangiò corporalmente la carne di Cristo prima di questo sacrificio. Mai qualcuno l’a­vrebbe mangiata, se questo sacrificio non fosse sta­to corporale. In ciò, dunque, si mangia e ciò che è mangiato non diminuisce; e mai se ne mangerebbe, se questo pane non venisse mutato sostanzialmente in quella carne dalla benedizione di Cristo. Questo, infatti, è il mutamento della destra dell’Altissimo. Ma chi si meraviglia che la carne di Cristo mangia­ta non diminuisca, quando è cosa certa che i cin­quemila uomini sono stati saziati dai cinque pani, e quegli stessi pani non sono diminuiti, ma piuttosto moltiplicati? ... Dici forse: “Mirabili sono queste cose”. Nulla infatti Dio ha compiuto, che non sia meraviglioso».

 

(S. Bruno di Segni, Dal Commento a Giovanni I, 17-18)

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