XXI DOmenica del Tempo Ordinario
Commento al Vangelo della XXI domenica del Tempo Ordinario
Anno B
S. Cirillo di Alessandria
Gli rispose Simon Pietro: “Signore, a chi andremo? Tu hai parole di vita eterna... A chi dunque andremo?, dice, per non dire ciò che era equivalente, e cioè: Chi ci insegnerà simili cose? oppure: Presso chi troveremo cose migliori? Tu hai parole di vita eterna, non dure, come dicono quelli, ma tali da condurre alla cosa più importante di tutte, cioè alla vita eterna, e duratura, e libera da ogni corruttibilità. Da queste parole potremo certamente capire che bisogna aderire a Cristo come unico e solo maestro, e servirci di lui come guida che ci può condurre bene alla vita eterna. Così entreremo nella celeste e divina dimora e, introdotti nella Chiesa dei primogeniti, saremo arricchiti dei beni che non possono essere compresi dall’intelligenza umana. E la stessa natura dei fatti dimostrerà chiaramente che è cosa buona e salutare voler seguire Cristo e stare eternamente con lui. Nondimeno, conosceremo ciò dalle più antiche Scritture. Quando gli Israeliti, dopo essersi liberati dalla tirannia egiziana, andavano alla terra promessa, Dio non permise che si recassero attraverso vie incerte e vaghe, né dovunque volessero dirigersi: non c’era dubbio che si sarebbero smarriti, se fossero stati privati della guida. Vedi come sia loro comandato di seguire e di levare l’accampamento con il levarsi della nube e, di nuovo, di fermarsi e trattenersi con essa? Era salutare, perciò, obbedire alla propria guida, agli Israeliti di allora, come ora a noi è salutare non separarci da Cristo. Camminare, poi, insieme a Cristo Salvatore e seguirlo, non deve essere capito in senso materiale, ma si realizza piuttosto con le opere della virtù. Rivolgendo, infatti, ad essa la loro mente, e rifiutando come dannoso di andare indietro con gli increduli, i sapientissimi discepoli giustamente dicono: Signore, a chi andremo?, come se dicessero: Staremo sempre con te, obbediremo ai tuoi comandi e ascolteremo le tue parole, non commettendo neppure una colpa lieve, né pensando con quei pazzi che è duro il tuo insegnamento, ma esclameremo piuttosto: Quanto sono dolci al mio palato le tue parole, più del miele e del favo alla mia bocca (Sal 119, 103). Quando, dunque, il santo tabernacolo andava innanzi, veniva comandato anche agli Israeliti di marciare insieme con esso, e insieme di fermarsi: con ciò Dio ci avvertiva utilmente di dover scegliere, come guida di salvezza, Dio Verbo, incarnato per noi, e di dover salire alla vita eterna obbedendo ininterrottamente ai suoi ordini. E quelli che non vollero farlo, sebbene fossero stati più volte istruiti su questo, tornarono indietro e non camminarono più insieme con lui. Perciò, molto sapientemente, il beato Pietro, dicendo: Dove possiamo andare?, vuole dire: È molto conveniente ai santi non allontanarsi, in nessun modo, da Dio, ma piuttosto stare con lui spiritualmente. La fede dei santi apostoli è meravigliosa, caldo il loro modo di confessarla, ed esimio ed eccellente il loro consenso. Infatti, essi non camminarono a ritroso, e non caddero come fu per alcuni, piuttosto ignoranti, o per quelli che giudicavano dure le parole del Salvatore; né furono chiamati a credere temerariamente per loro leggerezza, ma se ne fecero consapevoli e credettero che il maestro era ricco di parole vivificanti, ed era guida di insegnamenti celesti. Tale fede è davvero sicura, mentre quella che non ha queste prerogative si abbatte facilmente e, poiché manca di radice, cioè di certezza, subito svanisce dall’animo umano. Perciò, lo stesso Salvatore, nelle parabole, quando parlò del seminatore, disse: Un’altra parte cadde sulla roccia e, nata, seccò per mancanza di radice (Lc 8, 6), chiamando implicitamente roccia l’animo indurito che non accoglie, in nessun modo, l’insegnamento che gli viene proposto. Dunque, i sapientissimi discepoli dicono d’aver conosciuto, nella certezza della fede, e perciò di credere che egli è il Cristo, il Figlio di Dio. Inoltre capirai che queste parole hanno un contesto molto sapiente. Dicono di credere e conoscere, unendo i due verbi in uno. Era necessario credere e comprendere: infatti, per il fatto che le cose divine si apprendono per fede, non vuole dire che si deve rifiutare ogni approfondimento razionale, anzi, piuttosto, bisogna sforzarsi di arrivare almeno a una modesta conoscenza di quelle che sia, come dice Paolo, come in uno specchio, in un’ombra (1Cor 13, 12). Ancora, essi dicono molto bene non di avere prima conosciuto e poi d’aver creduto, ma, mettendo al primo posto la fede, in secondo luogo parlano, poi, della conoscenza. La conoscenza segue alla fede e non la precede, secondo quanto è detto: Se non crederete, non capirete (Is 7, 9). Posta, infatti, come base una fede semplice e non curiosa, in un secondo , momento si costruisce la conoscenza che, a poco a poco, ci porta al livello della statura di Cristo, e ci rende uomini perfetti e spirituali. Perciò Dio, in un luogo, dice: Ecco, porrò una pietra da fondamento in Sion, una pietra scelta, angolare e preziosa (Is 28, 16). Cristo è, per noi, inizio e fondamento per la santificazione e la giustiziare ciò attraverso la fede, e non altrimenti, giacche così abita in noi.
(Dal Commento al vangelo di Giovanni IV)