XXVIII Domenica del Tempo Ordinario
Commento al Vangelo della XXVIII Domenica del Tempo Ordinario
Mc 10, 17-30
Anno B
La vita appare come il bene più prezioso che possediamo. Siamo disposti ad abbandonare molte cose pur di vivere. Il messaggio di questa domenica è molto esigente: Gesù è venuto a darci la vita, e la vita in pienezza, ma questo può avvenire soltanto se siamo disposti ad abbandonare e a rinunciare a questo bene prezioso della vita.
L’unità delle tre letture odierne sta nel progressivo convergere delle esigenze della parola di Dio verso il «seguimi!» pronunciato da Gesù ad un tale venuto ad interrogarlo sulla vita eterna. Ci è oggi proposto un aut... aut particolarmente radicale che altro non è se non l’eco dell’orizzonte presentato dal Cristo ai suoi discepoli in Mc 8,34ss: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua».
Mentre Gesù sta camminando verso Gerusalemme, si avvicina un tale che, in ginocchio, gli chiede: «Maestro buono, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?». L’uomo che si è avvicinato a Gesù chiede la sapienza e lo fa nella preghiera: «In ginocchio». Gesù però lo rimprovera: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono se non uno: Dio» (v. 18). Vale a dire che la vita eterna non si può chiedere ad un «maestro», qualunque egli sia, ma all’unico Buono, all’Uno, a Dio stesso e cioè nella preghiera. In altri termini, Gesù discerne nell’atteggiamento del suo interlocutore un’ambiguità: o la sua è una preghiera che va rivolta a Dio e il ricco deve scoprire in Gesù Dio in persona; o la sua è una domanda rivolta ad un «rabbi», ma allora il suo prosternarsi è un gesto di adulazione per non dire di idolatria.
La domanda della vita eterna è dura, pericolosa e molto esigente.
Posta la domanda, giunge la risposta: «Tu conosci la legge...» (Mc 10,19). Gesù non toglie né aggiunge nulla all’insegnamento di Mosè: «Se ascolterai tutte queste parole e le metterai in pratica tu sarai felice sulla tua terra, prolungherai i tuoi giorni, ecc.»
La risposta dell’uomo a Gesù stupisce per due aspetti: da una parte ci si domanda come costui possa rispondere così tranquillamente di aver osservato tutte queste cose fin dalla sua giovinezza. Si deve probabilmente pensare che le esigenze della legge erano vissute in modo meno drammatico di quanto pensiamo solitamente. Certo, non ci può essere una piena adeguatezza tra legge e ubbidienza, ma il desiderio profondo di questa ubbidienza unitamente alla misericordia di Dio che copre i peccati degli uomini permettono di dire senza falsità che si è stati fedeli alle prescrizioni della legge.
D’altra parte — e questo è più importante ancora — stupisce che uno la cui condotta sia sempre stata quella di ubbidire alla volontà di Dio, possa lasciare entrare in cuor suo il dubbio che ciò non basti e provi il bisogno di chiedere cosa deve fare per ereditare la vita eterna. L’atteggiamento di Gesù («fissatolo lo amò», v. 21) è molto significativo a questo proposito, perché rivela che il Signore discerne in quest’uomo non solo un’insoddisfazione di fondo, ma una ricerca autentica che poggia sulla convinzione profonda che il potere di ereditare la vita eterna non si trova nell’uomo, ma solo in Dio dal quale viene la vita eterna. È proprio quel che Gesù ribadirà a Pietro che gli chiede: «Chi allora si può salvare?». La risposta non può essere più chiara: «Presso gli uomini è impossibile» (v. 26 e 27).
«Una cosa ti manca: va’, vendi quello che hai, dallo ai poveri e avrai un tesoro in cielo, poi vieni e seguimi!» (Mc 10,21). Quest’ultima risposta di Gesù non rigetta la legge come strumento inadeguato per la salvezza, ma la radicalizza al massimo.
Questa radicalizzazione della legge ribadisce l’impossibilità nella quale si trova l’uomo di poter praticare fino in fondo la legge di Dio: «Vendi quello che hai e dallo ai poveri!» È qualcosa che si può fare, ma solo in parte. Finché ci rimarrà un paio di sandali o semplicemente la penna che serve a scrivere queste righe, non avremo venduto «quello che abbiamo», e finché ci saranno dei poveri, essi resteranno la dimostrazione che non mettiamo in pratica la legge.
Quest’impossibilità non ci deve però sprofondare nella disperazione! Per chi è stato afferrato dall’amore di Dio, «fissatolo, lo amò», essa indica la direzione da prendere: si tratta di mettere la ricerca di Dio e del suo amore per gli uomini al di sopra di ogni altra ricerca e quindi sbarazzarsi di quanto ce ne allontana. L’impossibilità della legge appare doppiamente consolante: da un lato si scopre che si può sempre fare di più di quanto già facciamo e dall’altro essa manifesta che dal solo amore di Dio procede la nostra salvezza. Ora l’amore di Dio non viene mai meno. È quel che rivelerà Gesù a Pietro: «Essere salvati» è «impossibile presso gli uomini ma non presso Dio, perché tutto è possibile presso Dio» (v. 27). Accade, per la salvezza, come di una donna sterile che desidererebbe un figlio: «C’è forse qualcosa di impossibile per il Signore?» aveva detto il Signore ad Abramo (vedi Gn 18,14); così pure aveva parlato l’angelo alla Vergine di Nazaret: «Nulla è impossibile a Dio» (Le 1,37). E di fatto essere salvati è un parto: è il nascere dall’alto (vedi Gv 3,3ss), è l’«essere partoriti da una parola di verità» (Gc 1,18), è il nascere, il vivere e lo svilupparsi di Cristo in noi. Inoltre il «tutto è possibile presso Dio» rimanda anche al «tutto è possibile per chi crede» (Mc 9,23) e ribadisce l’affermazione secondo la quale la vita eterna non può che essere una domanda fiduciosa (fatta cioè nella fede) all’Uno.
La radicalizzazione della legge da parte di Gesù appare soprattutto nell’imperativo che conclude la risposta di Gesù al ricco: «Seguimi!» (10,21). Con ciò Gesù si rivela come l’incarnazione della legge stessa, sicché seguire la legge significa ormai seguire Gesù.
Gesù appare come la torah stessa, come la sapienza che vale più di tutta l’esistenza. Vivere pienamente non potrà significare allora che una sola cosa: seguire Gesù.
Ma cosa significa dunque seguire Gesù? È una domanda che non può ricevere una risposta esaustiva, tanto numerosi ne sono i contenuti. Nel vangelo odierno, a parte l’elemento di rinuncia già rilevato, vien dato ai discepoli un altro elemento di risposta. Hanno lasciato tutto (Mc 10,28) e a loro vien fatta una duplice promessa. Prima: riceveranno cento volte nel presente, e sotto forma nuova, quel che hanno lasciato. È quel che accade nella chiesa: nella comunione con Cristo cioè si ritrovano fratelli, sorelle, madre, padre e vita (la vita nuova che è segno della vita eterna). Inoltre però c’è la promessa delle persecuzioni (v. 30): quel che era possesso diventa grazia, ma solo nell’assimilazione alla sorte di colui che si segue; la vita si trasforma in vita eterna perché si accetta di abbandonarla a Dio. La persecuzione è proprio il segno che questa vita non è nostra, ma appartiene a Dio; ma la vita che appartiene a Dio non è null’altro che la vita eterna!