Commento al Vangelo della XXXI Domenica del Tempo Ordinario
Mc 12, 28b-34
Anno B
Episodio semplice, lineare, ma fondamentale. Siamo quasi al termine del Vangelo di Marco, che ha raccontato passo dopo passo la vita terrena di Gesù. Egli ha parlato e predicato in lungo e in largo, ha raccolto attorno a sé molti discepoli, ne ha scelti dodici, gli Apostoli.
Ora è a Gerusalemme, la capitale della nazione ebraica. Ha posto il suo quartier generale a Betania, dove ha alcuni amici preziosi: i fratelli Maria, Marta e Lazzaro. A sera torna da loro, fra pareti amiche, ma di giorno va al Tempio. Il Tempio è il cuore della religione ebraica. E Gesù sa che, continuando a predicare il vangelo nel cuore dell'Ebraismo, la sua sfida sarà raccolta: presto verrà arrestato, condannato e messo a morte.
Intanto molti accorrono a sentirlo, anche i capi, i sapienti, i potenti. Discutono con lui, e cercano di coglierlo in errore, per screditarlo. Gesù è costretto a sottolineare la loro cattiveria, li chiama ipocriti. Ma finalmente gli si avvicina un uomo pacifico, di buona volontà: uno scriba, uomo di cultura, che sa già tanto, ma è ben disposto e vuole imparare ancora.
Gli scribi si occupavano della legge mosaica, di questioni di diritto, insegnavano anche nelle sinagoghe. E questo scriba rivolge a Gesù la questione fondamentale: «Qual è il primo di tutti i comandamenti?». Era mia questione allora molto dibattuta. Gli esperti, studiando la legislazione ebraica, erano arrivati a enumerare 613 precetti, tra grandi e piccoli, che bisognava eseguire se si voleva ottemperare in tutto alla legge mosaica. Ma non era possibile ricordarsi di tutti. Perciò si cercava un comandamento fondamentale, che li potesse unificare, e così riassumere in sé tutta la legge.
Lo scriba — sembra di poter capire — pone la sua domanda a Gesù perché vuole scoprire il nocciolo della legge, e vivere in tutta onestà. E attende fiducioso la risposta del Signore.
Gesù, che legge nel cuore degli uomini, non si fa pregare, e gli fa una mirabile sintesi degli insegnamenti che Mosè aveva dato. Anzitutto riferisce le parole di Mosè che abbiamo udito nella prima lettura: «Ascolta, Israele: il Signore Dio nostro è l'unico Signore». Parole che indicano subito la caratteristica della religiosità ebraica: il monoteismo. C'è un unico Dio.
Israele, un popolo piccolo, si differenziava dagli altri proprio perché credeva in un solo Dio, mentre gli altri erano fantasiosi politeisti. Pensiamo ai greci e ai romani, con le loro mitologie sovrappopolate, con certi dèi — se si credeva ai miti — più mascalzoni degli uomini. Pensiamo a altri popoli che vedevano spiriti buoni e cattivi dappertutto, forze misteriose che aggredivano l'uomo e da cui bisognava difendersi. Gesù invece ribadisce la visione di un Dio unico, creatore, padre: Dio che ama le sue creature, e chiede il contraccambio.
Ma non si ferma lì. Sul fondamento dell'unicità di Dio, Gesù colloca un doppio precetto: «Amerai il Signore Dio tuo..., amerai il tuo prossimo...». Assicura: «Non c'è altro comandamento più importante di questi». Cose che noi cristiani conosciamo bene. Ma non erano così ovvie allo scriba andato da Gesù.
C'era nelle parole di Gesù una prima importante novità. Quei due precetti nella legge antica non erano enunciati in quel modo, uno accanto all'altro. Figuravano addirittura in due libri diversi, il Deuteronomio e il Levitico. Gesù ora univa i precetti dell'amore di Dio e del prossimo, come se ne costituissero uno solo. Quasi due facce di una stessa medaglia.
Gli Apostoli, alla scuola di Gesù, capirono presto che i due comandamenti erano uno la riprova dell'osservanza dell'altro. È facile dire «io amo Dio», dal momento che è invisibile. Ma l'evangelista Giovanni ci ha avvertiti: «Se uno dicesse "Io amo Dio", e odiasse il suo fratello, è un mentitore. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede».
Con Gesù l'amore del prossimo diventa la prova concreta se si ama o non si ama Dio.
C'è una seconda novità negli insegnamenti di Gesù, e riguarda il significato della parola prossimo. Mosè aveva insegnato agli israeliti a considerare come prossimo solo chi fosse veramente prossimo, cioè vicino, in senso fisico o quasi: i famigliari, i parenti, gli amici, quelli del proprio gruppo etnico.
Invece Gesù ha detto in mille modi che vanno considerati prossimo tutti gli uomini, vicini e lontani, e perfino i nemici. Di fatto Gesù manderà i suoi Apostoli ai lontani: «Andate in tutto il mondo!». E nel discorso della montagna ha completato così la legge di Mosè: «Avete inteso che fu detto: amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico; ma io vi dico: amate i vostri nemici, e pregate per i vostri persecutori».
Ecco dunque le due novità portate da Gesù, che lo scriba non conosceva: lo stretto legame tra i due comandamenti, fino a unificarli, e l'estensione della parola prossimo fino a comprendere lontani e nemici. Con queste novità, la riflessione religiosa e morale dell'umanità ha fatto un enorme passo avanti la rivelazione di Dio all'uomo si è fatta più ampia e profondale più impegnativa.
Lo scriba dovette intuire subito la novità portata da Gesù, perché esclama entusiasta: «Hai detto bene!» E Gesù lo ricambia. Altri scribi si erano meritati da Gesù epiteti pesanti, come «ipocriti, razza di vipere, sepolcri imbiancati». Lui invece si sente incoraggiare con le parole: «Non sei lontano dal Regno di Dio».
Gli Apostoli hanno poi preso interamente su di sé il nuovo comandamento, e noi da duemila anni sul loro esempio cerchiamo di metterlo in pratica, La Chiesa primitiva e quella dei secoli successivi a poco a poco hanno cambiato il modo di pensare della gente.
Oggi noi troviamo normale che ci si occupi di malati, bambini, anziani. Chi conosce la storia sa che tantissime istituzioni sociali destinate a loro sono nate nello slancio della generosità, e della creatività, cristiana.
Tante volte alla loro origine ci sono persone che la Chiesa ha canonizzato: san Benedetto da Norcia, Francesco d'Assisi. Vincenzo de' Paoli, Camillo de Lellis, il Cottolengo, Don Bosco. E mettiamo anche gente non canonizzata (o non ancora): Ozanam, Follereau, Schweitzer, don Gnocchi, l'industriale Candia. E possiamo aggiungere dei viventi, come l'Abbé Pierre e madre Teresa. L'elenco non finirebbe più.
Certo siamo sempre tentati dall'egoismo. Come quel Charlie Brown dei fumetti, che esclamava con enfasi: «Ma io amo l'umanità!», poi si stringeva nelle spalle e ammetteva: «Sono le persone che non riesco a sopportare». Siamo un po' tutti come lui, con i nostri egoismi da vincere.
Dobbiamo perciò far andare insieme i due comandamenti dell'amore di Dio e del prossimo. Pensiamo ai nostri cari, ai nostri amici, a quelli che lavorano con noi, che studiano, giocano con noi: si aspettano che siamo con loro solidali e amici.
San Giovanni della Croce ci ha avvertiti: «Alla sera della vita, saremo giudicati sull'amore».