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  • Solennità del Corpus Domini

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    In preparazione alla solennità del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo (14 giugno), il vescovo Marcello Semeraro ha scritto una lettera ai fedeli della Chiesa di Albano, invitandoli a vivere la realtà della presenza del Signore nel segno sacramentale, attraverso un tempo di adorazione che sarà riservato, in tutte le chiese parrocchiali, a una delle Sante Messe d'orario, tenendo esposta l'Eucaristia in forma solenne nell'ostensorio.
    «Nella solennità del SS. Corpo e Sangue di Cristo – scrive il vescovo – si aggiunge l'invito a onorare il mirabile sacramento dell'Eucaristia anche mediante l'adorazione comunitaria e pubblica. È questo il senso della tradizionale processione eucaristica, che segue la Santa Messa. Come spiegava Benedetto XVI, "con il dono di Se stesso nell'Eucaristia, il Signore Gesù ci libera dalle nostre"paralisi", ci fa rialzare e ci fa "pro-cedere", ci fa fare cioè un passo avanti, e poi un altro passo, e così ci mette in cammino, con la forza di questo Pane della vita" (Omelia del 22 maggio 2008). Le ben note ragioni sanitarie c'impediscono di attuare domenica prossima questa processione a noi tanto cara».

    Nella nostra Parrocchia, l'adorazione al Santissimo Sacramento avverrà Domenica 14 Giugno al termine della S. Messa delle ore 10 (all'incirca alle ore 10.40) fino alle ore 11.30

  • Lotteria Festa Titolare 2019

     

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  • 24 Giugno 2018: Natività del Battista

    Natività del Battista 

    Letture: Isaìa 49,1-6; Salmo 138; Atti 13, 22-26;Luca 1,57-66.80

    Anno B

     

    Per Elisabetta si compì il tempo del parto e diede alla luce un figlio. (...) Otto giorni dopo vennero per circoncidere il bambino e volevano chiamarlo con il nome di suo padre, Zaccarìa. Ma sua madre intervenne: «No, si chiamerà Giovanni». Le dissero: «Non c'è nessuno della tua parentela che si chiami con questo nome». Allora domandavano con cenni a suo padre come voleva che si chiamasse. Egli chiese una tavoletta e scrisse: «Giovanni è il suo nome». Tutti furono meravigliati. All'istante gli si aprì la bocca e gli si sciolse la lingua, e parlava benedicendo Dio.
    Tutti i loro vicini furono presi da timore, e per tutta la regione montuosa della Giudea si discorreva di tutte queste cose. Tutti coloro che le udivano, le custodivano in cuor loro, dicendo: «Che sarà mai questo bambino?». E davvero la mano del Signore era con lui. (...)

     

    Il passaggio tra i due Testamenti è un tempo di silenzio: la parola, tolta al sacerdozio, volata via dal tempio, si sta intessendo nel ventre di due madri, Elisabetta e Maria. Dio scrive la sua storia dentro il calendario della vita, fuori dai recinti del sacro.
    Zaccaria ha dubitato. Ha chiuso l'orecchio del cuore alla Parola di Dio, e da quel momento ha perso la parola. Non ha ascoltato, e ora non ha più niente da dire. Eppure i dubbi del vecchio sacerdote (i miei difetti e i miei dubbi) non fermano l'azione di Dio. Per Elisabetta si compì il tempo del parto e diede alla luce un figlio... e i vicini si rallegravano con la madre.
    Il bambino, figlio del miracolo, nasce come lieta trasgressione, viene alla luce come parola felice, vertice di tutte le natività del mondo: ogni nascita è profezia, ogni bambino è profeta, portatore di una parola di Dio unica, pronunciata una volta sola.
    Volevano chiamare il bambino con il nome di suo padre, Zaccaria. Ma i figli non sono nostri, non appartengono alla famiglia, bensì alla loro vocazione, alla profezia che devono annunciare, all'umanità; non al passato, ma al futuro.
    Il sacerdote tace ed è la madre, laica, a prendere la parola. Un rivoluzionario rovesciamento delle parti. Elisabetta ha saputo ascoltare e ha l'autorevolezza per parlare: «Si chiamerà Giovanni», che significa dono di Dio (nella cultura biblica dire "nome" è come dire l'essenza della persona).
    Elisabetta sa bene che l'identità del suo bambino è di essere dono, che la vita che sente fremere, che sentirà danzare, dentro di sé viene da Dio. Che i figli non sono nostri, vengono da Dio: caduti da una stella fra le braccia della madre, portano con sé lo scintillio dell'infinito. E questa è anche l'identità profonda di noi tutti: il nome di ogni bambino è "dono perfetto".
    E domandavano con cenni a suo padre come voleva che si chiamasse... Il padre interviene, lo scrive: dono di Dio è il suo nome, e la parola torna a fiorire nella sua gola. Nel loro vecchio cuore i genitori sentono che il piccolo appartiene ad una storia più grande. Che il segreto di tutti noi è oltre noi.
    A Zaccaria si scioglie la lingua e benediceva Dio: la benedizione è un'energia di vita, una forza di crescita e di nascita che scende dall'alto e dilaga. Benedire è vivere la vita come un dono: la vita che mi hai ridato/ ora te la rendo/ nel canto (Turoldo).
    Che sarà mai questo bambino? Grande domanda da ripetere, con venerazione, davanti al mistero di ogni culla. Cosa sarà, oltre ad essere vita che viene da altrove, oltre a un amore diventato visibile? Cosa porterà al mondo questo bambino, dono unico che Dio ci ha consegnato e che non si ripeterà mai più?
    (

  • Estrazione Lotteria Festa Titolare 2018

  • 25 Giugno 2017: XII Domenica del Tempo Ordinario

    XII Domenica del Tempo Ordinario

    Letture: Geremia 20,10-13; Salmo 68; Romani 5,12-15; Matteo 10,26-33

    Anno A

     

    In quel tempo, Gesù disse ai suoi apostoli: «Non abbiate paura degli uomini, poiché nulla vi è di nascosto che non sarà svelato né di segreto che non sarà conosciuto. Quello che io vi dico nelle tenebre voi ditelo nella luce, e quello che ascoltate all'orecchio voi annunciatelo dalle terrazze. E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l'anima; abbiate paura piuttosto di colui che ha il potere di far perire nella Geènna e l'anima e il corpo. Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure nemmeno uno di essi cadrà a terra senza il volere del Padre vostro. Perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati. Non abbiate dunque paura: voi valete più di molti passeri! Perciò chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch'io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli; chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch'io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli».

     

    Non abbiate paura: voi valete più di molti passeri. Ogni volta, di fronte a queste parole provo paura e commozione insieme: la paura di non capire un Dio che si perde dietro le più piccole creature: i passeri e i capelli del capo; la commozione di immagini che mi parlano dell'impensato di Dio, che fa per te ciò che nessuno ha fatto, ciò che nessuno farà: ti conta tutti i capelli in capo e ti prepara un nido nelle sue mani. Per dire che tu vali per Lui, che ha cura di te, di ogni fibra del corpo, di ogni cellula del cuore: innamorato di ogni tuo dettaglio.
    Nemmeno un passero cadrà a terra senza il volere del Padre vostro. Eppure i passeri continuano a cadere, gli innocenti a morire, i bambini ad essere venduti a poco più di un soldo o gettati via appena spiccato il loro breve volo.
    Ma allora, è Dio che fa cadere a terra? È Dio che infrange le ali dei corti voli che sono le nostre vite, che invia la morte ed essa viene? No. Abbiamo interpretato questo passo sull'eco di certi proverbi popolari come: non si muove foglia che Dio non voglia. Ma il Vangelo non dice questo, assicura invece che neppure un passero cadrà a terra senza che Dio ne sia coinvolto, che nessuno cadrà fuori dalle mani di Dio, lontano dalla sua presenza. Dio sarà lì.
    Nulla accade senza il Padre, è la traduzione letterale, e non di certo senza che Dio lo voglia. Infatti molte cose, troppe accadono nel mondo contro il volere di Dio. Ogni odio, ogni guerra, ogni violenza accade contro la volontà del Padre, e tuttavia nulla avviene senza che Dio ne sia coinvolto, nessuno muore senza che Lui non ne patisca l'agonia, nessuno è rifiutato senza che non lo sia anche lui (Matteo 25), nessuno è crocifisso senza che Cristo non sia ancora crocifisso.
    Quello che ascoltate all'orecchio voi annunciatelo sulle terrazze, sul posto di lavoro, nella scuola, negli incontri di ogni giorno annunciate che Dio si prende cura di ognuno dei suoi figli, che nulla vi è di autenticamente umano che non trovi eco nel cuore di Dio.
    Temete piuttosto chi ha il potere di far perire l'anima, l'anima è vulnerabile, l'anima è una fiamma che può languire: muore di superficialità, di indifferenza, di disamore, di ipocrisia. Muore quando ti lasci corrompere, quando disanimi gli altri e togli loro coraggio, quando lavori a demolire, a calunniare, a deridere gli ideali, a diffondere la paura.
    Per tre volte Gesù ci rassicura: Non abbiate paura (vv 26,28,31), voi valete! Che bello questo verbo! Per Dio, io valgo. Valgo di più, di più di molti passeri, di più di tutti i fiori del campo, di più di quanto osavo sperare. E se una vita vale poco, niente comunque vale quanto una vita.

  • 18 Giugno 2017: Corpus Domini

    Corpus Domini

    Letture: Deuteronomio 8,2-3.14b-16a; Salmo 147; 1 Corinzi 10,16-17; Giovanni 6,51-5

    Anno A

     

    In quel tempo, Gesù disse alla folla: «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo». Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro (...). Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell'ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. (...) Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».

     

    Io sono il pane vivo: Gesù è stato geniale a scegliere il pane. Il pane è una realtà santa, indica tutto ciò che fa vivere, e che l'uomo viva è la prima legge di Dio.
    Che cosa andremo a fare domenica nelle nostre celebrazioni? Ad adorare il Corpo e Sangue del Signore? No. Oggi non è la festa dei tabernacoli aperti o delle pissidi dorate e di ciò che contengono.
    Celebriamo Cristo che si dona, corpo spezzato e sangue versato? Non è esatto. La festa di oggi è ancora un passo avanti. Infatti che dono è quello che nessuno accoglie? Che regalo è se ti offro qualcosa e tu non lo gradisci e lo abbandoni in un angolo?
    Oggi è la festa del prendete e mangiate, prendete e bevete, il dono preso, il pane mangiato. Come indica il Vangelo della festa che si struttura interamente attorno ad un verbo semplice e concreto "mangiare", ripetuto per sette volte e ribadito per altre tre insieme a "bere".
    Gesù non sta parlando del sacramento dell'Eucaristia, ma del sacramento della sua esistenza, che diventa mio pane vivo quando la prendo come misura, energia, seme, lievito della mia umanità. Vuole che nelle nostre vene scorra il flusso caldo della sua vita, che nel cuore metta radici il suo coraggio, perché ci incamminiamo a vivere l'esistenza umana come l'ha vissuta lui.
    Mangiare e bere la vita di Cristo non si limita alle celebrazioni liturgiche, ma si dissemina sul grande altare del pianeta, nella "messa sul mondo" (Theilard de Chardin). Io mangio e bevo la vita di Cristo quando cerco di assimilare il nocciolo vivo e appassionato della sua esistenza, quando mi prendo cura con combattiva tenerezza degli altri, del creato e anche di me stesso. Faccio mio il segreto di Cristo e allora trovo il segreto della vita.
    Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Determinante è la piccola preposizione : "in". Che crea legame, intimità, unione, innesto, contiene "tutta la ricchezza del mistero: Cristo in voi" (Col 1,27). La ricchezza della fede è di una semplicità abbagliante: Cristo che vive in me, io che vivo in Lui. Il Verbo che ha preso carne nel grembo di Maria continua, ostinato, a incarnarsi in noi, ci fa tutti gravidi di Vangelo, incinti di luce.
    Prendete, mangiate! Parole che mi sorprendono ogni volta, come una dichiarazione d'amore: "Io voglio stare nelle tue mani come dono, nella tua bocca come pane, nell'intimo tuo come sangue, farmi cellula, respiro, pensiero di te. Tua vita".
    Qui è il miracolo, il batticuore, lo stupore: Dio in me, il mio cuore lo assorbe, lui assorbe il mio cuore, e diventiamo una cosa sola, con la stessa vocazione: non andarcene da questo mondo senza essere diventati pezzo di pane buono per qualcuno.

  • 11 Giugno 2017: Santissima Trinità

    Santissima Trinità

    Letture: Esodo 34, 4-6.8-9; Deuteronomio 3, 52-56; 2 Corinzi 13, 11-13; Giovanni 3, 16-18

    Anno A

     

    In quel tempo, disse Gesù a Nicodèmo: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio, unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell'unigenito Figlio di Dio».

     

    I termini che Gesù sceglie per raccontare la Trinità, sono nomi di famiglia, di affetto: Padre e Figlio, nomi che abbracciano, che si abbracciano. Spirito è nome che dice respiro: ogni vita riprende a respirare quando si sa accolta, presa in carico, abbracciata. In principio a tutto è posta una relazione; in principio, il legame. E se noi siamo fatti a sua immagine e somiglianza, allora il racconto di Dio è al tempo stesso racconto dell'uomo, e il dogma non rimane fredda dottrina, ma mi porta tutta una sapienza del vivere. Cuore di Dio e dell'uomo è la relazione: ecco perché la solitudine mi pesa e mi fa paura, perché è contro la mia natura. Ecco perché quando amo o trovo amicizia sto così bene, perché allora sono di nuovo a immagine della Trinità.
    Nella Trinità è posto lo specchio del nostro cuore profondo, e del senso ultimo dell'universo. Nel principio e nella fine, origine e vertice dell'umano e del divino, è il legame di comunione.
    Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio... In queste parole Giovanni racchiude il perché ultimo dell'incarnazione, della croce, della salvezza: ci assicura che Dio in eterno altro non fa che considerare ogni uomo e ogni donna più importanti di se stesso. Dio ha tanto amato... E noi, creati a sua somigliante immagine, «abbiamo bisogno di molto amore per vivere bene» (J. Maritain).
    Da dare il suo Figlio: nel Vangelo il verbo amare si traduce sempre con un altro verbo concreto, pratico, forte, il verbo dare (non c'è amore più grande che dare la propria vita...). Amare non è un fatto sentimentale, non equivale a emozionarsi o a intenerirsi, ma a dare, un verbo di mani e di gesti.
    Dio non ha mandato il Figlio per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato. Salvato dall'unico grande peccato: il disamore. Gesù è il guaritore del disamore (V. Fasser). Quello che spiega tutta la storia di Gesù, quello che giustifica la croce e la Pasqua non è il peccato dell'uomo, ma l'amore per l'uomo; non qualcosa da togliere alla nostra vita, ma qualcosa da aggiungere: perché chiunque crede abbia più vita.
    Dio ha tanto amato il mondo... E non soltanto gli uomini, ma il mondo intero, terra e messi, piante e animali. E se lui lo ha amato, anch'io voglio amarlo, custodirlo e coltivarlo, con tutta la sua ricchezza e bellezza, e lavorare perché la vita fiorisca in tutte le sue forme, e racconti Dio come frammento della sua Parola. Il mondo è il grande giardino di Dio e noi siamo i suoi piccoli "giardinieri planetari".
    Davanti alla Trinità, io mi sento piccolo ma abbracciato, come un bambino: abbracciato dentro un vento in cui naviga l'intero creato e che ha nome amore.

  • Estrazione lotteria Festa Titolare2017

  • 4 Giugno 2017: Domenica di Pentecoste

    Domenica di Pentecoste

    Letture: Atti 2,1-11; Salmo 103; 1 Corinzi 12,3-7.12-13; Giovanni 20, 19-23

    Anno A

     

    La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».


    La Parola di Dio racconta in quattro modi diversi il venire dello Spirito Santo, per dirci che Lui, il respiro di Dio, non sopporta schemi.
    Nel Vangelo lo Spirito viene come presenza che consola, leggero e quieto come un respiro, come il battito del cuore.
    Negli Atti viene come energia, coraggio, rombo di tuono che spalanca le porte e le parole. Mentre tu sei impegnato a tracciare i confini di casa, lui spalanca finestre, ti apre davanti il mondo, chiama oltre.
    Secondo Paolo, viene come dono diverso per ciascuno, bellezza e genialità di ogni cristiano.
    E un quarto racconto è nel versetto del salmo: del tuo Spirito Signore è piena la terra. Tutta la terra, niente e nessuno esclusi. Ed è piena, non solo sfiorata dal vento di Dio, ma colmata: tracima, trabocca, non c'è niente e nessuno senza la pressione mite e possente dello Spirito di Dio, che porta pollini di primavera nel seno della storia e di tutte le cose. "Che fa vivere e santifica l'universo", come preghiamo nella Eucaristia.
    Mentre erano chiuse le porte del luogo per paura dei Giudei, ecco accadere qualcosa che ribalta la vita degli apostoli, che rovescia come un guanto quel gruppetto bloccato dietro porte sbarrate. Qualcosa ha trasformato uomini barcollanti d'angoscia, in persone danzanti di gioia, "ubriache" (Atti 2,13) di coraggio: è lo Spirito, fiamma che riaccende le vite, vento che dilaga dalla camera alta, terremoto che fa cadere le costruzioni pericolanti, sbagliate, e lascia in piedi solo ciò che è davvero solido. È accaduta la Pentecoste e si è sbloccata la vita.
    La sera di Pasqua, mentre erano chiuse le porte, venne Gesù, stette in mezzo ai suoi e disse: pace! L'abbandonato ritorna da coloro che lo avevano abbandonato. Non accusa nessuno, avvia processi di vita; gestisce la fragilità dei suoi con un metodo umanissimo e creativo: li rassicura che il suo amore per loro è intatto (mostrò loro le mani piagate e il costato aperto, ferite d'amore); ribadisce la sua fiducia testarda, illogica e totale in loro (come il Padre ha mandato me, io mando voi). Voi come me. Voi e non altri. Anche se mi avete lasciato solo, io credo ancora in voi, e non vi mollo.
    E infine gioca al rialzo, offre un di più: alitò su di loro e disse: ricevete lo Spirito Santo. Lo Spirito è il respiro di Dio. In quella stanza chiusa, in quella situazione asfittica, entra il respiro ampio e profondo di Dio, l'ossigeno del cielo. E come in principio il Creatore soffiò il suo alito di vita su Adamo, così ora Gesù soffia vita, trasmette ai suoi ciò che lo fa vivere, quel principio vitale e luminoso, quella intensità che lo faceva diverso, che faceva unico il suo modo di amare, e spalancava orizzonti.

  • 60 anni di sacerdozio di Don Umberto

  • 26 Giugno 2016: XIII Domenica del Tempo Ordinario

    XIII Domenica del Tempo Ordinario

    Anno C

    Letture: 1 Re 19,16.19-21; Salmo 15; Galati 5,1.13-18; Luca 9,51-62

     

    Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto, Gesù prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme e mandò messaggeri davanti a sé. Questi si incamminarono ed entrarono in un villaggio di Samaritani per preparargli l'ingresso. Ma essi non vollero riceverlo, perché era chiaramente in cammino verso Gerusalemme. Quando videro ciò, i discepoli Giacomo e Giovanni dissero: «Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?». Si voltò e li rimproverò. (...)


    Vuoi che scenda un fuoco dal cielo e li consumi? La reazione di Giacomo e Giovanni al rifiuto dei Samaritani è logica e umana: farla pagare, occhio per occhio.
    Gesù si voltò, li rimproverò e si avviò verso un altro villaggio. Nella concisione di queste parole si staglia la grandezza di Gesù. Uno che difende perfino la libertà di chi non la pensa come lui.
    La logica umana dice: i nemici si combattono e si eliminano. Gesù invece vuole eliminare il concetto stesso di nemico.
    E si avviò verso un altro villaggio. C'è sempre un nuovo paese, con altri malati da guarire, altri cuori da fasciare, altre case dove annunciare pace.
    Gesù non cova risentimenti, lui custodisce sentieri verso il cuore dell'uomo, conosce la beatitudine del salmo: beato l'uomo che ha sentieri nel cuore (Salmo 84,6). E il Vangelo diventa viaggio, via da percorrere, spazio aperto. E invita il nostro cristianesimo a non recriminare sul passato, ma ad iniziare percorsi.
    Come accade anche ai tre nuovi discepoli che entrano in scena nella seconda parte del Vangelo: le volpi hanno tane, gli uccelli nidi, ma io non ho dove posare il capo.
    Eppure non era esattamente così. Gesù aveva cento case di amici e amiche felici di accoglierlo a condividere pane e sogni. Con la metafora delle volpi e degli uccelli Gesù traccia il ritratto della sua esistenza minacciata dal potere religioso e politico, sottoposta a rischio, senza sicurezza. Chi vuole vivere tranquillo e in pace nel suo nido sicuro non potrà essere suo discepolo.
    Noi siamo abituati a sentire la fede come conforto e sostegno, pane buono che nutre, e gioia. Ma questo Vangelo ci mostra che la fede è anche altro: un progetto da cui si sprigiona la gioiosa fatica di aprire strade nuove, la certezza di appartenere ad un sistema aperto e non chiuso.
    Il cristiano corre rischio di essere rifiutato e perseguitato, perché, come scriveva Leonardo Sciascia, «accarezza spesso il mondo in contropelo», mai omologato al pensiero dominante. Vive la beatitudine degli oppositori, smonta il presente e vi semina futuro.
    Lascia che i morti seppelliscano i loro morti. Una frase durissima che non contesta gli affetti umani, ma che si chiarisce con ciò che segue: Tu va e annunzia il Regno di Dio. Tu fa cose nuove. Se ti fermi all'esistente, al già visto, al già pensato, non vivi in pienezza («Non pensate pensieri già pensati da altri», scriveva padre Vannucci). Noi abbiamo bisogno di freschezza e il Signore ha bisogno di gente viva.
    Di gente che, come chi ha posto mano all'aratro, non guardi indietro a sbagli, incoerenze, fallimenti, ma guardi avanti, ai grandi campi del mondo, dove i solchi dell'aratro sono ferite che però si riempiono di vita.

  • 19 Giugno 2016: XII Domenica del Tempo Ordinario

    XII Domenica del Tempo Ordinario

    Letture: Zaccaria 12,10-11;13,1; Salmo 62; Galati 3,26-29; Luca 9, 18-24

    Anno C

     

    Un giorno Gesù si trovava in un luogo solitario a pregare. I discepoli erano con lui ed egli pose loro questa domanda: «Le folle, chi dicono che io sia?». Essi risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elìa; altri uno degli antichi profeti che è risorto». Allora domandò loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro rispose: «Il Cristo di Dio». Egli ordinò loro severamente di non riferirlo ad alcuno. «Il Figlio dell'uomo – disse – deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e risorgere il terzo giorno». Poi, a tutti, diceva: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà».

     

    «Ma voi, chi dite che io sia?». Non interrogare più, ma lasciarsi interrogare. Non mettere più in questione il Signore, ma lasciarsi mettere in questione da lui. Amare domande che fanno vivere la fede.
    Gesù usa la pedagogia delle domande per far crescere i suoi amici: sono come scintille che accendono, mettono in moto trasformazioni e crescite.
    Gesù era un Maestro dell'esistenza, e voleva i suoi pensatori e poeti della vita. Per questo, Maestro del cuore, lui non indottrina, non impartisce lezioni, non suggerisce risposte, ma conduce con delicatezza a cercare dentro di te: «Nella vita, più che le risposte, contano le domande, perché le risposte ci appagano e ci fanno stare fermi, le domande invece ci obbligano a guardare avanti e ci fanno camminare» (Pier Luigi Ricci).
    All'inizio Gesù interroga i suoi, quasi per un sondaggio d'opinione: «Le folle, chi dicono che io sia?». E l'opinione della gente è bella e incompleta: «Dicono che sei un profeta», una creatura di fuoco e di luce, come Elia o il Battista; bocca di Dio e bocca dei poveri.
    Allora Gesù cambia domanda, la fa esplicita, diretta: «Ma voi, chi dite che io sia?». Ma voi...Prima di tutto c'è un "ma", una avversativa, quasi in opposizione a ciò che dice la gente. Non accontentatevi di una fede "per sentito dire".
    Ma voi, voi con le barche abbandonate sulla riva del lago, voi che siete con me da tre anni, voi miei amici, che ho scelto a uno a uno: chi sono io per voi? E lo chiede lì, dentro il grembo caldo dell'amicizia, sotto la cupola d'oro della preghiera.
    È il cuore pulsante della fede: chi sono io per te? Non cerca parole, Gesù, cerca persone; non definizioni ma coinvolgimenti: che cosa ti è successo, quando mi hai incontrato? La sua assomiglia alle domande che si fanno gli innamorati: quanto posto ho nella tua vita, quanto conto, chi sono per te? E l'altro risponde: tu sei la mia vita, sei la mia donna, il mio uomo, il mio amore.
    Gesù non ha bisogno dell'opinione dei suoi apostoli per sapere se è più bravo dei profeti di ieri, ma per accertarsi che Pietro e gli altri siano degli innamorati che hanno aperto il cuore. Gesù è vivo solo se è vivo dentro di noi. Il nostro cuore può essere la culla o la tomba di Dio.
    Cristo non è ciò che dico di lui, ma ciò che vivo di lui. Non domanda le mie parole, ma cerca ciò che di lui arde in me. «La verità è ciò che arde» (Christian Bobin). Mani e parole che ardono, come quelle di Pietro che risponde con la sua irruenza e decisione: «Tu sei il Cristo di Dio», il messia di Dio, il suo braccio, il suo progetto, la sua bocca, il suo cuore. Tu porti Dio fra noi: quando ti fermi e tocchi una creatura nelle tue mani è Dio che accarezza il mondo.

  • 12 Giugno 2016: XI Domenica del Tempo Ordinario

    XI Domenica del Tempo Ordinario

    Anno C

    Letture: 2 Samuele 12,7-10.13; Salmo 31; Galati 2,16.19-21; Luca 7,36-8,3

     

    In quel tempo, uno dei farisei invitò Gesù a mangiare da lui. Egli entrò nella casa del fariseo e si mise a tavola. Ed ecco, una donna, una peccatrice di quella città, saputo che si trovava nella casa del fariseo, portò un vaso di profumo; stando dietro, presso i piedi di lui, piangendo, cominciò a bagnarli di lacrime, poi li asciugava con i suoi capelli, li baciava e li cospargeva di profumo. Vedendo questo, il fariseo che l'aveva invitato disse tra sé: «Se costui fosse un profeta, saprebbe chi è, e di quale genere è la donna che lo tocca: è una peccatrice!». (...)


    Entro in questo racconto grondante di lacrime e di profumo, grondante di vita, e provo a mettermi dalla parte della peccatrice, a guardare con i suoi occhi. Lo faccio perché così fa Gesù. Il suo sguardo si fa largo nel groviglio delle contraddizioni morali della donna per fissarsi sul germe intatto, sul germe divino che è nel cuore anche dell'ultima prostituta. E risvegliarlo.
    Che spinta potente deve aver sentito quella donna per decidere di sfidare tutte le buone consuetudini, di calpestare i rituali consolidati, solo per dare ascolto al suo cuore inquieto. E che convinzione altrettanto forte deve aver avuto, per sapere con tutte le sue fibre che quel giovane rabbi, di cui aveva sentito raccontare gesti e parole, non l'avrebbe disprezzata, non l'avrebbe cacciata.
    Va diritta davanti a lui, non gli chiede permesso, fa una cosa inaudita tanto è sconveniente: mani, bocca, lacrime, capelli, profumo su quei piedi.
    Lei ha capito il cuore di Gesù meglio di tutti. Simone, tu non mi hai dato un bacio, questa donna invece da quando sono entrato non ha cessato di baciarmi. Dal poco al molto amore: Gesù desidera essere amato, va in cerca di persone e ambienti pronti a dargli affetto.
    Il racconto rivela tutta l'umanità di Gesù, volto alto di Dio e dell'uomo. Gesù non solo dà affetto, ma sa anche riceverlo. Ama e si lascia amare, e in questo atteggiamento la sua umanità e la sua divinità si riconoscono, si ricongiungono.
    Simone era un fariseo molto religioso e molto duro. Perché a volte la religiosità ha tolto sensibilità al nostro cuore? Forse è accaduto quando abbiamo vissuto la fede come osservanza delle regole e non come risposta all'amore di Dio.
    Molto le è perdonato perché molto ha amato. Gesù ci invita ancora a convertirci a un Dio diverso da quello che temiamo e non amiamo, a un Dio che mette la persona prima della sua stessa legge. Anzi la sua prima legge, la prima sua gioia è che l'uomo viva.
    Gesù ci invita ancora a cambiare il paradigma della nostra fede: dal paradigma del peccato a quello dell'amore. Non è il peccato l'asse portante del nostro rapporto con Dio, ma il ricevere e restituire amore.
    Noi pensiamo la fede come un insieme complicato di dogmi e di doveri, con molte leggi e poco profumo; Gesù invece va dritto al cuore: ama, hai fatto tutto.
    L'amore non fa peccati. L'amore contiene tutto, tutti i doni e tutti i doveri (M. Bellet). La vita non si sbaglia scommettendo in partenza sull'amore.
    Quella donna mostra che un solo gesto d'amore, anche se muto e senza eco, è più utile per questo nostro mondo dell'azione più clamorosa, dell'opera più grandiosa. Questa è la vera rivoluzione portata da Gesù, possibile a tutti, possibile a me, ogni giorno.

  • In preghiera con Maria , tenera Madre

    Da "Avvenire"  di Domenica 29 maggio 2016

     

    in allegato l'articolo pubblicato

  • 5 Giugno 2016: X Domenica del Tempo Ordinario

    X Domenica del Tempo Ordinario 

    Letture: 1Re 17,17-24; Salmo 29; Galati 1,11-19; Luca 7,11-17

    Anno C

     

    In quel tempo, Gesù si recò in una città chiamata Nain, e con lui camminavano i suoi discepoli e una grande folla. Quando fu vicino alla porta della città, ecco, veniva portato alla tomba un morto, unico figlio di una madre rimasta vedova; e molta gente della città era con lei (...)

     

     

    La donna di Nain aveva già pianto la morte del suo uomo. Adesso è inghiottita dal dolore più atroce, quello che non ha neppure un nome per essere detto: due vite, quella del figlio e la sua, precipitate dentro un'unica bara.

    Quante storie così anche oggi. Perché questo accanirsi, questa dismisura del male su spalle fragili? Nella Bibbia cerchi invano una risposta al perché del dolore. Il Vangelo però racconta la prima reazione di Gesù: egli prova dolore per il dolore dell'uomo.
    E lo esprime con tre verbi: provare compassione, fermarsi, toccare. Gesù vede il pianto e si commuove, si lascia ferire dalle ferite di quel cuore. Il mondo è un immenso pianto, un fiume di lacrime, ma invisibili a chi ha perduto lo sguardo del cuore. Gesù sapeva guardare negli occhi di una persona (donna, non piangere) e scoprire dietro un centimetro quadrato di iride vita e morte, dolore e speranza.
    C'è un solo modo per conoscere un uomo, Dio, un paese, un dolore: fermarsi, inginocchiarsi e guardare da vicino. Guardare gli altri a millimetro di viso, di occhi, di voce, come bambini o come innamorati. Quando ti fermi con qualcuno hai già fatto molto per la storia del mondo. Nessun segnale ci dice che quella donna fosse più religiosa di altri. Ciò che fa breccia nel cuore di Gesù è il suo dolore.
    Quella donna non prega Gesù, non lo chiama, non lo cerca, ma tutto in lei è una supplica senza parole, e Dio ascolta l'eloquenza delle lacrime, risponde al pianto silenzioso di chi neppure si rivolge a lui. E si fa vicino, vicino come una madre al suo bambino. Gesù vede, si ferma e tocca. Ogni volta che Gesù si commuove, tocca: il lebbroso, il cieco, la bara del ragazzo di Nain. Toccare è parola dura, che ci mette alla prova, perché non è spontaneo toccare il contagioso, l'infettivo, il mendicante, la bara. Non è un sentimento è una decisione.
    Si accosta, tocca, parla: Ragazzo dico a te, alzati. Levati, alzati, sorgi, il verbo usato per la risurrezione.

    E lo restituì alla madre, restituisce il ragazzo all'abbraccio, all'amore, agli affetti che soli ci rendono vivi, alle relazioni d'amore nelle quali soltanto troviamo la vita.
    E tutti glorificavano Dio dicendo: è sorto un profeta grande!
    Gesù è il profeta della compassione, di un Dio che cammina per tutte le Nain del mondo, si avvicina a chi piange, piange insieme con noi quando il dolore sembra sfondare il cuore.
    E ci convoca a operare "miracoli", non quello di trasformare una bara in una culla, come a Nain, ma quello di sostare accanto a chi soffre, accanto alle infinite croci del mondo, lasciandosi ferire da ogni ferita, portando il conforto umanissimo e divino della compassione.
    Fermarsi. Per vedere bene un prato bisogna inginocchiarsi e guardarlo da vicino (Ermanno Olmi).
    Il tatto è tra i cinque sensi quello che apre il Cantico, e lo riempie, è un modo di amare, il modo più intimo, è il bacio. Apre una stagione nuova nelle relazioni. Come la notte comincia dalla prima stella, così il mondo nuovo comincia dal primo samaritano buono.
    Una donna, una bara, un corteo. Sono gli ingredienti di base del racconto di Nain che mette in scena la normalità della tragedia in cui si recita il dolore più grande del mondo. Quel buco nero che inghiotte la vita di una madre, di un padre privati di ciò che è più importante della loro stessa vita. Quel freddo improvviso e spaventoso che ti stringe la gola e sai che d'ora in poi niente sarà più come prima.
    Gesù non sfiora il dolore, penetra dentro il suo abisso insieme a lei.
    Entra in città da forestiero e si rivela prossimo: chi è il prossimo? gli avevano chiesto. Chi si avvicina al dolore altrui, se lo carica sulle spalle, cerca di consolarlo, alleviarlo, guarirlo se possibile.
    Il Vangelo dice che Gesù fu preso da grande compassione per lei. La prima risposta del Signore è di provare dolore per il dolore della donna.

  • Estrazione Biglietti Lotteria

    GUARDA IL VIDEO DELL'ESTRAZIONE:

  • Festa titolare 2015

  • Riviviamo insieme una grande gioia!

    Continuiamo a rivedere con gioia, l'Ordinazione Sacerdotale di don Gabriele D'Annibale!

  • Don Gabriele è Sacerdote

    Abbiate

    come faro affascinante

    la faccia di Cristo

     trasparente nel voltodella Chiesa,

    e abbiate di Cristo

    l'appassionato amore

    che di Lui vi faccia imitatori, amici,

    testimoni, apostoli e servitori,

    come lo può e lo deve essere chi,

    col Sacerdozio, alter Christus sarà

    chiamato e diventerà.

                                              Paolo VI

                  don Gabriele D'Annibale

                                      Presbitero

     

                          Albano, 21 Giugno 2014

                                  xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx          

  • Festa titolare 2013 - Parrocchia Cuore Immacolato della Vergine Maria

  • Dedicazione e Inizio Anno Pastorale 2013

  • Presepe Natale 2013 - Albano Laziale - Cuore Immacolato della Vergine Maria

  • Saluto autorità, amici e regalo a don Umberto 2013

  • Messa di saluto con il Vescovo e don Umberto 2013

  • Solennità del Corpus Domini

     

     

    Giovedì 19  Giugno alle ore 18,30

    Solennità del Corpo e Sangue di Gesù Cristo

     Celebrazione Eucaristica presieduta del Vescovo Marcello Semeraro nella Basilica Cattedrale "S. Pancrazio Martire".

    A seguire la Processione che attraversando le vie della città di Albano terminerà sul sagrato della nostra Parrocchia:

    via A. De Gasperi, via Cavour, viale L. Scalchi, via M. D' Azeglio, Piazza Paolo VI.

    Siamo invitati tutti a partecipare soprattutto i bambini che quest'anno hanno ricevuto per la prima volta l'Eucarestia. L'appuntamento per loro è sul sagrato del Duomo per le ore 19,15 con l'abito bianco della cerimonia.

  • Ordinazione Sacerdotale di don Gabriele D'Annibale

    don Gabriele presiederà la Celebrazione Eucaristica

    presso la nostra Parrocchia

    DOMENICA 22 GIUGNO alle ore 11,30

  • Lotteria Festa Titolare 2014: i biglietti vincenti

    I premi devono essere ritirati in Chiesa entro 30 giorni dalla data

    dell'estrazione, esibendo il biglietto vincente.

  • 30 Giugno- XIII Domenica del Tempo Ordinario

    Commento al Vangelo della XIII Domenica del Tempo Ordinario

    Luca 9, 51 - 62

    Il vangelo secondo Luca ordina la vita pubblica di Gesù, narrando dapprima quanto ha fatto in Galilea, da dove poi ha dato inizio al viaggio che si sarebbe concluso a Gerusalemme, con la sua morte e risurrezione. Egli sapeva bene (l'aveva preannunciato più volte) a che cosa sarebbe andato incontro; avrebbe potuto sottrarvisi, ma non l'ha fatto. Il passo odierno (Luca 9,51-62) comincia così: "Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto, Gesù prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme". Prese la ferma decisione: per questo era venuto, questo era il piano di Dio per salvare l'umanità. Prese la ferma decisione: Dio prima di tutto, Dio sopra di ogni calcolo di personale convenienza.
    Anche e soprattutto in questo, per chi vuole essere suo discepolo, Gesù è il modello: di qui le sue parole, austere, a tre uomini incontrati poco dopo. "Mentre camminavano per la strada, un tale gli disse: ‘Ti seguirò dovunque tu vada'. E Gesù gli rispose: ‘Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo'". Càpita; qualche frase che colpisce, un incontro illuminante, ed ecco accendersi l'entusiasmo, lo slancio del cuore: ti seguirò dovunque, sempre. Ma la risposta di Gesù mette in guardia dalle decisioni repentine; il cuore deve essere sempre accompagnato da occhi bene aperti, dalla riflessione, dalla consapevolezza. Seguire Gesù non è una passeggiata; in particolare egli avverte: se vieni con me, non aspettarti una vita facile e comoda, e men che meno onori o ricchezze; si è cristiani perché è cosa buona e giusta, non perché conviene.
    Il secondo e il terzo incontro sono tra loro simili. All'invito di Gesù a seguirlo, uno risponde: "Permettimi prima di andare a seppellire mio padre" e un altro: "Ti seguirò, Signore; prima però lascia che io mi congedi da quelli di casa mia". Le risposte ad entrambi, pur tenendo conto che sono formulate nel paradossale e colorito linguaggio orientale, a prima vista sconcertano: "Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu invece va' e annuncia il regno di Dio"; "Nessuno che mette mano all'aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio". La durezza di queste parole, tuttavia, si attenua assai se si considera che i due cui sono rivolte non chiedono solo un'ora o un giorno per dare corso agli affetti domestici. Andare a seppellire il padre, in quel momento magari ancor vivo e vegeto, significava prendersi tutto il tempo occorrente ad assisterlo sino a quando avesse chiuso gli occhi; congedarsi da quelli di casa significava prima sistemare gli affari, risolvere questioni in sospeso, provvedere al futuro dei familiari. Insomma, dilazionare la decisione, dando la precedenza a pur rispettabili questioni terrene, mentre le risposte di Gesù non intendono certo annullare i legittimi affetti: vogliono anzitutto affermare il primato di Dio; niente e nessuno è più importante di lui. "Onora il padre e la madre": è un comandamento, che comporta rispetto e assistenza, ma non al punto di anteporli a Dio; "chi ama il padre o la madre più di me, non è degno di me", ha detto un'altra volta lo stesso Gesù.
    Affermare nei fatti il primato di Dio, oltre tutto, non è un peso; anzi significa esercitare al meglio la propria autentica libertà, senza lasciarsi condizionare da ciò che Paolo chiama la carne, cioè meschinità, timori, egoismi, calcoli di terrena convenienza. L'apostolo usa questo termine, nella seconda lettura di oggi (Gàlati 5,1.13-18), per spiegare che cosa sia la libertà di cui i cristiani possono godere. "Fratelli, Cristo ci ha liberati per la libertà! State dunque saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù. Voi infatti, fratelli, siete stati chiamati a libertà. Che questa libertà non divenga però un pretesto per la carne; mediante l'amore siate invece a servizio gli uni degli altri".

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  • Ad Multos Annos

  • 23 Giugno - XII Domenica del Tempo Ordinario

    Commento al Vangelo della XII Domenica del Tempo Ordinario

    Lc 9, 18-24

     

    Continuando la lettura del Vangelo di Luca, la Liturgia della domenica XII del tempo ordinario ci fa rivivere uno dei passi decisivi (Lc.9,18-24) nel quale Gesù interpella la folla, la comunità e noi personalmente sul nostro rapporto con lui.
    Nella sua narrazione Luca ha già sottolineato come la questione dell'identità di Gesù si ponga con sempre maggiore insistenza. "
    Un grande profeta è sorto tra di noi!" acclamava la folla glorificando Dio dopo che Gesù ha ridonato alla madre il figlio che era morto (Lc.7,16-17). E "chi è costui che perdona anche i peccati?" si chiedevano i commensali del fariseo dopo che Gesù, accogliendo i gesti di intensa tenerezza della donna, le aveva detto: "I tuoi peccati sono perdonati" Lc.7,48-49). Ed il tetrarca Erode pone esplicitamente la questione quando sente le voci che corrono su Gesù che compie opere meravigliose: "Chi è costui, del quale sento dire tali cose?" (Lc.9,10-17)
    Adesso è Gesù stesso che prende l'iniziativa di provocare a prendere posizione sulla questione della sua identità e lo fa non proponendo una discussione teorica o ideologica, ma mettendo in evidenza il rischio che la sua presenza sia letta alla luce di schemi culturali o religiosi imposti dal passato della storia del popolo di Israele, invitando a guardare la concretezza della sua persona, della sua vita, delle sue scelte, a vedere lui e a seguirlo sulla sua via: l'identità di Gesù si scopre nella relazione personale con lui, nella condivisione e nella comunione con lui e sperimentando che seguire lui significa scoprire il senso vero della vita.
    Se Gesù è un uomo di Dio, occorre vedere "Lui": oltre ogni schema del passato è la novità imprevedibile del Dio vivo che si manifesta in Gesù. Ed è solo con la fede che ci dà il coraggio di andare "dietro" a lui, di camminare con lui che, trovando il senso vero della vita, scopriamo chi lui è: Gesù è la verità dell\'uomo, non in astratto, è la verità che noi sperimentiamo personalmente nella nostra vita. Per questo possiamo dire chi lui è.
    La frase con cui Luca inizia il racconto è particolarmente significativa: "Ed avvenne che essendo lui in preghiera, solo, stavano con lui i discepoli e li interrogò dicendo...". È una costante di Luca sottolineare la preghiera di Gesù: l'ultima immagine che egli lascia impressa negli occhi dei suoi discepoli mentre viene portato in cielo è proprio quella dell'orante (Lc.24,50).
    Ma cos'è la preghiera di Gesù? E' l'esperienza dell'intimità con il Padre, il momento nel quale egli lascia che tutta la sua vita sia generata dal Padre: è il momento nel quale egli comprende la propria identità come dono del Padre. È "solo": la preghiera è il momento della più profonda solitudine, riempita solo dall'Amore del Padre, è "solo" "con" il Padre.
    "Stavano con lui i suoi discepoli". È ancora il mistero della preghiera: la solitudine di Gesù con il Padre è la fonte della comunione con i discepoli, ma occorre che essi entrino nel circolo dell'amore che il Padre ha donato a lui.
    "Li interrogò, dicendo...": ecco, comincia il cammino guidato da Gesù stesso, della scoperta della sconvolgente e impredibile novità della sua identità.
    "La folla chi dice che io sia?" chiede Gesù ai suoi discepoli. "Giovanni il Battista...Elia...uno degli antichi profeti che è risorto..." è la risposta dei discepoli. La folla ha colto la grande statura morale di Gesù e lo assimila ai personaggi prestigiosi del passato dei quali aspetta il ritorno: la folla interpreta Gesù alla luce del passato, con uno schema di lettura legato alla storia e da lui aspetta che egli faccia rivivere il passato.
    ("La folla chi dice che io sia?" chiede anche oggi Gesù ai suoi discepoli: forse anche oggi la folla pensa a Gesù come ad un grande personaggio maestro di morale, della religione...)
    "Ma voi, chi dite che io sia?": ai suoi discepoli, a coloro che sono con lui, Gesù chiede di andare oltre il pensiero della folla, di entrare in relazione con lui, per poter rispondere personalmente alla domanda: "Chi sono io per voi".
    Pietro risponde a nome di tutti: "Il Cristo di Dio". Anche la risposta di Pietro è alla luce dell'attesa popolare: il Cristo di Dio, il Messia era atteso con insistenza per ridare la dignità perduta al popolo di Israele. Un Salmo della scuola farisaica del tempo descrive il Messia atteso come discendente della famiglia regale di Davide, che scaccia gli empi e gli stranieri dalla Terra promessa e da Gerusalemme governa tutti i regni della terra.
    Luca descrive la reazione imprevedibile di Gesù, ancora con una frase importante per i discepoli di ogni tempo, chiamati ad annunciare il Vangelo a tutti: "Con tono severo, egli ordinò a loro di non dire questo a nessuno". Gesù con chiarezza e forza ordina ai discepoli di non annunciare un "Cristo di Dio" trionfante. Invece comincia a dire chi lui "deve" essere per realizzare ciò che il Padre vuole che sia: "Bisogna che il Figlio dell'uomo soffra molto, che sia rifiutato dagli Anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, che sia messo a morte e che risorga il terzo giorno".
    Ecco l'identità di Gesù: se egli è il "Cristo di Dio" lo è al di fuori di ogni idea di Messia di un Dio che si innalza, ma di un Dio che serve, che discende. È il "Cristo di Dio" perché è il "Figlio dell'uomo" che percorre tutta la via della carne umana nella sua sofferenza, non cercando il potere di ogni tipo, non arrogandosi il diritto di farsi superiore agli altri, ma accettando che la sua forza sia soltanto l'Amore con il quale il Padre lo ama nella fragilità della carne condivisa con tutta la creazione. Gesù è il Messia perché è la presenza nel mondo di un Dio che condivide l'umanità, incarnandosi, capovolgendo la logica umana che non può pensare che Dio sia dentro la carne per amarla ma pensa sempre che Dio voglia che l'uomo esca dalla sua carne per raggiungere lui.
    Arrivare a comprendere chi è Gesù, non come noi vorremmo che fosse, ma con la forza sconvolgente dell'Amore di un Dio che si incarna, non è la conclusione di una operazione intellettuale, ma è il frutto di un\'esperienza: solo chi si lascia amare da lui, solo chi lascia che la sua misericordia entri nella fragilità peccatrice umana, solo chi sente che il cuore dell'uomo comincia ad amare quando batte all'unisono con il suo cuore, può conoscere chi lui è.
    Per questo Gesù dice a tutti, anche a coloro (anche a noi!) che troppo facilmente danno per scontato di essere suoi discepoli: "Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda ogni giorno la sua croce e mi segua..." L'identità di Gesù è l'opposto di ciò che il mondo sente come valido per la riuscita dell'uomo: l'identità di Gesù espone alla derisione del mondo, alla rinuncia a propri progetti (anche buoni!), alla rinuncia al potere, al denaro, agli onori. L'identità di Gesù appare pienamente sulla Croce: solo chi prende ogni giorno la propria croce e segue lui, nella comunione del cuore, può capire chi lui è. Solo Amore concreto, quotidiano, che porta la gioia, dove non c'è la gioia. Che si dona anche al nemico, perché sa che anche il cuore di chi è così povero che non sa amare, fa le guerre piccole o grandi, trama e intriga, ha bisogno di essere amato. Che prega il Padre perché perdoni chi lo mette in Croce, perché non sa quello che fa.
    L'identità di Gesù è un cuore umano che ama con la follia di Dio: solo chi si lascia amare può conoscerlo!

  • 16 Giugno - XI Domenica del Tempo Ordinario

    Commento al Vangelo della XI Domenica del Tempo Ordinario

    Lc 7, 36 - 8,3

     

    Individuata tradizionalmente come «pubblica peccatrice perdonata o pentita», la donna del profumo è una delle tante donne anonime che compaiono nel vangelo. di Luca. Alcuni la
    scambiano con Maria di Betania, la sorella di Marta e Lazzaro, o con Mana Maddalena, dalla quale Gesù scacciò sette demoni, o persino con la donna adultera che si trovò nell'imminente pericolo di essere lapidata dai suoi accusatori. Per noi, invece, è semplicemente la donna del profumo è colei che versò il suo vaso di alabastro sopra i piedi del maestro. «La donna del profumo". Perché vogliamo avvicinarci al testo evangelico da una prospettiva nuova, vogliamo contemplarlo con occhi nuovi, vogliamo ascoltarlo con orecchie nuove, vogliamo accarezzarlo con mani nuove, vogliamo gustare tutti i suoi sapori, scoprirne le sfumature e i riecheggi, vogliamo aspirare liberamente e gioiosamente il suo penetrante profumo.
    Quello di Luca è il vangelo che narra in maggior numero storie di donne. È l'unico che ci racconta la storia di Elisabetta, di Maria, di Anna, della vedova di Naim, della donna del profumo, di Maria Maddalena, di Giovanna, di Susanna e di altre donne della Galilea, di Marta e Maria, della donna curva, della donna che cerca la moneta perduta, della vedova insistente e delle donne che piangono Gesù in cammino verso il Calvario. Sono tutte esclusive  narrazioni di Luca, anche se nel suo vangelo troviamo altre storie di donne che hanno la loro parallela comparsa nei vangeli di Marco e di Matteo: la storia della suocera di Simone, della figlia di Giairo e dell'emorroissa, della donna che impasta il pane, della vedova povera che dona tutto quanto ha, delle donne della Galilea che danno testimonianza della morte e sepoltura di Gesù e scoprono la tomba vuota.
    Tra tutte le donne che abbiamo appena nominato, la nostra protagonista (Lc 7, 36-50) è l'unica donna che riceve il perdono di Gesù; è l'unica donna che, senza chiederlo, è liberata da una malattia, non del corpo ma dello spirito. La donna del profumo non è cieca, né lebbrosa, né sordomuta, né paralitica, non ha perdite di sangue, non è posseduta dal demonio... TI suo male è di altro ordine: la donna del profumo ha vissuto una vita di peccato.
    E Gesù, il pedagogo, il terapeuta, applica un rimedio di efficacia istantanea. Perdona all'istante tutti i suoi peccati. Non li ricorda più, non li conta più, non li classifica. Il rimedio
    di Gesù rigenera nel cuore distrutto della donna i sentimenti più delicati dell'essere umano: amore e gratitudine. La donna del profumo è la donna del molto amore, la donna della gratitudine infinita, la donna che non sa esprimere in parole quanto il suo cuore sente per Gesù. E giacché non sa parlare, il suo cuore la spinge ad un gesto audace: lava i piedi a Gesù, li asciuga, li profuma, li bacia.

  • Video Ordinazione Diaconale Gabriele D'Annibale

    http://www.youtube.com/watch?v=xksaObSCclc&feature=youtu.be

  • Video Ordinazione Diaconale Gabriele D'Annibale

    http://www.youtube.com/watch?v=xksaObSCclc&feature=youtu.be

  • Festa Diocesana Azione Cattolica

  • X Domenica del Tempo Ordinario

    Commento al Vangelo della X Domenica del Tempo Ordinario

    Anno C  -  Lc 7, 11-17

     

    Nel piccolo paesino di Naim giunge Gesù accompagnato dai discepoli e da una folla numerosa, che canta e loda Dio con gioia. Mentre Egli sta per entrare attraverso la porta cittadina, ecco uscirne un corteo funebre. S'incontrano dunque due processioni: la processione "della morte", che esce dalla città ed accompagna la vedova che porta il suo unico figlio verso il sepolcro, e la processione "della vita", che entra in città ed accompagna Gesù.
    Il Vangelo racconta con straziante semplicità che il giovanetto era l'unico figlio di una madre rimasta vedova. Su quel figlio la povera madre aveva concentrato tutto il suo amore e le sue speranze. Ed ora veniva proprio colpita nel suo affetto più caro.
    E' la compassione che spinge Gesù a parlare e ad agire. Compassione significa letteralmente "soffrire con", assumere il dolore dell'altra persona, identificarsi con lei, sentire con lei il dolore. E' la compassione che mette in azione in Gesù il suo potere: il potere della vita sulla morte.
    Il caso era particolarmente pietoso, e forse ciò spiega anche perché molta gente della città era con lei. Vedendola, il Signore fu preso da grande compassione per lei e le disse: "Non piangere!". Queste due parole erano state certamente ripetute centinaia o migliaia di volte in quella giornata alla povera donna, ma rimanevano soltanto parole e non avevano su di lei lo stesso effetto di quando le ha pronunciate Gesù.
    Riferisce il Vangelo: Vedutala, il Signore ebbe pietà di lei. Dicevamo che Gesù si sentì fortemente commosso. Non chiese e non pretese dalla poveretta nulla che costituisse un atto di fede nei suoi riguardi. Si avvicinò e toccò la bara, mentre i portatori si fermarono. "Ragazzo, dico a te, àlzati!" Il morto si mise seduto e cominciò a parlare. E lo restituì a sua madre.
    A volte, nel momento di un grande dolore causato dalla morte di una persona amata, qualcuno potrebbe dire: "Al tempo di Gesù, quando Egli camminava su questa terra, c'era speranza di non perdere una persona cara, poiché il Signore poteva risuscitarla". Queste persone considererebbero dunque l'episodio della risurrezione del figlio della vedova di Nain come un evento del passato, che suscita nostalgia e forse una certa invidia. L'intenzione del Vangelo, non può essere certo questa, bensì vuole aiutarci a sperimentare meglio la presenza viva di Gesù in mezzo a noi. E' lo Stesso Gesù, capace di vincere la morte e il dolore della morte, che continua a operare vivo in mezzo a noi. Lui è con noi oggi e, dinanzi ai problemi del dolore che ci abbattono, ci ripete: "Dico a te, alzati!"
    La descrizione è quanto di più vivo ed immediato si possa immaginare; nella scena c'è tutto il realismo dei portatori che si fermano sorpresi da quell'inaspettato intervento, e del morto tornato in vita che sbalordito ben più dei portatori, per prima cosa si mette a sedere sulla bara, quasi per prendere il tempo per orientarsi e rendersi conto di quanto era successo..
    Gesù ha operato in nome proprio, per virtù di un potere soprannaturale, avendo cura di affermarlo esplicitamente. E' stata questa la dimostrazione, la prova sperimentale di un'affermazione che Gesù aveva fatto un anno prima a Gerusalemme, quando i farisei lo avevano accusato di essere un bestemmiatore perché non soltanto violava il sabato, ma chiamava Dio suo Padre, facendosi uguale a Dio. Il potere di risuscitare i morti appartiene solo a Dio. Egli possiede questo potere in nome proprio; perciò Egli è Dio.
    Dal pianto si passa alla gioia. Glorificavano Dio, dicendo: "Un grande profeta è sorto tra noi". Dio ha visitato il suo popolo. Gesù ha pietà di una donna che non conosceva. Chissà quante donne sofferenti avrà incontrato, ma lei Lo ha colpito in modo particolare. I Suoi discepoli, coloro che Lo seguivano, stavano cantando, facevano festa, e forse questo Lo ha fatto commuovere. Come dire: "Noi stiamo ballando e cantando e qui c'è una donna che rimane sola, che soffre, che piange per la perdita di un figlio e con lei tutto il villaggio".
    E che dire della donna? Probabilmente non avrebbe mai pensato che a consolarla di questo grande dolore si fosse presentato proprio Gesù stesso. Non Lo conosceva, ma ne avrà sicuramente sentito parlare; infatti, Gesù aveva già pronunciato il cosiddetto discorso delle beatitudini e tante persone Lo avevano ascoltato. Poteva anche aver pensato: "Adesso che io rimango sola, senza marito e senza figlio, quel Gesù di cui tanti parlano bene, dov'è?" Quando meno se lo aspetta, lo scorge innanzi a sè e non solo Egli la consola, ma compie per lei il miracolo di ridonarle il figlio.
    Possiamo chiederci: Mi è mai capitato di sentire Gesù accanto, anche fisicamente? "Una persona dice: "A me sì, attraverso la guida spirituale, quando non molto tempo fa mi ha detto: "Non piangere, sii fiduciosa, vedrai che questo dolore passerà e rimarrà solo il ricordo di un brutto momento. Offri a Lui e starai meglio. E, se non passa, quella è la tua croce: Gesù ti darà la forza per portarla".
    In questi casi, come alla vedova, Gesù non ci chiede niente di particolare, ma di fidarci soltanto di Lui, anche se non capiamo.
    In quante circostanze ci siamo chiesti: "Gesù dove sei?" A volte ci sembra lontano, invece è lì, non Lo vediamo, non Lo sentiamo ma è lì. Prima o poi capiremo perché Lui non si fa sentire. O forse siamo noi che non riusciamo a sentirlo?
    La compassione spinse Gesù a risuscitare il figlio della vedova. Il dolore degli altri produce in me la stessa compassione? Cosa faccio per aiutare l'altro a vincere il dolore e a rendere nuova la sua vita?
    Gesù non conosceva questa donna, quindi la compassione che Gesù chiede a noi, da questo momento in poi, non è solo per le persone che amiamo, ma anche per le persone che non conosciamo e soprattutto per quelle che ci fanno soffrire.
    Gesù ci chiede di avere compassione per chiunque. Se siamo realmente cristiani e soprattutto se percorriamo un cammino che debba portarci alla santità, dobbiamo soffrire con.... tutti. Il Signore ci ricompenserà.

  • Nomina del nuovo Parroco - Rev.do D. G. Paolo Palliparambil

    In occasione della giornata sacerdotale a conclusione dell'anno pastorale, Solennità del Sacratissimo cuore di Gesù, il vescovo ha comunicato una serie di avvicendamenti nella guida pastorale di alcune nostre Comunità parrocchiali.

      1. Il Rev.do Mons. Giovanni Cassata rinuncia all’ufficio di parroco di S. Michele Arcangelo in Aprilia dovendo, per ragioni personali, rientrare nella sua terra natale.
      2. Il Rev. do Mons. Franco Marando è trasferito dalla parrocchia San Pancrazio martire (Basilica Cattedrale) in Albano alla parrocchia S. Michele Arcangelo in Aprilia.
      3. Il Rev.do Mons. Adriano Gibellini è trasferito dalla Parrocchia S. Pietro apostolo in Ardea alla parrocchia San Pancrazio martire (Basilica Cattedrale) in Albano;
      4. Il Rev.do Mons. Aldo Anfuso è nominato parroco della Parrocchia S. Pietro apostolo in Ardea.
    1. Il Rev.do Mons. Umberto Galeassi rinuncia, a motivo dell’età, alla parrocchia Cuore Immacolato della Vergine Maria in Albano.
    2. Il Rev.do D. G. Paolo Palliparambil è nominato parroco della parrocchia Cuore Immacolato della Vergine Maria in Albano.
    3. Il Rev.do D. Andrea Giovannini è nominato Amministratore Parrocchiale della Parrocchia San Giovanni Battista in Aprilia-Campoleone, essendo terminato il triennio di affidamento delle medesima parrocchia al Rev.do D. Reyes Gonzalez Diaz, il quale è già rientrato nella Diocesi di origine nel Messico insieme col Vicario Parrocchiale D. Augusto Garcia Lopez.
    4. Per ragioni di salute il Rev.do D. Gian Paolo Pizzorno ha presentato rinuncia all’ufficio di Parroco nella Parrocchia dell’Esaltazione della Santa Croce in Nettuno – loc. Sandalo.
    5. Il Rev.do D. Marco Romano è nominato Parroco della Parrocchia dell’Esaltazione della Santa Croce in Nettuno – loc. Sandalo
  • Video Festa Titolare 2013

    http://www.youtube.com/watch?v=RcfHg-yRS6c&feature=youtu.be

  • Santissimo Corpo e Sangue di Cristo

    Commento al Vangelo nella Domenica del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo

    Luca 9, 11-17

    Onoriamo e adoriamo oggi il "Corpo del Signore", spezzato e donato per la salvezza di tutti gli uomini, fatto cibo per sostenere la nostra "vita nello Spirito". Gesù ha moltiplicato i pani e i pesci per nutrire la folla che lo seguiva: il cibo fisico agisce in me anche quando non ci penso, anche quando dormo si trasforma in carne, sangue, energie vitali. Il cibo spirituale è diverso: è efficace se io collaboro con Cristo, che vuole trasformare la mia vita nella sua.

    L'Eucaristia è la festa della fede, stimola e rafforza la fede. I nostri rapporti con Dio sono avvolti nel mistero: ci vuole un gran coraggio e una grande fede per dire: "Qui c'è il Signore!". Se guardo a me stesso, mi trovo sempre piccolo, imperfetto, peccatore, pieno di limiti. Eppure Dio mi ama, come ama tutti gli uomini, fino a farsi nostro cibo e bevanda per comunicarci la sua vita divina, farci vivere la sua vita di amore.

    L'Eucaristia non è credibile se rimane un rito, il ricordo di un fatto successo duemila anni fa. È invece una "scuola di vita", una proposta di amore che coinvolge tutta la mia vita: deve rendermi disponibile ad amare il prossimo, fino a dare la mia vita per gli altri. Secondo l'esempio che Gesù ci ha lasciato.

    Omelia

    Nella seconda lettura di questa festa, san Paolo ci presenta il più antico resoconto della istituzione dell'Eucaristia, scritto non più di una ventina d'anni dopo il fatto. Cerchiamo di scoprire qualcosa di nuovo del mistero eucaristico, servendoci del concetto di memoriale: "Fate questo in memoria di me".

    La memoria è una delle facoltà più misteriose e più grandiose dello spirito umano. Tutte le cose viste, udite, pensate e fatte fin dalla prima infanzia, sono conservate in questo seno immenso, pronte a ridestarsi e a balzare alla luce, a un richiamo esterno o della stessa nostra volontà. Senza memoria, cesseremmo di essere noi stessi, perderemmo la nostra identità. Chi è colpito da amnesia totale, vaga smarrito per le strade, senza sapere né come si chiama, né dove abita.

    Il ricordo, al suo affacciarsi alla mente, ha il potere di catalizzare tutto il nostro mondo interiore e convogliarlo verso il suo oggetto, specie se questo non è una cosa o un fatto, ma una persona viva. Quando una mamma si ricorda del suo bambino che ha dato alla luce da pochi giorni e che ha lasciato a casa, tutto dentro di lei vola verso la sua creatura, un impeto di tenerezza sale dalle viscere materne e vela forse gli occhi di pianto.

    Non solo l'individuo, ma anche il gruppo umano -famiglia, clan, tribù, nazione- ha la sua memoria. La ricchezza di un popolo non si misura tanto dalle riserve auree che conserva nelle sue casseforti, quanto dalle memorie che conserva nella sua coscienza collettiva. È proprio il condividere gli stessi ricordi che cementa l'unità del gruppo. Per conservare vivi tali ricordi, essi vengono legati a un luogo, a una festa. Gli americani hanno il Memorial Day, giorno in cui ricordano i caduti di tutte le guerre; gli indiani, il Gandhi memorial, un parco verde in New Delhi che deve ricordare alla nazione quello che egli è stato e ha fatto per essa. Anche noi italiani abbiamo i nostri memoriali: le feste civili ricordano gli eventi più importanti della nostra storia recente e ai nostri uomini più illustri sono dedicate vie, piazze, aeroporti...

    Questo ricchissimo retroterra umano circa la memoria ci dovrebbe aiutare a capire meglio cos'è l'Eucaristia per il popolo cristiano. Essa è un memoriale perché ricorda l'evento a cui ormai tutta l'umanità deve la sua esistenza, come umanità redenta: la morte del Signore. Ma l'Eucaristia ha qualcosa che la distingue da ogni altro memoriale. Essa è memoria e presenza insieme, e presenza reale, non solo intenzionale; rende la persona realmente presente, anche se nascosta sotto i segni del pane e del vino. Il Memorial Day non può far sì che i caduti tornino in vita, il Gandhi memorial non può far sì che Gandhi sia vivo. Questo invece fa', secondo la fede dei cristiani, il memoriale eucaristico nei riguardi di Cristo.

    Ma insieme con tutte le cose belle che abbiamo detto della memoria, dobbiamo menzionare anche un pericolo insito in essa. La memoria si può trasformare facilmente in sterile e paralizzante nostalgia. Questo avviene quando la persona diviene prigioniera dei propri ricordi e finisce per vivere nel passato. Il memoriale eucaristico non appartiene davvero a questa specie di ricordi.

    Al contrario essa ci proietta in avanti; dopo la consacrazione, il popolo acclama: "Annunciamo la tua morte, Signore. Proclamiamo la tua risurrezione. Nell'attesa della tua venuta". Un'antifona attribuita a san Tommaso d'Aquino (O sacrum convivium) definisce l'Eucaristia il sacro convito in cui "si riceve Cristo, si celebra la memoria della sua passione, l'anima si riempie di grazia e a noi viene dato il pegno della gloria futura".
    Raniero Cantalamessa

  • Convegno Diocesano 2013

    Collegati al sito della Diocesi www.diocesidialbano.it per la diretta streaming

  • In anteprima ...

    In anteprima, le foto delle nuove statue che verranno collocate all'esterno della chiesa per l'allestimento del Presepe per  il prossimo Natale. Prima di tornare nella sua Diocesi, Don Andrea Camoirano ha condiviso con noi le sue doti artistiche, dipingendo con vernice a smalto le nuove statue realizzate su lamiera zincata, e quindi adatte a resistere agli agenti atmosferici.

    Grazie di cuore don Andrea!

     

     

  • Giugno. Tempo di ... saluti

    Un caro e affettuoso saluto va a Don Andrea Giovannini e a Don Andrea Camoirano che dopo due anni trascorsi tra noi ci lasciano per ricoprire nuovi incarichi.

    Don Andrea Giovannini è stato nominato Amministratore Parrochiale nella Parrocchia San Giovanni Battista a Campoleone, mentre Don Andrea Camoirano, dopo aver completato i suoi studi, rientra nella sua Diocesi, dove è stato nominato viceparroco nella Parrocchia San Paolo a Savona.

    Grazie per i momenti di riflessione che avete guidato insieme durante l' Avvento e la Quaresima, le catechesi ai genitori e la predicazione per il Triduo della Festa Titolare della Parrocchia. 

    Grazie per la vostra amicizia!

    Ora nuove comunità parrocchiali vi aspettano, con l'augurio di un proficuo lavoro, portando nel vostro cuore l'esperienza vissuta tra noi

    Un arrivederci  e... a presto!

  • 56° Anniversario di Ordinazione Presbiterale


    Venerdì 29 giugno, Solennità dei Santi Pietro e Paolo, il nostro Parroco Mons. Umberto Galeassi  ricorderà il 56° Anniversario di Ordinazione Presbiterale, durante la Celebrazione Eucaristica delle ore 18,30.

    Tutta la Comunità Parrocchiale augura un BUON ANNIVERSARIO e GRAZIE per l' infaticabile dedizione al ministero sacerdotale sempre a servizio della Chiesa di Cristo.

  • Domenica 24 Giugno: la Carità del Papa

    Domenica 24 giugno 2012 in tutte le diocesi italiane si celebra la Giornata della Carità del Papa chiamata usualmente Obolo di San Pietro «espressione della partecipazione di tutti i fedeli alle iniziative di bene del Vescovo di Roma nei confronti della Chiesa universale. E’ un gesto che ha valore non soltanto pratico, ma anche fortemente simbolico, come segno di comunione col Papa e di attenzione alle necessità dei fratelli» (Discorso di Benedetto XVI ai soci del circolo di san Pietro, 25 febbraio 2006).

    L’Obolo è una forma di sostegno di tutti i credenti al ministero dei successori di san Pietro per le molteplici necessità della Chiesa universale e per le opere di carità in favore dei più bisognosi attraverso iniziative umanitarie e di promozione sociale. Le offerte raccolte durante le celebrazioni della Messa di domenica 24 giugno nella nostra diocesi saranno devolute a favore dell’Obolo di San Pietro per concretizzare e rendere manifesti i legami di unità e di carità tra la Chiesa di Albano, radunata intorno al vescovo, e il successore di san Pietro.

    dal sito della Diocesi di Albano

  • Natività di San Giovanni Battista

    Commento al Vangelo della Natività di San Giovanni Battista

     

    In questa domenica la Chiesa celebra la solennità della nascita di Giovanni Battista, il precursore del Signore. La figura di Giovanni Battista è estremamente importante perché in lui l’Antico Testamento raggiunge il suo culmine. Il vangelo di oggi narra come sia avvenuta la nascita di Giovanni e come il suo nome sia voluto da Dio stesso.

    Questa nascita è motivo di grande gioia, l’Angelo annunciando la sua nascita a Zaccaria aveva preannunciato che molti si sarebbero rallegrati di questo evento.

    Possiamo vedere come questa gioia pervade in primo luogo Elisabetta, anziana e sterile, che riceve il dono della maternità e al momento del parto con lei tutti si rallegrano. Solo la gioia di Zaccaria suo padre è colma di stupore e di incredulità al punto che rimane muto quando gli viene annunciata la nascita di questo figlio sino al momento di decidere il nome del nascituro, momento durante il quale la sua gioia si trasforma in preghiera di lode e di benedizione verso il Signore: “benedetto il Signore Dio d’Israele perché ha visitato e redento il suo popolo…”

    Questi eventi segnati dalla gioia e dall’esultanza impressionano fortemente la gente che vi assiste e meravigliano ognuno di noi, perché la mano di Dio è visibile nella storia, infatti questo bambino “cresceva e si fortificava nello spirito” per vivere in unione con Dio e fare la sua volontà cioè preparare la via del Signore, preparare il popolo ad accogliere il Messia.

    Giovanni si prepara a questa missione vivendo nel deserto una vita austera caratterizzata dalla preghiera e dall’ascolto della voce di Dio, fa verità nella sua vita e nella vita delle persone che a lui si rivolgono, annuncia la conversione e il perdono dei peccati, chiede di preparare il cuore non attraverso atti esteriori ma attraverso un cambiamento radicale dell’esistenza. Il suo annuncio è forte e senza paura, non teme nemmeno Erode di cui denuncia il peccato.

    Allo stesso tempo si mostra un uomo umile, che conosce i propri limiti, “non sono io il messia”, ma di fronte a Gesù s’inchina “non sono degno di sciogliere nemmeno i legacci dei sandali”. Il battista non vuole attirare l’attenzione su di sé, ma sulla Parola di Dio, sulla Grazia di Dio e sull’Inviato di Dio, il Messia che deve venire.

    La sua fedeltà alla missione affidatagli da Dio e la sua umiltà nel compierla caratterizzano tutta la sua vita, anche il momento più difficile quello della prigionia e del martirio.

    Oggi siamo chiamati a rallegrarci, ma anche a prendere coscienza che siamo chiamati ad ascoltare i profeti che il Signore ha messo sulla nostra strada, nel nostro tempo, cambiando la nostra vita e accogliendo il Messia che ancora oggi viene a prendere possesso delle nostre vite. Inoltre siamo chiamati ad essere noi profeti e annunciatori, nell’umiltà, nella gioia e senza paura.

     

  • Campo Estivo Parrocchiale



    Dal 28 giugno al 1 luglio

    Monastero di Vallechiara

    (Via Fontana Parata, 8 - Lanuvio)

     

     

  • XI Domenica del Tempo Ordinario

    Commento al Vangelo della XI domenica del Tempo Ordinario

    Anno B

     

    La liturgia di oggi ci fa meditare su due atteggiamenti che il cristiano deve vivere ogni giorno: la fiducia ed il coraggio.

    La prima lettura tratta dal profeta Ezechiele parla di una crescita straordinaria, “un ramoscello io [Dio] prenderò dalla cima del cedro… lo pianterò… metterà rami e farà frutti e diventerà un cedro magnifico” (Ez 17,22-23), vediamo il contrasto tra un piccolo ramoscello, che può sembrare disprezzabile, e ciò che diventa un cedro magnifico nelle mani del Signore. Il popolo d’Israele che viveva la crisi della deportazione in Babilonia, viene esortato dal profeta a non scoraggiarsi, perché anche da un piccolo resto il Signore può far crescere una grande e potente nazione. Ma per avvenire questo è necessario avere un atteggiamento filiale di umiltà e di fiducia, riporre la propria vita nelle mani di Dio, che umilia i superbi e innalza gli umili.

    Nel Vangelo Gesù parla alla folla e ai suoi discepoli, il suo modo di relazionarsi è conforme alla capacità di ognuno di comprendere: “con molte parabole di questo genere annunziava loro la parola secondo quello che potevano intendere. Senza parabole non parlava loro; ma in privato, ai suoi discepoli, spiegava ogni cosa”.

    Gesù è vicino a chi ha un cuore disponibile all’ascolto e le sue parole sono comprensibili per tutti. Il vangelo di questa settimana ci fa ascoltare dalla voce di Gesù due parabole che ci spiegano cos’è il Regno di Dio e come poterlo accogliere e vivere. Un testo molto bello può aiutarci a comprendere queste parabole afferma: «Qual cosa è più grande del regno dei cieli, e più pic­cola di un granello di senape? Come ha potuto pa­ragonare l’immenso regno dei cieli a questo picco­lissimo seme così facile a misurare? Se però consideriamo che cosa sia un granello di senape, troveremo come il paragone sia perfetto e secondo natura. Cos’è il regno dei cieli, se non il Cristo? Egli dice di sé: II regno di Dio è in mezzo a voi (Lc 17, 21). Nulla è più grande del Cristo secondo la sua natura divina […]. Ma che cosa vi è di più piccolo del Cristo, che secondo l’economia dell’incarnazione si fece inferiore agli angeli e agli uo­mini? […] Come si è fatto nel­lo stesso tempo regno dei cieli e granello? Grande e piccolo come possono essere uguali? Per la grandezza della sua misericordia verso l’uomo che è terra, si è fatto tutto a tutti per guadagnare tutti. Per natura sua era Dio, così come lo è e sarà, e si è fatto uomo per la nostra salvezza. O seme per il quale è stato fatto il mondo, sono state dissipate le tenebre e la Chiesa è rinnovata! Questo granello sospeso alla croce ebbe tanta forza che, sebbene fosse egli stesso inchiodato, con una sola parola strappò il ladrone dal legno e lo portò nelle delizie del paradiso; questo grano, ferito nel fianco dalla lancia, stillò una bevanda per gli asse­tati d’immortalità; questo grano di senape, tolto dal legno e sepolto nell’orto, riempì coi suoi rami tutta la terra. Questo grano, sepolto nel campo, affondò le sue radici negl’inferi e traendo fuori, a sé, le anime che si trovavano laggiù, in tre giorni le richiamò al cielo. II regno dei cieli si può paragonare a un granelli­no di senape, che un uomo prende e semina nel suo campo (Mt 13. 31). Semina questo grano di senape nel campo della tua anima. Allora anche a te il profe­ta dirà: Sarai come un giardino irrigato e come una sor­gente le cui acque non inaridiscono (Is 58, 11). […] Egli guarisce col suo calore i mali della nostra anima; sotto questo albero siamo irrorati dalla rugiada e protetti dall’agitazione di questo mon­do. È lui che con la morte fu seminato nella terra e vi porta frutto, lui dopo tre giorni risuscitò i santi dai sepolcri e con la sua risurrezione apparve il più grande di tutti i profeti. Egli sostiene ogni cosa con lo Spirito del Padre; lui, che sbocciò dalla terra al cielo, dato che fu seminato nel proprio campo, cioè nel mondo, e porto al Padre quelli che credevano in lui. O seme della vita, seminato da Dio Padre sulla terra! O germe dell’immortalità, che riconcili a Dio quelli che nutri!» (Attribuito a S. Giovanni Crisostomo Dall’Omelia 7)

     

  • Corpus Domini

    Commento al Vangelo Solennità del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo  

     

    L’Antico Testamento è caratterizzato dall’Alleanza di Dio con il popolo eletto, ma questa è un’alleanza esterna che non si è radicata profondamente nel cuore dell’uomo. Mosè per sancire l’alleanza prende il sangue degli animali e vi asperge il popolo ma questo non cambia il cuore dell’uomo, non porta a quell’unione radicale e profonda dell’uomo con il suo Dio. Quest’alleanza è un rito simbolico che prefigura, anche se in modo imperfetto, la vera ed eterna alleanza che si è compiuta in Cristo.

    L’episodio del Vangelo che ascoltiamo in questa Solennità è un episodio cruciale della vita di Gesù e gli ne mettono in luce l’importanza attraverso la ricchezza di particolari che il racconto ci dona. Nulla è lasciato al caso tutto è ben preparato e pronto per vivere il grande evento della cena pasquale.

    Durante l’ultima cena Gesù fa un gesto sorprendente “Mentre mangiavano prese il pane e, pronunziata la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: «Prendete, questo è il mio corpo». Poi prese il calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti. E disse: «Questo è il mio sangue, il sangue dell`alleanza versato per molti»”.

    Gesù fonda la nuova ed eterna alleanza non con il sangue di vittime ma attraverso il suo sacrificio che sta per compiersi: ha preso il suo sacrificio, il suo dolore e la sua morte per trasformale liberamente in sacrificio di alleanza. Il suo sangue sparso sulla croce è il sangue della nuova ed eterna alleanza.

    L’istituzione dell’eucarestia da parte di Gesù illumina tutti gli avvenimenti che stanno per compiersi, diventa criterio interpretativo di tutta la sua passione: il Cristo verrà arrestato, accusato, condannata ingiustamente e messo a morte sulla croce. L’ultima cena anticipa questi eventi, umanamente negativi, e li riempie di significato positivo infatti Gesù attraverso la donazione totale di sé nella sua passione morte e resurrezione trasforma la morte stessa in un dono di amore, fonda la nuova ed eterna alleanza. Infatti senza l’istituzione dell’eucarestia saremmo rimasti nelle tenebre, il calvario deve essere letto alla luce dell’ultima cena che lo trasforma attraverso il cuore di Gesù in un evento positivo, in cui l’amore vince il male e la morte.

    Questa trasformazione che Gesù ha attua nell’ultima cena, viene da lui attuata nuovamente in ogni celebrazione eucaristica, e noi siamo chiamati a partecipare a questo dono d’amore e di redenzione che il Signore continua ad offrirci per mezzo della Chiesa.

     

     

     

  • Corpus Domini



    Giovedì 7 giugno, alle ore 19,00 presso la Chiesa di S. Pietro Apostolo, in Albano, S. Messa presieduta dal Vescovo in occasione della Solennità del Corpus Domini.

    Al termine della S. Messa, processione lungo le vie della città ( Piazza S. Pietro, Corso Matteotti, via della Stella) con il Santissimo Sacramento.

    Siamo tutti invitati a partecipare, in particolare i bambini che quest'anno hanno ricevuto per la prima volta l'Eucaristia, con il loro abito della festa.

    In parrocchia, la S. Messa delle ore 18.30 non sarà celebrata.

    In allegato l'omelia del Vescovo.

  • Festa Titolare 2012: alcune foto

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