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  • Lettera del vescovo per l’avvio delle attività pastorali

    In seguito alla pubblicazione, da parte della Cei, delle "Linee orientative per la ripresa dei percorsi educativi per minori", il vescovo Marcello Semeraro ha autorizzato la ripresa delle diverse attività pastorali, comunicandolo con una lettera al presbiterio diocesano. Il documento, inoltre, fornisce una serie di indicazioni circa l'adozione di misure di prevenzione per evitare il contagio da Covid-19, e dispone che in tutte le parrocchie della diocesi di Albano l'inizio dell'anno catechistico sia fissato nella prima domenica di Avvento, e che il suo svolgimento seguirà l'andamento dell'anno liturgico per concludersi nella solennità di Cristo Re, Signore dell'Universo.
    «È giunto il momento – scrive Semeraro – di riavviare col dovuto buon senso tutte le altre attività pastorali. Fissare la data di inizio del nuovo anno catechistico con l'avvio dell'anno liturgico ci permette, inoltre, di distinguere il tempo della catechesi dei fanciulli dal tempo della scuola e pure di non gravare sui genitori, già preoccupati per i complicato avvio dell'anno scolastico».
    In allegato, la lettera del vescovo al presbiterio diocesano.

     

    (fonte Sito web Diocesi di Albano)

  • Inizio anno pastorale 2018/2019

    PER SCARICARE IL MODULO PER L'ISCRIZIONE E CONFERMA AL CATECHISMO, CLICCA IL RIQUADRO "ALLEGATI"

  • 1° Ottobre 2017: XXVI Domenica del Tempo Ordinario

    XXVI Domenica del Tempo Ordinario

    Letture: Ezechiele 18,25-28; Salmo 24; Filippesi 2,1-11; Matteo 21,28-32

    Anno A

     

    In quel tempo, disse Gesù ai principi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: «Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli; rivoltosi al primo disse: Figlio, va' oggi a lavorare nella vigna. Ed egli rispose: Sì, signore; ma non andò. Rivoltosi al secondo, gli disse lo stesso. Ed egli rispose: Non ne ho voglia; ma poi, pentitosi, ci andò. Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?». Dicono: «L'ultimo».
    E Gesù disse loro: «In verità vi dico: I pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. È venuto a voi Giovanni nella via della giustizia e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, pur avendo visto queste cose, non vi siete nemmeno pentiti per credergli».

     

    Un uomo aveva due figli!. Ed è come dire: Un uomo aveva due cuori. Ognuno di noi ha in sé un cuore diviso; un cuore che dice "sì" e uno che dice "no"; un cuore che dice e poi si contraddice. L'obiettivo santo dell'uomo è avere un cuore unificato.
    Il primo figlio rispose: non ne ho voglia, ma poi si pentì e vi andò. Il primo figlio è un ribelle; il secondo, che dice "sì" e non fa, è un servile. Non si illude Gesù. Conosce bene come siamo fatti: non esiste un terzo figlio ideale, che vive la perfetta coerenza tra il dire e il fare.
    Il primo figlio, vivo, reattivo, impulsivo che prima di aderire a suo padre prova il bisogno imperioso, vitale, di fronteggiarlo, di misurarsi con lui, di contraddirlo, non ha nulla di servile. L'altro figlio che dice "sì, signore" e non fa è un adolescente immaturo che si accontenta di apparire. Uomo di maschere e di paure.
    I due fratelli della parabola, pur così diversi, hanno tuttavia qualcosa in comune, la stessa idea del padre: un padre-padrone al quale sottomettersi oppure ribellarsi, ma in fondo da eludere. Qualcosa però viene a disarmare il rifiuto del primo figlio: si pentì. Pentirsi significa cambiare modo di vedere il padre e la vigna: la vigna è molto più che fatica e sudore, è il luogo dove è racchiusa una profezia di gioia (il vino) per tutta la casa. E il padre è custode di gioia condivisa.
    Chi dei due figli ha fatto la volontà del Padre? Parola centrale. Volontà di Dio è forse mettere alla prova i due figli, misurare la loro obbedienza? No, la sua volontà è la fioritura piena della vigna che è la vita nel mondo; è una casa abitata da figli liberi e non da servi sottomessi.
    Gesù prosegue con una delle sue parole più dure e più consolanti: I pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel Regno di Dio. Perché hanno detto "no", e la loro vita era senza frutti, ma poi hanno cambiato vita. Dura la frase! Perché si rivolge a noi, che a parole diciamo "sì", ma poi siamo sterili di frutti buoni. Cristiani di facciata o di sostanza? Solo credenti, o finalmente anche credibili?
    Ma è consolante questa parola, perché in Dio non c'è ombra di condanna, solo la promessa di una vita totalmente rinnovata per tutti. Dio non rinchiude nessuno nei suoi ergastoli passati, nessuno; ha fiducia sempre, in ogni uomo; ha fiducia nelle prostitute e ha fiducia anche in me, in tutti noi, nonostante i nostri errori e i nostri ritardi. Dio si fida del mio cuore. E io «accosterò le mie labbra alla sorgente del cuore» (San Bernardo) unificato, «perché da esso sgorga la vita» (Proverbi 4,23), il senso, la conversione: Dio non è un dovere, è stupore e libertà, un vino di festa per il futuro del mondo.

  • 24 Settembre 2017: XXV Domenica del Tempo Ordinario

    XXV Domenica del Tempo Ordinario

    Letture: Isaia 55,6-9; Salmo 144; Filippesi 1,20-24.27; Matteo 20,1-16

    Anno A

     

    In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: «Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all'alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. Si accordò con loro per un denaro al giorno e li mandò nella sua vigna. Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano in piazza, disoccupati, e disse loro: "Andate anche voi nella vigna; quello che è giusto ve lo darò". Ed essi andarono. Uscì di nuovo verso mezzogiorno e verso le tre, e fece altrettanto. Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano lì e disse loro: "Perché ve ne state qui tutto il giorno senza far niente?". Gli risposero: "Perché nessuno ci ha presi a giornata". Ed egli disse loro: "Andate anche voi nella vigna". [...]»

     

    Il Vangelo è pieno di vigne e di viti, come il Cantico dei cantici. La vigna è, tra tutti, il campo più amato, in cui il contadino investe più lavoro e più passione, gioia e fatica, sudore e poesia. Vigna di Dio e suoi operai siamo noi, profezia di grappoli colmi di sole.
    Un padrone esce all'alba in cerca di lavoratori, e lo farà per ben cinque volte, fino quasi al tramonto, pressato da un motivo che non è il lavoro, tantomeno la sua incapacità di calcolare le braccia necessarie. C'è dell'altro: Perché ve ne state qui tutto il giorno senza fare niente? Il padrone si interessa e si prende cura di quegli uomini, più ancora che della sua vigna. Qui seduti, senza far niente: il lavoro è la dignità dell'uomo. Un Signore che si leva contro la cultura dello scarto!
    E poi, il cuore della parabola: il momento della paga. Primo gesto contromano: cominciare dagli ultimi, che hanno lavorato un'ora soltanto. Secondo gesto contro logica: pagare un'ora soltanto di lavoro quanto una giornata di dodici ore.
    Mi commuove il Dio presentato da Gesù: un Dio che con quel denaro, che giunge insperato e benedetto a quattro quinti dei lavoratori, vuole dare ad ognuno quello che è necessario a mantenere la famiglia quel giorno, il pane quotidiano.
    Il nostro Dio è differente, non è un padrone che fa di conto e dà a ciascuno il suo, ma un signore che dà a ciascuno il meglio, che estende a tutti il miglior dei contratti. Un Dio la cui prima legge è che l'uomo viva. Non è ingiusto verso i primi, è generoso verso gli ultimi. Dio non paga, dona.
    È il Dio della bontà senza perché, che trasgredisce tutte le regole dell'economia, che sa ancora saziarci di sorprese, che ama in perdita. Anzi la nostra più bella speranza è un Dio che non sa far di conto: per lui i due spiccioli della vedova valgono più delle ricche offerte dei ricchi; per quelli come lui c'è più gioia nel dare che nel ricevere.
    E crea una vertigine dentro il nostro modo mercantile di concepire la vita: mette l'uomo prima del mercato, il mio bisogno prima dei miei meriti.
    Quale vantaggio c'è, allora, a essere operai della prima ora? Solo un supplemento di fatica? Il vantaggio è quello di aver dato di più alla vita, di aver fatto fruttificare di più la terra, di aver reso più bella la vigna del mondo.
    Ti dispiace che io sia buono? No, Signore, non mi dispiace che Tu sia buono, perché sono io l'ultimo bracciante. Non mi dispiace, perché so che verrai a cercarmi ancora, anche quando si sarà fatto molto tardi.
    Io non ho bisogno di una paga, ma di grandi vigne da coltivare, grandi campi da seminare, e della promessa che una goccia di luce è nascosta anche nel cuore vivo del mio ultimo minuto.

  • 17 Settembre 2017: XXIV Domenica del Tempo Ordinario

    XXIV Domenica del Tempo Ordinario

    Letture: Siracide 27,33-28,9; Salmo 102; Romani 14,7-9; Matteo 18, 21-35

    ANNO A

     

    In quel tempo, Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?». E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette. Per questo, il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi. Aveva cominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva diecimila talenti. Poiché costui non era in grado di restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito. Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: "Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa". Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito.
    Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari (...).

     

    «Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette», cioè sempre. L'unica misura del perdono è perdonare senza misura. Perché il Vangelo di Gesù non è spostare un po' più avanti i paletti della morale, ma è la lieta notizia che l'amore di Dio non ha misura. Perché devo perdonare? Perché cancellare i debiti? La risposta è molto semplice: perché così fa Dio.
    Gesù lo racconta con la parabola dei due debitori. Il primo doveva una cifra iperbolica al suo signore, qualcosa come il bilancio di una città: un debito insolvibile. «Allora il servo, gettatosi a terra, lo supplicava..»" e il re provò compassione. Il re non è il campione del diritto, ma della compassione. Sente come suo il dolore del servo, e sente che questo conta più dei suoi diritti. Il dolore pesa più dell'oro. E per noi subito s'apre l'alternativa: o acquisire un cuore regale o mantenere un cuore servile come quello del grande debitore perdonato che, "appena uscito", trovò un servo come lui.
    "Appena uscito": non una settimana dopo, non il giorno dopo, non un'ora dopo. "Appena uscito", ancora immerso in una gioia insperata, appena liberato, appena restituito al futuro e alla famiglia. Appena dopo aver fatto l'esperienza di come sia un cuore di re, «presolo per il collo, lo strangolava gridando: "Dammi i miei centesimi"», lui perdonato di miliardi!
    Eppure, questo servo "'malvagio" non esige nulla che non sia suo diritto: vuole essere pagato. È giusto e spietato, onesto e al tempo stesso crudele. Così anche noi: bravissimi a calare sul piatto tutti i nostri diritti, abilissimi prestigiatori nel far scomparire i nostri doveri. E passiamo nel mondo come predatori anziché come servitori della vita.
    Giustizia umana è "dare a ciascuno il suo". Ma ecco che su questa linea dell'equivalenza, dell'equilibrio tra dare e avere, dei conti in pareggio, Gesù propone la logica di Dio, quella dell'eccedenza: perdonare settanta volte sette, amare i nemici, porgere l'altra guancia, dare senza misura, profumo di nardo per trecento denari.
    Quando non voglio perdonare (il perdono non è un istinto ma una decisione), quando di fronte a un'offesa riscuoto il mio debito con una contro offesa, non faccio altro che alzare il livello del dolore e della violenza. Anziché annullare il debito, stringo un nuovo laccio, aggiungo una sbarra alla prigione.
    Perdonare, invece, significa sciogliere questo nodo, significa lasciare andare, liberare dai tentacoli e dalle corde che ci annodano malignamente, credere nell'altro, guardare non al suo passato ma al suo futuro. Così fa Dio, che ci perdona non come uno smemorato, ma come un liberatore, fino a una misura che si prende gioco dei nostri numeri e della nostra logica.

  • 10 Settembre 2017 - XXIII Domenica del Tempo Ordinario

    XXIII Domenica del Tempo Ordinario

    Letture: Ezechiele 33,1.7-9; Salmo 94; Romani 13,8-10; Matteo 18,15-20

    Anno A

     

    In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te, va' e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; se non ascolterà, prendi ancora con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. Se poi non ascolterà costoro, dillo alla comunità; e se non ascolterà neanche la comunità, sia per te come il pagano e il pubblicano. In verità io vi dico: tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo. In verità io vi dico ancora: se due di voi sulla terra si metteranno d'accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro».

     

    Il perdono non consiste in una emozione, ma in una decisione. Non nasce come evento improvviso, ma come un percorso.
    La portata scandalosa del perdono, ciò che va contro tutti i nostri istinti, sta nel fatto che è la vittima che deve convertirsi, non colui che ha offeso, ma colui che ha subito l'offesa. Difficile, eppure il Vangelo assicura che è una possibilità offerta all'uomo, per un futuro risanato. «Il perdono è la de-creazione del male» (R. Panikkar), perché rattoppa incessantemente il tessuto continuamente lacerato delle nostre relazioni.
    Gesù indica un percorso in 5 passi. Il primo è il più esigente: tu puoi intervenire nella vita di un altro e toccarlo nell'intimo, non in nome di un ruolo o di una presunta verità, ma solo se ha preso carne e sangue dentro di te la parola fratello, come afferma Gesù: se tuo fratello pecca... Solo la fraternità reale legittima il dialogo. Quello vero: non quello politico, in cui si misurano le forze, ma quello evangelico in cui si misurano le sincerità.
    Il secondo momento: dopo aver interrogato il cuore, tu va' e parla, tu fa il primo passo, non chiuderti in un silenzio ostile, non fare l'offeso, ma sii tu a riallacciare la relazione. Lontano dalle scene, nel cuore della vita, tutto inizia dal mattoncino elementare di tutta la realtà, il rapporto io-tu.
    Se ti ascolta, avrai guadagnato tuo fratello. Verbo stupendo: guadagnare un fratello. Il fratello è un guadagno, un tesoro per te e per il mondo. Investire in fraternità è l'unica politica economica che produce vera crescita.
    Poi gli altri passi: prendi con te una o due persone, infine parlane alla comunità. E se non ascolta sia per te come il pagano e il pubblicano. Un escluso, uno scarto? No. Con lui ti comporterai come ha fatto Gesù, che siede a mensa con i pubblicani per annunciare la bella notizia della tenerezza di un Dio chino su ciascuno dei suoi figli.
    Tutto quello che legherete o che scioglierete sulla terra, lo sarà anche in cielo. Gesù non parla da giurista, non lo fa mai. «Il potere di perdonare il male non è il potere giuridico dell'assoluzione, è il potere di diventare una presenza trasfigurante anche nelle esperienze più squallide, più impure, più alterate dell'uomo» (Don Michele Do). È il potere conferito a tutti i fratelli di diventare presenza che de-crea il male, con gesti che vengono da Dio: perdonare i nemici, trasfigurare il dolore, immedesimarsi nel prossimo: è l'eternità che si insinua nell'istante. Infatti: ciò che scioglierete, come lui ha sciolto Lazzaro dalle bende della morte; ciò che legherete, come lui ha legato a sé uomini e donne; ciò che scioglierete avrà libertà per sempre, ciò che legherete avrà comunione per sempre.

  • Inizio Anno Catechistico 2017/2018

  • 3 Settembre 2017 - XXII Domenica del Tempo Ordinario

    XXII Domenica del Tempo Ordinario

    Letture: Geremia 20, 7-9; Salmo 62; Romani 12,1-2; Matteo 16,21-27

    Anno A

     

     

    In quel tempo, Gesù cominciò a spiegare ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto (...) e venire ucciso e risorgere il terzo giorno. Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo dicendo: «Dio non voglia, Signore; questo non ti accadrà mai». Ma egli, voltandosi, disse a Pietro: «Va' dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!». Allora Gesù disse ai suoi discepoli: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà. Infatti quale vantaggio avrà un uomo se guadagnerà il mondo intero, ma perderà la propria vita? O che cosa un uomo potrà dare in cambio della propria vita? Perché il Figlio dell'uomo sta per venire nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli, e allora renderà a ciascuno secondo le sue azioni».

     

    Se qualcuno vuole venire dietro a me... Ma perché seguirlo? Perché andare dietro a lui e alle sue idee? Semplice: per essere felice. Quindi Gesù detta le condizioni. Condizioni da vertigine. La prima: rinnegare se stesso. Parole pericolose, se capite male. Gesù non vuole dei frustrati al suo seguito, ma gente dalla vita piena, riuscita, compiuta, realizzata. Rinnegare se stessi non significa mortificare la propria persona, buttare via talenti e capacità. Significa piuttosto: il mondo non ruota attorno a te; esci dal tuo io, sconfina oltre te. Non mortificazione, allora, ma liberazione.
    Seconda condizione: Prenda la sua croce e mi segua. Una delle frasi più celebri, più citate e più fraintese del Vangelo, che abbiamo interpretato come esortazione alla rassegnazione: soffri con pazienza, accetta, sopporta le inevitabili croci della vita. Ma Gesù non dice "sopporta", dice "prendi". Al discepolo non è chiesto di subire passivamente, ma di prendere, attivamente.
    Che cos'è allora la croce? È il riassunto dell'intera vita di Gesù. Prendi la croce significa: "Prendi su di te una vita che assomigli alla sua". La vocazione del discepolo non è subire il martirio ma una vita da Messia; come lui anche tu passare nel mondo da creatura pacificata e amante.
    La croce nel Vangelo indica la follia di Dio, la sua lucida follia d'amore. Il sogno di Gesù non è uno sterminato corteo di uomini, donne, bambini, anziani, tutti con la loro croce addosso, in una perenne Via Crucis dolorosa. Ma l'immensa migrazione dell'umanità verso più vita. Sostituiamo croce con amore. Ed ecco: se qualcuno vuole venire con me, prenda su di sé il giogo dell'amore, tutto l'amore di cui è capace, e mi segua. Ciascuno con l'amore addosso, che però ha il suo prezzo: "Là dove metti il tuo cuore, là troverai anche le tue spine e le tue ferite".
    All'orizzonte si stagliano Gerusalemme e i giorni supremi. Gesù li affronta scegliendo di non assomigliare ai potenti del mondo. Potere vero per lui è servire, è venuto a portare la supremazia della tenerezza, e i poteri del mondo saranno impotenti contro di essa: il terzo giorno risorgerò. Quindi la parola centrale del brano: chi perderà la propria vita così, la troverà. Ci hanno insegnato a mettere l'accento sul perdere la vita. Ma se l'ascolti bene, senti che l'accento non è sul perdere, ma sul trovare.
    L'esito finale è "trovare vita". Quella cosa che tutti gli uomini cercano, in tutti gli angoli della terra, in tutti i giorni che è dato loro di gustare: la fioritura della vita. Perdere per trovare. È la fisica dell'amore: se dai ti arricchisci, se trattieni ti impoverisci. Noi siamo ricchi solo di ciò che abbiamo donato.

  • Inizio Anno Pastorale 2016/2017

  • Gruppo Padre Pio 2016/2017

  • Rosario Perpetuo 2016/2017

  • 23 Settembre 2016: XXVI Domenica del Tempo Ordinario

    XXVI Domenica del Tempo Ordinario

    Letture: Amos 6, 1.4-7; Salmo 145; 1 Timoteo 6,11-16; Luca 16,19-31

    Anno C

     

    In quel tempo, Gesù disse ai farisei: «C'era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe.
    Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: "Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell'acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma" (...)».

     

    La parabola del ricco senza nome e del povero Lazzaro è una di quelle pagine che ci portiamo dentro come sorgente di comportamenti meno disumani.
    Un ricco senza nome, per cui il denaro è diventato l'identità, la seconda pelle. Il povero invece ha il nome dell'amico di Betania. Il Vangelo non usa mai dei nomi propri nelle parabole. Il povero Lazzaro è un'eccezione, una felice anomalia che lascia percepire i battiti del cuore di Gesù.
    Morì il povero e fu portato nel seno di Abramo, morì il ricco e fu sepolto nell'inferno. Perché il ricco è condannato? Per il lusso, gli abiti firmati, gli eccessi della gola? No. Il suo peccato è l'indifferenza verso il povero: non un gesto, una briciola, una parola. Il contrario dell'amore non è l'odio, ma l'indifferenza, per cui l'altro neppure esiste, e Lazzaro è nient'altro che un'ombra fra i cani.
    Il povero è portato in alto; il ricco è sepolto in basso: ai due estremi della società in questa vita, ai due estremi dopo. Tra noi e voi è posto un grande abisso, dice Abramo, perdura la grande separazione già creata in vita. Perché l'eternità inizia nel tempo, si insinua nell'istante, mostrando che l'inferno è già qui, generato e nutrito in noi dalle nostre scelte senza cuore: il povero sta sulla soglia di casa, il ricco entra ed esce e neppure lo vede, non ha gli occhi del cuore. Tre gesti sono assenti dalla sua storia: vedere, fermarsi, toccare. Tre verbi umanissimi, le prime tre azioni del Buon Samaritano. Mancano, e tra le persone si scavano abissi, si innalzano muri. Ma chi erige muri, isola solo se stesso.
    Ti prego, manda Lazzaro con una goccia d'acqua sul dito... mandalo ad avvisare i miei cinque fratelli... No, neanche se vedono un morto tornare si convertiranno!
    Non è la morte che converte, ma la vita. Chi non si è posto il problema di Dio e dei fratelli, la domanda del senso, davanti al mistero magnifico e dolente che è la vita, tra lacrime e sorrisi, non se lo porrà nemmeno davanti al mistero più piccolo e oscuro che è la morte.
    Hanno Mosè e i profeti, hanno il grido dei poveri, che sono la parola e la carne di Dio (ciò che avete fatto a uno di questi piccoli, è a me che l'avete fatto). Nella loro fame è Dio che ha fame, nelle loro piaghe è Dio che è piagato.
    Non c'è apparizione o miracolo o preghiera che conti quanto il loro grido: «Se stai pregando e un povero ha bisogno di te, corri da lui. Il Dio che lasci è meno sicuro del Dio che trovi» (San Vincenzo de Lellis).
    Nella parabola Dio non è mai nominato, eppure intuiamo che era presente, che era vicino al suo amico Lazzaro, pronto a contare ad una ad una tutte le briciole date al povero, pronto a ricordarle e custodirle per sempre.

  • Terremoto: come aiutare

    Una colletta in tutte le chiese domenica 18 settembre e lo stanziamento immediato di 1 milione di euro dall'8 per mille. La Chiesa italiana risponde così alla sciagura del terremoto che questa notte ha colpito il Centro Italia. Ecco il comunicato della Presidenza della Cei.

  • 18 Settembre 2016: XXV Domenica del Tempo Ordinario

    XXV Domenica delTempo Ordinario 

    Letture: Amos 8,4-7; Salmo 112; 1 Timoteo 2,1-8; Lc 16,1-13

    Anno C

     

    In quel tempo, Gesù diceva ai discepoli: «Un uomo ricco aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi. Lo chiamò e gli disse: "Che cosa sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non potrai più amministrare". L'amministratore disse tra sé: "Che cosa farò, ora che il mio padrone mi toglie l'amministrazione? Zappare, non ne ho la forza; mendicare, mi vergogno. So io che cosa farò perché, quando sarò stato allontanato dall'amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua". Chiamò uno per uno i debitori del suo padrone e disse al primo: "Tu quanto devi al mio padrone?"» (...)

     

    Un peccatore che fa lezione ai discepoli, Gesù che mette sulla cattedra un disonesto. E mentre lo fa, lascia affiorare uno dei suoi rari momenti di scoramento: i figli di questo mondo sono più scaltri di voi, figli della luce. Imparate, fosse anche da un peccatore.
    L'amministratore disonesto fa una scelta ben chiara: farsi amici i debitori del padrone, aiutarli sperando di essere aiutato da loro.
    Ed è così che il malfattore diventa benefattore: regala pane e olio, cioè vita. Ha l'abilità di cambiare il senso del denaro, di rovesciarne il significato: non più mezzo di sfruttamento, ma strumento di comunione. Un mezzo per farci degli amici, anziché diventare noi amici del denaro.
    E il padrone lo loda. Per la sua intelligenza, certo, ma mi pare poca cosa. Chissà, forse pensa a chi riceverà cinquanta inattesi barili d'olio, venti insperate misure di grano, alla gioia che nascerà, alla vita che tornerà ad aprire le ali in quelle case.
    E qui il Vangelo regala una perla: fatevi degli amici con la disonesta ricchezza perché, quando essa verrà a mancare, vi accolgano nelle dimore eterne.
    Fatevi degli amici. Gesù raccomanda, anzi comanda l'amicizia, la eleva a programma di vita, vuole che i suoi siano dei cultori dell'amicizia, il comandamento più gioioso e più umano.
    Fatevi amici con la disonesta ricchezza. Perché disonesta? Giovanni Crisostomo scrive: potreste voi dimostrare che la ricchezza è giusta? No, perché la sua origine è quasi sempre avvelenata da qualche frode. Dio all'inizio non ha fatto uno ricco e uno povero, ma ha dato a tutti la stessa terra.
    E aggiunge: amici che vi accolgano nelle dimore eterne.
    Sulla soglia dell'eternità Gesù mette i tuoi amici, ed è alle loro mani che ha affidato le chiavi del Regno, alle mani di coloro che tu hai aiutato a vivere un po' meglio, con grano e olio e un briciolo di cuore.
    La Porta Santa del tuo cielo sono i tuoi poveri. Nelle braccia di coloro ai quali hai fatto del bene ci sono le braccia stesse di Dio.
    Questa piccola parabola, esclusiva del racconto di Luca, cerca di invertire il paradigma economico su cui si basa il nostro mondo, dove "ciò che conta, ciò che da sicurezza" (etimologia del termine aramaico "mammona") è il denaro.
    Per Gesù, amico della vita, invece è la cura delle creature la sola misura dell'eternità.
    Nessuno può servire due padroni. Non potete servire Dio e la ricchezza. Il culto della ricchezza, dare il cuore al denaro, esserne servi anziché servirsene, produce la malattia del vivere, la disidratazione del cuore, il tradimento del futuro: ami il tuo denaro, lo servi, e allora non c'è più nessun povero che ti apra le porte del cielo, che apra un mondo nuovo.

  • Lectio Divina 2016/2017

  • Anno catechistico 2016/2017

    Le adesioni possono essere inviate per e-mail, all'indirizzo di posta elettronica seguente:

    cuoreimmacolatoalbano@outlook.it

  • Pellegrinaggi Giubilari

  • 11 Settembre 2016: XXIV Domenica del Tempo Ordinario

    XXIV Domenica del Tempo Ordinario 

    Letture: Esodo 32, 7-11. 13-14; Salmo 50; 1 Timoteo 1, 12-17; Luca 15, 1-32

    Anno C

     

    In quel tempo (...) egli disse loro questa parabola: «Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? Quando l'ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, va a casa, chiama gli amici e i vicini e dice loro: "Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta"». (...) Oppure, quale donna, se ha dieci monete e ne perde una, non accende la lampada e spazza la casa e cerca accuratamente finché non la trova? E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, e dice: "Rallegratevi con me, perché ho trovato la moneta che avevo perduto". (...) Disse ancora: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: "Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta". Ed egli divise tra loro le sue sostanze (...).

     

    Un pastore che sfida il deserto, una donna di casa che non si dà pace per una moneta che non trova, un padre esperto in abbracci. Le tre parabole della misericordia sono il vangelo del vangelo. Sale dal loro fondo un volto di Dio che è la più bella notizia che potevamo ricevere.
    C'era come un feeling misterioso tra Gesù e i peccatori, un cercarsi reciproco che scandalizzava scribi e sacerdoti. Gesù allora spiega questa amicizia con tre parabole tratte da storie di vita: una pecora perduta, una moneta perduta, un figlio che se ne va e si perde. Storie di perdita, che mettono in primo piano la pena di Dio quando perde e va in cerca, ma soprattutto la sua gioia quando trova.
    Ecco allora la passione del pastore, quasi un inseguimento della sua pecora per steppe e pietraie. Se noi lo perdiamo, lui non ci perde mai. Non è la pecora smarrita a trovare il pastore, è trovata; non sta tornando all'ovile, se ne sta allontanando; il pastore non la punisce, è viva e tanto basta. E se la carica sulle spalle perché sia meno faticoso il ritorno. Immagine bellissima: Dio non guarda alla nostra colpa, ma alla nostra debolezza. Non traccia consuntivi, ma preventivi. Dio è amico della vita: Gesù guarisce ciechi zoppi lebbrosi non perché diventino bravi osservanti, tanto meglio se accadrà, ma perché tornino persone piene, felici, realizzate, uomini finalmente promossi a uomini.
    La pena di un Dio donna-di-casa che ha perso una moneta, che accende la lampada e si mette a spazzare dappertutto e troverà il suo tesoro, lo scoverà sotto la polvere raccolta dagli angoli più oscuri della casa. Così anche noi, sotto lo sporco e i graffi della vita, sotto difetti e peccati, possiamo scovare sempre, in noi e in tutti, un frammento d'oro.
    Un padre che non ha figli da perdere, e se ne perde uno solo la sua casa è vuota. Che non punta il dito e non colpevolizza i figli spariti dalla sua vista, ma li fa sentire un piccolo grande tesoro di cui ha bisogno. E corre e gli getta le braccia al collo e non gli importa niente di tutte le scuse che ha preparato, perché alla fedeltà del figlio preferisce la sua felicità.
    Tutte e tre le parabole terminano con lo stesso "crescendo". L'ultima nota è una gioia, una contentezza, una felicità che coinvolge cielo e terra: vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti... Da che cosa nasce questa felicità di Dio? Da un innamoramento, come in un perenne Cantico dei Cantici. Dio è l'Amata che gira di notte nella città e a tutti chiede una sola cosa: «avete visto l'amato del mio cuore?».
    Sono io l'amato perduto. Dio è in cerca di me. Se lo capisco, invece di fuggire correrò verso di lui.

  • Aiutiamo chi è in difficoltà!

    manifesto pro terremotati

  • 4 Settembre 2016: XXIII Domenica del Tempo Ordinario

    XXIII Domenica del Tempo Ordinario 

    Letture: Sapienza 9, 13-18; Salmo 89; Filèmone 9b-10. 12-17; Luca 14, 25-33

    Anno C

     

    Una folla numerosa andava con Gesù. Egli si voltò e disse loro: Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo. Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine? Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo.

     

    Gesù, sempre spiazzante nelle sue proposte, indica tre condizioni per seguirlo. Radicali. La prima: Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. Gesù punta tutto sull'amore. Lo fa con parole che sembrano cozzare contro la bellezza e la forza dei nostri affetti, la prima felicità di questa vita. Ma il verbo centrale su cui poggia la frase è: se uno non mi "ama di più". Allora non di una sottrazione si tratta, ma di una addizione. Gesù non sottrae amori, aggiunge un "di più". Il discepolo è colui che sulla luce dei suoi amori stende una luce più grande. E il risultato non è una sottrazione ma un potenziamento: Tu sai quanto è bello dare e ricevere amore, quanto contano gli affetti della famiglia, ebbene io posso offrirti qualcosa di ancora più bello. Gesù è la garanzia che i tuoi amori saranno più vivi e più luminosi, perché Lui possiede la chiave dell'arte di amare.
    La seconda condizione: Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me. Non banalizziamo la croce, non immiseriamola a semplice immagine delle inevitabili difficoltà di ogni giorno, dei problemi della famiglia, della fatica o malattia da sopportare con pace. Nel Vangelo "croce" contiene il vertice e il riassunto della vicenda di Gesù: amore senza misura, disarmato amore, coraggioso amore, che non si arrende, non inganna e non tradisce.
    La prima e la seconda condizione: amare di più e portare la croce, si illuminano a vicenda; portare la croce significa portare l'amore fino in fondo.
    Gesù non ama le cose lasciate a metà, perché generano tristezza: se devi costruire una torre siediti prima e calcola bene se ne hai i mezzi. Vuole da noi risposte libere e mature, ponderate e intelligenti.
    Ed elenca la terza condizione: chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo. La rinuncia che Gesù chiede non è un sacrificio, ma un atto di libertà: esci dall'ansia di possedere, dalla illusione che ti fa dire: "io ho, accumulo, e quindi sono e valgo". "Un uomo non vale mai per quanto possiede, o per il colore della sua pelle, ma per la qualità dei suoi sentimenti "(M. L. King). "Un uomo vale quanto vale il suo cuore" (Gandhi).
    Non lasciarti risucchiare dalle cose: la tua vita non dipende dai tuoi beni. Lascia giù le cose e prendi su di te la qualità dei sentimenti. Impara non ad avere di più, ma ad amare bene.
    Gesù non intende impossessarsi dell'uomo, ma liberarlo, regalandogli un'ala che lo sollevi verso più libertà, più amore, più consapevolezza. Allora nominare Cristo, parlare di vangelo equivale sempre a confortare il cuore della vita.

     

  • 60 anni di sacerdozio di don Umberto 03/07/2016

     

  • Venerazione e processione dell'immagine della Madonna della Rotonda 31/05/2016

  • Domenica 27 settembre, ore 18.30 in Cattedrale

    pietro larin

  • In Parrocchia... c'è posto per tutti!!!

    Le adesioni possono essere inviate per e-mail, all'indirizzo di posta elettronica seguente:

    cuoreimmacolatoalbano@outlook.it

    scegli

     

     

  • Si ricomincia!!!

    Le adesioni possono essere inviate per e-mail, all'indirizzo di posta elettronica seguente:

    cuoreimmacolatoalbano@outlook.it

    Iscrizione 15-16

  • Appuntamenti dal 3 al 9 Novembre

     

    Lunedì 3 Novembre

     

    ore 18.00: Lectio divina

     

     

     

     

    Mercoledì 5 Novembre

     

    ore 18.00 - 19.30: catechesi per i bambini iscritti al II° anno della Tappa Eucaristica

     

    ore 18.00: incontro per gli iscritti all'Associazione del Rosario Perpetuo

     

     

     

    Venerdì 7 Novembre (I venerdì del mese)

     

    ore 17.30: Santa Messa

     

    ore 18.00: Adorazione Eucaristica

     

     

     

    Sabato 8 Novembre

     

    ore 15.30 – 18.00: Oratorio

     

    Domenica 9 Novembre

    Sante Messe ore 8.00 - 10.00 - 11.30 - 17.30

  • Inizio anno scolastico: 10 auguri ai ragazzi

     

     

    Inizio anno scolastico: è arrivato anche quest'anno il fatidico momento.

     

    Bambini e ragazzi si preparano ad un nuovo inizio, magari in una nuova scuola, con compagni nuovi o con quelli di sempre, con mille aspettative e tanti timori riguardo a ciò che li aspetta. 

    Ecco 10 importanti auguri che vogliamo rivolgere a tutti voi! Auguri rivolti ai bambini che iniziano l'asilo nido, la scuola dell'infanzia o quella primaria e anche rivolti ai ragazzi delle scuole medie e superiori, poichè ogni momento di crescita forma il nostro essere e la nostra persona nel profondo.

     

    1- Vi auguriamo di incontrare insegnanti alla vostra altezza, in grado di guidarvi adeguatamente in questo vostro percorso di crescita, che siano capaci di valorizzare e far sbocciare i vostri talenti naturali.

  • Da mille strade arriviamo a Roma...

     

            Domenica 29 settembre 2013

     I nostri catechisti in Piazza S.Pietro insieme a Papa Francesco

     

  • 29 Settembre - XXVI Domenica del Tempo Ordinario

    Commento al Vangelo della XXVI Domenica del Tempo Ordinario

    Lc 16, 1-31  -  Anno C

    C'era una volta un ricco... La parabola del ricco senza no­me e del povero Lazzaro ini­zia con il tono di una favola e si svolge con il sapore di un a­pologo morale: c'è uno che si gode la vita, un superficiale spensierato, al quale ben pre­sto la vita stessa presenta il conto. Il cuore della parabo­la non sta però in una sorta di capovolgimento nell'aldilà: chi patisce in terra godrà nel cielo e chi gode in questa vi­ta soffrirà nell'altra. Il mes­saggio è racchiuso in una pa­rola posta sulla bocca di A­bramo, la parola 'abisso', un grande abisso è stabilito tra noi e voi.
    Questo baratro separava i due personaggi già in terra: uno affamato e l'altro sazio, uno in salute e l'altro coperto di piaghe, uno che vive in stra­da l'altro al sicuro in una bel­la casa. Il ricco poteva colmare il baratro che lo separa­va dal povero e invece l'ha ra­tificato e reso eterno. L'eter­nità inizia quaggiù, l'inferno non sarà la sentenza improv­visa di un despota, ma la len­ta maturazione delle nostre scelte senza cuore.
    Che cosa ha fatto il ricco di male? La parabola non è mo­ralistica, non si leva contro la cultura della bella casa, del ben vestire, non condanna la buona tavola. Il ricco non ha neppure infierito sul povero, non lo ha umiliato, forse era perfino uno che osservava tutti i dieci comandamenti.
    Lo sbaglio della sua vita è di non essersi neppure accorto dell'esistenza di Lazzaro. Non lo vede, non gli parla, non lo tocca: Lazzaro non esiste, non c'è, non lo riguarda. Que­sto è il comportamento che san Giovanni chiama, senza giri di parole, omicidio: chi non ama è omicida (1 Gv 3,15). Tocchiamo qui uno dei cuori del Vangelo, il cui batti­to arriva fino al giorno del giu­dizio finale: Avevo fame, ave­vo freddo, ero solo, abbando­nato, l'ultimo, e tu hai spez­zato il pane, hai asciugato u­na lacrima, mi hai regalato un sorso di vita.
    Il male è l'indifferenza, la­sciare intatto l'abisso fra le persone. Invece «il primo mi­racolo è accorgersi che l'altro, il povero esiste» (S. Weil), e cercare di colmare l'abisso di ingiustizia che ci separa.
    Nella parabola Dio non è mai nominato, eppure intuiamo che era lì presente, pronto a contare ad una ad una tutte le briciole date al povero Lazza­ro e a ricordarle per sempre, tutte le parole, ogni singolo gesto di cura, tutto ciò che poteva regalare a quel nau­frago della vita dignità e ri­spetto, riportare uomo fra gli uomini colui che era solo un'ombra fra i cani. Perché il cammino della fede inizia dalle piaghe del povero, car­ne di Cristo, corpo di Dio.
    «Se stai pregando e un pove­ro ha bisogno di te, lascia la preghiera e vai da lui. Il Dio che trovi è più sicuro del Dio che lasci» (san Vincenzo de Paoli).

  • 22 Settembre - XXV Domenica del Tempo Ordinario

    Commento al Vangelo della XXV Domenica del Tempo Ordinario

    Lc 16, 1-13 - Anno C

    La parabola del fattore infedele si chiude con un messaggio sor­prendente: l'uomo ricco loda il suo truffatore. Sor­preso a rubare, l'ammini­stratore capisce che verrà licenziato e allora escogi­ta un modo per cavarsela, un modo geniale: adotta la strategia dell'amicizia, creare una rete di amici, cancellando parte dei lo­ro debiti. Con questa scel­ta, inconsapevolmente, e­gli compie un gesto profe­tico, fa ciò che Dio fa ver­so ogni uomo: dona e per­dona, rimette i nostri de­biti. Così da malfattore di­venta benefattore: regala pane, olio, cioè vita, ai de­bitori. Lo fa per interesse, certo, ma intanto cambia il senso, rovescia la dire­zione del denaro, che non va più verso l'accumulo ma verso il dono, non ge­nera più esclusione ma a­micizia.
    Il personaggio più interes­sante della parabola, su cui fermare l'attenzione, è il ricco, figura di un Signore sorprendente: il padro­ne lodò quell'amministra­tore disonesto, perché ave­va agito con scaltrezza, aveva puntato tutto sull'a­micizia. Qui il Vangelo re­gala una perla: fatevi degli amici con la disonesta ricchezza perché quando es­sa verrà a mancare vi ac­colgano nelle dimore eter­ne. Fatevi degli amici. Amicizia diventata coman­damento, umanissimo e gioioso, elevata a proget­to di vita, fatta misura dell'eternità. Il messaggio della parabola è chiaro: le persone contano più del denaro.
    Amici che vi accolgano nel­la casa del cielo: prima di Dio ci verranno incontro coloro che abbiamo aiutato, nel loro abbraccio ri­conoscente si annuncerà l'abbraccio di Dio, dentro un paradiso generato dal­le nostre scelte di vita.
    Nessuno può servire due padroni. Non potete servi­re Dio e la ricchezza. Af­fermazione netta: il dena­ro e ogni altro bene mate­riale, sono solo dei mezzi utili per crescere nell'a­more e nella amicizia. So­no ottimi servitori ma pes­simi padroni. Il denaro non è in sé cattivo, ma può diventare un idolo e gli i­doli sono crudeli perché si nutrono di carne umana, aggrediscono le fibre inti­me dell'umano, mangiano il cuore. Cominci a pensa­re al denaro, giorno e not­te, e questo ti chiude pro­gressivamente in una prigione. Non coltivi più le a­micizie, perdi gli amici; li abbandoni o li sfrutti, op­pure saranno loro a sfruttare la situazione.
    La parabola inverte il pa­radigma economico su cui si basa la società contem­poranea: è il mercato che detta legge, l'obiettivo è u­na crescita infinita, più de­naro è bene, meno dena­ro è male. Se invece legge comune fossero la so­brietà e la solidarietà, la condivisione e la cura del creato, non l'accumulo ma l'amicizia, crescerebbe la vita buona.
    Altrimenti nessun povero ci sarà che apra le porte della casa del cielo, che a­pra cioè fessure per il nascere di un mondo nuovo.

     

  • 15 Settembre - XXIV Domenica del Tempo Ordinario

    Commento al Vangelo della XXIV Domenica del Tempo Ordinario

    Lc 15, 1 - 32  -  Anno C

     

    Conosciamo tutti la nostra miseria spirituale, ereditata dal peccato originale, che ci aveva dati in preda al male. Siamo davvero deboli e inclini al peccato, che è un rifiuto dell'amore del Padre e, quindi, un rifiuto della santità e della felicità di amarLo e godere del Suo amore.
    Un abisso di infelicità, che non era quello che Dio, creandoci, aveva in mente...anzi!
    Basta guardarci dentro o attorno per accorgerci come il mondo non offra aiuti per uscire da questa infelicità... anzi, sembra divertirsi nel costruire occasioni sempre maggiori di dolore e sofferenza.
    Così si ripete l'antica storia del ‘serpente, il più astuto degli animali', come è narrata nella Bibbia, all'inizio della vita dei nostri progenitori: prospetta ‘paradisi', senza o contro il vero Paradiso, che è Dio. Se siamo sinceri con noi stessi, sappiamo che il rifiuto di Dio, prima o poi, lo paghiamo caro, con ‘un deserto d'anima'!
    Chi non ricorda la grande opera di San Pio da Pietrelcina, che fece della sua vita una missione ‘dolorosa', per aiutare tanti ad uscire dall'insopportabile malattia dell'anima, che è il peccato, e così tornare a vivere, sperimentando la misericordia e sentendo il calore del Padre che, nella riconciliazione, si fa incontro al figlio che, tornato in se stesso, ha ritrovato la strada di casa, mentre Lui sulla porta, ne attendeva commosso il ritorno?
    Dovremmo sapere tutti, a cominciare da quanti sentono il bisogno di ritrovare il ‘paradiso perduto', che a fare il grande passo per aprire le porte del Cielo, addossandosi tutti i nostri peccati e pagandoli sulla croce, fu il Suo Figlio prediletto, Gesù Cristo.
    Così S. Paolo, scrivendo a Timoteo, descrive la sua conversione: "Rendo grazie a Dio che mi ha dato la forza, in Cristo Gesù Signore nostro, perché mi ha giudicato degno di fiducia chiamandomi al ministero: io che per l'innanzi ero stato un bestemmiatore, un peccatore ed un violento. Ma mi è stata usata misericordia, perché agivo, senza saperlo, lontano dalla fede; così la grazia del Signore nostro ha sovrabbondato insieme alla fede e alla carità in Gesù Cristo. Questa parola è sicura e degna di essere accolta da tutti: Gesù Cristo è venuto nel mondo per salvare i peccatori e di questi il primo sono io. Ma appunto per questo ho ottenuto misericordia, perché Gesù Cristo ha voluto dimostrare in me, per primo, la sua magnanimità, a esempio di quanti avrebbero creduto in Lui per avere la vita eterna". (I Timoteo, 1, 12-17)
    E la storia della conversione di S. Paolo, che passa attraverso la Misericordia di Dio, è davvero la storia di tanti. Tanti che sentivano e sentono il bisogno di uscire dal male e respirare la gioia della bontà, dono di Dio, attraverso la Riconciliazione.
    Quanta gente, nella mia veste di ministro della Penitenza o Riconciliazione, ho visto come rinascere dopo una vita dissennata o spericolata. Uomini e donne che non ce la facevano più a vivere una vita senza senso, senza la vera gioia, dono di Dio; stanchi di sentirsi come il figlio prodigo, lontani dal Padre, abbandonati a se stessi e costretti a nutrirsi di ‘ghiande destinate ai porci'!
    In quante persone ho visto il miracolo della ‘resurrezione', che si manifesta in un volto rasserenato, con gli occhi umidi per la gioia di essere liberati dal ‘peso del male', sentendosi avvolti dalla Misericordia di Dio!
    È proprio la parola ‘resurrezione' che un dissociato della camorra usa in una lettera, per descrivere la sua conversione, che gli fa vedere il carcere come luogo di riparazione, in attesa della piena riabilitazione: "Per grazia di Dio e per la sua opera, padre, ora sono come uno che è nato una seconda volta e che nulla ha a che fare con quello di prima. Ora so cosa voglia dire amare ed essere amato...anche stando in carcere".
    Chi può misurare la Misericordia del Padre?
    Gesù stesso ce ne ha dato un'immagine con la parabola del Buon Pastore, ma, soprattutto, del figlio prodigo: un Papà meraviglioso che non sa odiare, ma che, anche se rifiutato, continua ostinatamente ad amare il figlio, stando sempre in ansiosa attesa sulla porta di casa, nella speranza che un giorno, finalmente, il figlio si renda conto che senza di Lui non può vivere e, così, faccia ritorno. Se tutti, come è vero, siamo figli di un Padre Misericordioso, tutti siamo da Lui attesi, sempre che, come il figlio prodigo, con l'aiuto dello Spirito, ‘rientriamo in noi stessi' e diciamo ‘tornerò da mio Padre'.
    Ma ascoltiamo la voce di Gesù, voce del Padre Misericordioso:
    "In quel tempo, si avvicinarono a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano: ‘Costui riceve i peccatori e mangia con loro'. Allora Gesù disse questa parabola: ‘Chi di voi se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va dietro a quella perduta, finché non la trova? Ritrovatola, se la mette sulle spalle tutto contento, va a casa, chiama gli amici e i vicini dicendo: ‘Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora che era perduta'. Così vi dico, ci sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione'". (Lc. 15, 1-10)
    E la gioia del ritrovamento del ‘figlio perduto' così è descritta nella parabola del figliol prodigo, che segue: "Quando il figlio era ancora lontano, il padre lo vide e commosso gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: ‘Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio'. Ma il Padre disse ai servi: ‘Presto portate qui il vestito più bello, e rivestitelo, mettetegli l'anello al dito e i calzari ai piedi. Portate il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato'. E cominciarono a fare festa". (Lc. 15, 10-32)
    Con poche parole Gesù descrive ‘la vera ragione' della gioia del Padre, che è davvero ‘Misericordia: ‘Questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato'.
    Incredibile davvero l'amore di Dio, che non conosce i nostri rancori e le nostre infedeltà. A Lui interessa solo che ‘torniamo in vita'!
    Credo che tanti di voi abbiano visto o posseggano una immagine di Gesù, dal cui costato escono due grandi raggi luminosi: uno bianco e uno rosso, e se ne siano chiesti il significato.
    È la visione che ebbe Suor Faustina, di cui anche in altre occasioni ho parlato, e che il grande Giovanni Paolo II dichiarò santa il 30 aprile 2000, dicendo:
    "Celebrate il Signore perché è buono, eterna è la sua misericordia... Da quel Cuore Santa Faustina vide partire due fasci di luce che illuminano il mondo. I due raggi - le spiegò un giorno Gesù stesso- rappresentano l'acqua e il sangue, usciti dal suo costato...così, attraverso il Cuore di Cristo crocifisso, la misericordia divina raggiunge gli uomini. ‘Figlia mia, dì che sono l'Amore e la Misericordia'. E questa Misericordia Cristo la effonde sull'umanità mediante l'invio dello Spirito che nella Trinità è la Persona-Amore. E non è forse la Misericordia un secondo nome dell'amore, colto nel suo aspetto più profondo e tenero, nella sua attitudine a farsi carico di ogni bisogno, soprattutto nella sua immensa capacità di perdono?... Ma - si chiedeva il Santo Padre - che cosa ci porteranno gli anni che sono davanti a noi? Come sarà l'avvenire dell'uomo sulla terra? A noi non è dato saperlo, è certo tuttavia che accanto a nuovi progressi non mancheranno, purtroppo, esperienze dolorose. Ma la luce della Misericordia, che il Signore ha voluto quasi riconsegnare al mondo, attraverso il carisma di Suor Faustina, illuminerà il cammino degli uomini del terzo millennio". (Discorso della canonizzazione)
    Come ha detto Papa Francesco: «Il Signore ci guarda sempre con misericordia, ci attende con misericordia. Pensiamo questo è bello: non abbiamo timore di avvicinarci a Lui! Ha un cuore misericordioso! Se gli mostriamo le nostre ferite interiori, i nostri peccati, Egli sempre ci perdona. È pura misericordia! La misericordia di Gesù non è solo sentimento, anzi, è una forza che dà vita, che risuscita l'uomo!».
    Nel mondo e in noi si fronteggiano, e lo vediamo con i nostri occhi, la Misericordia di Dio e l'odio degli uomini. Ma la fede ci dice che, se ci affidiamo all'Amore, l'ultima parola l'avrà la Misericordia... anche in noi!

     

  • 8 Settembre - XXIII Domenica del Tempo Ordinario

    Commento al Vangelo della XXIII Domenica del Tempo Ordinario

    Lc 14, 25 - 33

     

    E' davvero molto strano Gesù...
    Se fosse l'amministratore delegato di qualche azienda verrebbe probabilmente licenziato per quello che oggi dice nel Vangelo.
    Il Vangelo di Luca inizia con le folle che seguono questo Maestro. Sembra proprio che abbia il successo sperato e per il quale ha lavorato molto predicando per villaggi e città.
    Il successo è stato raggiungo, ma invece di tenersi stretti le folle di ammiratori, Gesù inizia a parlare in maniera molto dura, con espressioni che rischiano di ferire e allontanare proprio quelli che gli stanno attorno.
    Per ben tre volte dice "...non può essere mio discepolo", mettendo delle clausole che sembrano davvero difficili da accettare. Ma Gesù vuole avere si o no dei discepoli? E' interessato ad essere seguito?
    La risposta è ovviamente "si". Dio non sarebbe uscito dall'Eternità diventando uomo fino alla morte se non avesse voluto incontrare davvero l'umanità e stringerla a se con un legame sempre più forte. Ma il legame che Gesù vuole costruire con gli uomini non è certamente superficiale e passeggero, come quello di uno spettatore che segue distrattamente una trasmissione televisiva pronto a cambiare facilmente canale appena è meno interessante.
    Gesù non vuole folle di seguaci distratti e superficiali. Vuole amici stretti pronti a dare per Lui non qualcosa, ma tutto, proprio come Lui ha dato tutto se stesso per loro.
    In questa ottica si capiscono bene quelle espressioni difficili del vangelo che devono essere comprese a fondo per non essere travisate. La traduzione una volta metteva in bocca a Gesù una parola che nel significato originale non è corretta, e cioè "odiare il padre, la madre... e la propria vita". La traduzione oggi coglie il vero significato e mette così: "...Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre... ecc". Gesù è davvero sopra tutto e sopra ogni altro amore, persino quello per la propria vita. Questo non è certo un invito ad odiare se stessi e gli altri, ma l'opposto! Amare Gesù porta ad amare tutto quello che siamo e chi ci sta attorno con una forza di amore davvero più grande, arrivando ad amare persino i propri nemici. Anzi la misura del nostro amore per Dio la calcoliamo proprio dalla capacità di amare la vita e le persone, i nostri cari come anche gli stranieri, i poveri e i nemici. E mettere al primo posto Dio significa anche diventare liberi da ogni forma di accumulo di ricchezza di dipendenza da essa. Avere l'amicizia di Dio e il suo amore dentro di noi ci rende liberi dalla dipendenza che spesso sentiamo di avere dai beni, una dipendenza che ci pesa e ci rende schiavi e tristi.
    Siamo in un periodo storico dove sembra smarrita la via per seguire Gesù. E non lo vediamo solo perché le Chiese sono più vuote alla domenica, ma dalla minor capacità di amarsi, di volersi bene nella società e dal costante pericolo di farci guerra. L'uomo non è discepolo di Dio solo quando dedica qualche momento di culto e di preghiera. L'uomo segue Dio quando in ogni aspetto della vita mette in pratica i suoi insegnamenti dell'amore, e ama la sua legge più di tutte le altre leggi e consuetudini umane.
    Un grande Vescovo, Tonino Bello, di cui ricorre quest'anno il ventesimo anniversario della morte, ci ha lasciato tra i vari scritti questo invito alla pace. Amare la pace e metterla come obiettivo obbligato per la propria vita è proprio di ogni discepolo vero di Gesù. Se vogliamo essere suoi discepoli, e non dei distratti ammiratori, dobbiamo amare la pace che lui ci insegna e ci dona.

  • Preghiera per la Pace in Siria

    Durante l'angelus di domenica 1 settembre, papa Francesco, vista la situazione della Siria, ha insistito affinché viviamo la nostra vocazione alla pace. Ha fatto seguito a tale appello la richiesta di preghiera del vescovo di Roma a momenti di preghiera. Il nostro vescovo ha disposto che in ogni parrocchia sia celebrata la messa del 7 settembre secondo il formulario «Per la pace e la giustizia», o anche «In tempo di guerra e di disordini» (dal Messale Romano. Messe e orazioni per diverse necessità). Oltre alla santa messa ha chiesto di organizzare momenti di preghiera per la pace in Siria.

    Al termine della S. Messa delle ore 18,30, adorazione al Santissimo Sacramento

     

  • Preghiera per la Pace

    Durante l'angelus di domenica 1 settembre, papa Francesco, vista la situazione della Siria, ha insistito affinché viviamo la nostra vocazione alla pace. Ha fatto seguito a tale appello la richiesta di preghiera del vescovo di Roma a momenti di preghiera. Il nostro vescovo ha disposto che in ogni parrocchia sia celebrata la messa del 7 settembre secondo il formulario «Per la pace e la giustizia», o anche «In tempo di guerra e di disordini» (dal Messale Romano. Messe e orazioni per diverse necessità). Oltre alla santa messa ha chiesto di organizzare momenti di preghiera per la pace in Siria.

    Subito dopo la S. Messa delle ore 18,30 seguirà l' Adorazione al Santissimo Sacramento

  • XXVI Domenica del Tempo Ordinario

    Commento al Vangelo della XXVI Domenica del Tempo Ordinario

    Mc 9, 38-43.45.47-48

    Anno B

     

    Domenica scorsa l’evangelista Marco ci presentava Gesù a Cafarnao, forse nella casa di Pietro, intento a istruire gli apostoli. Ten­ne loro un piccolo «discorso sulla comunità», per prepararli alla lonta­na a vivere insieme nella fede. La prima lezione che dette loro, era sull’uso dell’autorità nella Chie­sa: «Chi vuole essere il primo sia l’ultimo di tutti, e il servo di tutti». Se ne è parlato domenica scorsa.

    Il brano di oggi è la continuazione del precedente. Gesù spiega che la comunità vive anche di piccoli gesti, come un sempli­ce bicchiere d’acqua dato in suo nome, spiega che il discepolo deve evi­tare a tutti i costi gli scandali e ogni forma di male. Ma prima ancora, Gesù ha parlato dell’apertura verso tutti che la co­munità cristiana deve avere. E noi ci fermeremo su questo suo insegna­mento.

    Il tema viene introdotto per caso: l’apostolo Giovanni confida al Signo­re un’esperienza che ha vissuto con slancio, e quasi se ne vanta, convin­to di aver fatto bene. Invece Gesù gli dice che doveva fare l’opposto. Dice Giovanni: «Maestro, abbiamo visto uno che scacciava i demoni nel tuo nome, e glielo abbiamo vietato, perché non era dei nostri».

    Che cosa significano esattamente le parole «scacciava i demoni»? Non sappiamo bene: poteva trattarsi di veri esorcismi, o forse solo di cure mediche, come si potevano fare allora, quando le malattie non erano ben capite e sovente venivano attribuite agli spiriti cattivi. Ma non è questa la cosa importante. Gesù va invece a verificare l’atteg­giamento che Giovanni e gli altri discepoli hanno assunto in quella cir­costanza. Avevano trovato quel tale che voleva fare del bene in nome di Gesù, e glielo hanno proibito. Motivo: non era dei loro.

    Giovanni aveva agito in buona fede, trasportato dal suo amore verso Gesù. Era impetuoso, sempre estremamente deciso, come capita a tanti giovani d’ogni tempo, che vogliono mettere a posto il mondo. E come Giovanni era anche il suo fratello Giacomo, altro apostolo. I loro com­pagni conoscevano bene la loro irruenza, e li chiamavano con un nomi­gnolo: «figli del tuono».

    Ma Gesù corregge Giovanni, spiegandogli come devono pensare e com­portarsi quelli che vogliono essere suoi veri discepoli. Dice riguardo a quel tale che scacciava gli spiriti: «Non glielo proibite», e poi spiega: «Perché chi non è contro di noi, è con noi».

    È un’affermazione pesante, un principio basilare che Gesù ha posto a fondamento della sua Chiesa. Un principio che però è tanto facile di­menticare.

    Non sempre noi abbiamo le idee chiare sulla Chiesa. Se qualcuno ci domanda «Che cos’è la Chiesa?», chissà cosa gli rispondiamo. Ma­gari puntiamo il dito e indichiamo l’edificio: la Chiesa è questa qui... Però Gesù per Chiesa intendeva un edificio non di mattoni, ma di persone. E quali persone?

    La Chiesa è una realtà molto più grande, la Chiesa è anche il più piccolo cristiano, il bimbetto battezzato ieri. Chiesa è l’insieme di tutti i credenti sul pianeta Terra. E non solo loro. Nel Credo diciamo: «Credo la comunione dei santi» che sono tutti i credenti, di ogni epoca, che si trovano in comunione di sentimenti con il Signore. Cioè uniti in spirito a lui e a noi. È questa la Chiesa di Gesù!

    Dunque diceva Giovanni di quel tale: «Non era dei nostri». Ma Gesù disapprova quest’idea, disapprova la Chiesa considerata come gruppo ristretto di fedelissimi. E propone la Chiesa a porte aperte: «Chi non è contro di noi è con noi»! Chiesa è adesione a Cristo nella libertà, nella simpatia, nell’amicizia.

    Certo ci sono gradi diversi di appartenenza, ma questa non si misu­ra come una volta a scuola, col gessetto sulla lavagna, da una parte i buoni e dall’altra i cattivi. Si misura dal rapporto di amicizia personale che ogni uomo realizza con Gesù stesso, da ciò che è disposto a fare per questo singolarissimo e scomodo amico di tutti.

    E noi dobbiamo fare nostro l’atteggiamento di Gesù: chi non è contro di noi, e lavora con noi, dobbiamo considerarlo dei nostri. Fargli spa­zio. Accogliere tutti con l’amicizia che aveva e ha Gesù.

    Papa Giovanni diceva: «La Chiesa è come la vecchia fontana del villag­gio, che disseta le varie generazioni. Noi cambiamo, la fontana resta». La fontana non distingue: simpatici/antipatici, buoni/cattivi, margina­li/occasionali. Accoglie tutti, e dà a tutti con proverbiale generosità. Così Gesù si attende da noi la stessa disponibilità ad accogliere quanti hanno buone intenzioni, e si danno da fare: accoglierli a porte aperte, e impegnarsi a lavorare con loro.

    In fondo, la vera Chiesa di Gesù è fatta da gente cordiale, che ha le ma­niche rimboccate.

     

  • XXV Domenica del Tempo Ordinario

    Commento al Vangelo della XXV domenica del Tempo Ordinario

     Mc 9,30-37

    Anno B

     

    In questa domenica la liturgia ricorda due volte la passione di Gesù: Il Vangelo ci mostra che i discepoli non comprendono questo messaggio di Gesù e non si comportano in modo coerente con esso. Questo è un insegnamento per noi, che dobbiamo essere coerenti con la no­stra fede in Gesù crocifisso e risorto.

    L’evangelista ci riferisce che «Gesù e i discepoli attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che nessuno lo sapesse, e istruiva i suoi discepoli e diceva loro: "Il Figlio dell’uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma una vol­ta ucciso, dopo tre giorni risusciterà"». Subito dopo Marco dice che i discepoli non comprendevano queste parole e avevano timore di chiedere spiegazioni.

    L’annuncio di Gesù è chiaro: si tratta della sua passione e del­la sua risurrezione. Ma i discepoli hanno altre prospettive; per que­sto le sue parole non entrano nella loro mente. Per loro il Messia dev’essere vittorioso, deve trionfare; perciò non può essere consegnato nelle mani dei nemici, non può essere ucciso. D’altra par­te, il termine «risuscitare» non era molto chiaro in quel tempo. Noi abbiamo una parola specifica per indicare la «risurrezione dai mor­ti»; invece, i termini usati in quel tempo erano più vaghi: si par­lava di «rialzarsi», di «svegliarsi». Termini, questi, che potevano essere fraintesi.

    Ma la cosa più chiara è che i discepoli non accolgono questo annuncio in modo coerente, perché subito dopo si mettono a di­scutere tra loro su chi sia il più grande. Gesù ha annunciato la sua umiliazione - quella di essere consegnato nelle mani degli uomi­ni come un colpevole, e l’umiliazione ancora più grande di essere ucciso, dopo essere stato condannato -, ma i discepoli aspira­no alla grandezza, discutono su chi di loro debba avere il primo posto. Tutto questo è incoerente: essi seguono un maestro che non cerca posti di onore, ma vuole servire fino a dare la propria vita in riscatto per molti, eppure aspirano alla grandezza.

    Anche noi spesso non siamo coerenti con la nostra fede e vi­viamo secondo criteri umani di ricerca dell’ambizione, della gran­dezza e dell’onore. Gesù allora dà a noi, come ai discepoli, que­sto insegnamento: «Se uno vuol essere il primo, sia l’ultimo di tut­ti e il servo di tutti». Questo è il principio evange­lico: la grandezza consiste nel servire.

    Spontaneamente noi non ragioniamo così. La nostra prospet­tiva umana è quella di pensare che chi serve stia in basso, non sia il primo, ma l’ultimo, mentre chi è servito si trovi al posto più al­to nella società, e quindi sia onorato, considerato il primo. Gesù invece ci mostra che la vera grandezza consiste nel servire. In que­sta prospettiva, chi non serve non è grande, non può essere il pri­mo. Per essere il primo, bisogna mettersi all’ultimo posto, per ser­vire tutti gli altri.

    Questo insegnamento di Gesù è forte, esigente, ma è anche tan­to necessario e tanto bello. Gesù ci chiede di saper apprezzare non gli onori, ma il servizio. Un umile servo è più grande di un ricco che non serve nessuno e si fa servire dagli altri. Nella società è la mentalità contraria che prevale continuamente; noi però dobbia­mo saperla respingere e valutare tutte le cose secondo questo principio evangelico: «Se uno vuol essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servo di tutti».

    Per inculcare ancora meglio questo insegnamento, Gesù pren­de un bambino, lo pone in mezzo e, abbracciandolo, dice ai di­scepoli: «Chi accoglie uno di questi bambini nel mio nome accoglie me; chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato». Così ci fa capire che il servizio consiste nell’accogliere le persone e, so­prattutto, gli umili, i bambini.

    Gesù mostra un rispetto immenso per i bambini, tanto da iden­tificarsi con loro: «Chi accoglie uno di questi bambini nel mio no­me, accoglie me». Tutto l’impegno della Chiesa per l’educazione dei bambini si fonda su queste parole di Gesù. Essa intende ac­cogliere il Signore accogliendo i bambini, mettendosi al servizio della loro vita e della loro formazione.

    Gesù poi aggiunge: «Chi accoglie me, non accoglie me, ma co­lui che mi ha mandato». Non è possibile accogliere una persona più importante del Padre. Gesù usa qui il termine «accogliere», di nuovo contrapponendosi alla mentalità del mondo: cercare di ac­cogliere Dio non significa andare verso le altezze e gli onori, ma andare verso il basso e verso gli umili.

    Seguiamo Gesù che con la sua passione ha vinto il ma­le e con il suo spirito di servizio ha vinto l’egoismo. Lo dobbia­mo seguire veramente, non lasciandoci ingannare dalle tendenze umane spontanee, che ci spingono nella direzione opposta.

    Chiediamo al Signore la grazia di capire l’insegnamento che egli oggi ci vuole dare e di essere docili all’impulso che ci viene dallo Spirito Santo, per renderci sempre più simili a Gesù, mite e umile di cuore.

  • Paolo VI nostro ospite

    Da “COMUNITA’ PARROCCHIALE” - Settembre 1971

    Ciò che altre nazioni non osano nemmeno sognare, a noi è stato concesso spontaneamente dal Sommo Pontefice il pomeriggio del venerdì 3 settembre scorso: una visita cordiale e familiare.

    Mercoledì 1° settembre alle ore 19 stavo per fare gli ultimi preparativi per la Messa vespertina, allorché mi sentii chiamare fuori dalla sagrestia. C’era il Vescovo diocesano Mons. Macario accompagnato da Mons. Pasquale Macchi, segretario del Papa, e dal Comm. Giovannini, direttore della Camera Pontificia.

  • L’indirizzo di Omaggio al Papa letto dal Parroco a nome del Popolo

    Riproduciamo integralmente il testo dell’indirizzo – omaggio rivolto dal Parroco al Papa. Questi sedeva su una poltrona semplicissima dinanzi all’altare maggiore della Nuova Chiesa, mentre il Parroco era vicino a lui. Anche in questo caso ci sembra indispensabile riprodurre il testo per intero, sia perché esso è stato letto a nome di tutti i Ferraiolini e sia perché esso aiuta a valutare più profondamente il discorso del Papa.

    Lo riprendiamo dall’Osservatore Romano di domenica 5 settembre 1971, pagine 1 e 2.

     

  • Il Papa in terrazza

    “VENGA, FACCIAMO LA FOTOGRAFIA INSIEME!”

    Alcuni particolari interessanti della visita del santo Padre alla Casa Canonica

    Il discorso in Chiesa è terminato. A quanto sembra il Papa è molto ben informato circa la planimetria del complesso edilizio del Cuore Immacolato di Maria. Che l’abbia studiato a tavolino, con le mappe dell’architetto? Non lo sappiamo. Ma sappiamo con certezza che questa nuova Parrocchia è stata seguita quasi giorno per giorno, man mano che dalle fondazioni veniva su, un mattone sopra l’altro.

  • La Lettera di Ringraziamento

    Ed ora riproduciamo il testo della lettera che il Parroco ha inviata a Sua Santità. È giusto che tutti ne prendano visione, perché la lettera intende interpretare il pensiero di tutta la Comunità ferraiolina.

    Albano, 7 settembre 1971

  • Quadretti della Visita del Sommo Pontefice

    L’abbraccio don Umberto

    Quando si ha a che fare col Papa, tutti quanti si è emozionati. Il Parroco lo era come tutti glia altri. Ha letto il suo indirizzo d’omaggio, poi gli è sembrato che il Papa all’inizio del Suo discorso facesse un gesto verso di lui, ma invero non ha saputo interpretare subito, ed era indeciso se restar fermo o avanzarsi verso il Sommo Pontefice.

    Questi poi l’ha visibilmente attirato verso di sé e l’ha chiuso in un cordiale abbraccio. La gente ha capito benissimo: in quel momento il Papa non abbracciava il Parroco di Villa ferraioli, ma abbracciava l’intero quartiere, ch’egli rappresentava. E tutti sono scoppiati in un applauso cordiale, inatteso e perciò molto efficace.

  • Costruire la comunità - Riflessioni di un giovane

    “Carissimi, un avvenimento d’eccezionale importanza si verficherà…”. Con queste parole aveva inizio l’invito rivolto ad ogni famiglia della nostra Parrocchia, per la visita del Pontefice. Non ci sono stati manifesti proprio per sottolineare l’esclusività alla nostra comunità della visita pontificia.

     Grandi preparativi ci sono stati in quel venerdì, poi il Papa è venuto, ci ha parlato, ci ha lasciato la Sua benedizione, ci ha affidato un impegno preciso: Costruire la nostra Chiesa. Un’altra? No. Ma quella vera, di cui noi stessi siamo i mattoni, la vera dimora di Cristo.

  • Ripresa Attività Pastorali

    Per dare una buona impostazione all' ATTIVITA'  CATECHISTICA e ravvivare la Fede di ciascuno, sono indispensabili gli INCONTRI dei GENITORI dei Bambini Comunicandi del I e del II anno e dei Ragazzi Cresimandi del I e del II anno.

    Si svolgeranno direttamente in Chiesa:

    LUNEDI' 1° OTTOBRE alle ore 15: per i Genitori del I COMUNIONE

    LUNEDI' 1° OTTOBRE alle ore 19: per i Genitori del II COMUNIONE

    MARTEDI' 2 OTTOBRE alle ore 19: per i Genitori del I e II CRESIMA

    DOMENICA 7 OTTOBRE

    PRESENTAZIONE di tutti i COMUNICANDI E CRESIMANDI alla Comunità Parrocchiale, con la partecipazione alla S. Messa delle ore 10

    NELLA SETTIMANA che segue, da MERCOLEDI' 10 OTTOBRE, INIZIO UFFICIALE della CATECHESI

    OGNI MERCOLEDI': dalle ore 16,30 alle ore 18 tutti i COMUNICANDI

                                        dalle ore 18,00 alle ore 19,30 tutti i CRESIMANDI

  • XXIV Domenica del Tempo Ordinario

    Commento al Vangelo della XXIV domenica del Tempo Ordinario

    Mc 8,27-35

    Anno B

     

    In questa domenica la liturgia ci presenta un episodio evange­lico molto importante: Gesù chiede ai discepoli che cosa pensa la gente di lui, e poi che cosa pensano loro di lui; e dopo la confes­sione di Pietro annuncia la sua passione.

    Dopo la prima parte della sua vita pubblica Gesù va nella re­gione di Cesarea di Filippo, un territorio a nord-est della Palestina. Qui interroga i suoi discepoli: «Chi dice la gente che io sia?». Il suo ministero ha avuto un grande successo; egli ha parlato come nessun uomo ha mai parlato e ha manifestato al tem­po stesso una bontà straordinaria e una potenza impressionante: ha accolto tutti i malati e ne ha guariti molti. Perciò la sua perso­na suscita molti interrogativi: la gente si chiede chi sia questo per­sonaggio così potente e così buono. I discepoli rispondono alla prima domanda di Gesù: per alcu­ni egli è Giovanni Battista risorto, per altri Elia, per altri uno dei profeti che ha avuto una sorte simile. La gente dunque è incerta sulla vera identità di Gesù.

    Gesù allora rivolge una seconda domanda ai discepoli: «E voi chi dite che io sia?». Pietro risponde: «Tu sei il Cristo». Guidato dallo Spirito Santo, Pietro riconosce che Gesù è il Messia, il re pro­messo della stirpe di Davide, il re che doveva essere Figlio di Dio.

    La reazione di Gesù a questa confessione di Pietro è inaspet­tatamente negativa. Egli accetta questo titolo, ma impone severamente ai discepoli di non parlare di lui a nessuno, di non dire a nessuno che egli è il Messia. Il motivo è lo stesso che, dopo la mol­tiplicazione dei pani, lo ha spinto a ritirarsi solo sulla montagna, rifiutandosi di diventare re. In effetti, l’attesa messianica nel popolo ebreo si manifestava allora in un modo che non piaceva a Gesù. Senza dubbio egli è con­sapevole di essere il Messia, ma sa che la sorte del Messia non è quella immaginata dalla gente. La gente pensa al Messia come a un re trionfatore o, più esattamente, come a un personaggio che deve provocare un’insurrezione, prendere il potere e liberare il po­polo ebreo con la forza delle armi. Gesù non intende favorire que­sta immagine del Messia; perciò vieta ai discepoli di rivelare che egli è il Messia.

    A questo punto egli comincia a insegnare che il Figlio dell’uo­mo deve molto soffrire. «Figlio dell’uomo» è un’espressione che Gesù usa spesso per designare se stesso. È un titolo che non ha nul­la di trionfalistico, ma che vuole semplicemente significare un uo­mo chiamato a una missione, senza quelle risonanze militari su­scitate dal titolo di Messia.

    Gesù afferma che il Figlio dell’uomo dovrà molto soffrire, essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risuscitare. Fa questo discorso aper­tamente.

    Pietro allora lo prende in disparte e si mette a rimproverarlo. Pietro non accetta questa sorte umiliante per Gesù. Anche lui pensa a un Messia trionfatore, non a un uomo riprovato dagli al­tri, che deve soffrire, essere accusato, maltrattato e ucciso; perciò non può accettare questa prospettiva.

    La reazione di Gesù è decisa e severa. Pietro lo ha rimprove­rato; ora è lui che rimprovera Pietro e gli dice: «Lungi da me, sa­tana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini».

    Nel caso di Gesù i pensieri di Dio vanno nel senso di dover af­frontare una passione dolorosa e umiliante. Ma questa passione avrà effetti molto positivi, di salvezza per tutti gli uomini: effetti che non possono essere ottenuti per mezzo di un trionfo militare, con la forza delle armi.

    Questo è il progetto di Dio, che era stato già indicato, sia pu­re non in modo così esplicito, nelle profezie e, in particolare, nei canti del Servo del Signore.

    Gli oracoli di Isaia sul Servo del Signore non parlano esplici­tamente del Messia, per cui lasciano adito a varie interpretazio­ni. Tuttavia annunciano una sorte dolorosa per il Servo del Signore: egli deve presentare il dorso ai flagellatori, la guancia a coloro che gli strappano la barba, non sottrarre la faccia agli insulti e agli spu­ti. La sua è una sorte veramente umiliante.

    Ma il Servo del Signore dice: «Il Signore Dio mi assiste, per questo non resto confuso, per questo rendo la mia faccia dura co­me pietra, sapendo di non restare deluso». In questa sorte umiliante il Servo del Signore è sicuro di essere assistito da Dio. Perciò non perde il coraggio, anzi mostra una straordinaria fermezza.

    Dopo l’annuncio della passione Gesù dà un insegnamento ge­nerale, valido per tutti quelli che vogliono diventare suoi disce­poli: «Se qualcuno vuol venire dietro di me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua». Sono parole molto chiare, che can­cellano tutte le illusioni di chi vuol diventare discepolo del Messia per trionfare con lui e soddisfare le proprie aspirazioni umane spon­tanee. Gesù dice che bisogna rinnegare se stessi - quindi, rinun­ciare alle proprie aspirazioni umane di trionfo, successo e domi­nio -, prendere la propria croce e seguirlo.

    Poi dà una regola generale: «Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del van­gelo, la salverà». Per capire questo principio importante di Gesù, dobbiamo ricordare che la vocazione dell’uomo è una vocazione all’amore: Dio, che è amore, ci ha creati per comunicarci il suo amore e renderci capaci di vivere nell’amore.

    Pertanto, la felicità dell’uomo non si trova nell’egoismo, ma nell’amore. Chi vuol salvare la propria vita, la perde, perché si met­te sulla via dell’egoismo, e non può trovare in essa la vera gioia. Invece, chi accetta di perdere la propria vita per causa di Gesù e del suo Vangelo, la salva, perché si mette decisamente sulla via dell’amore: per amore del Signore accetta una sorte difficile, un combattimento duro; accetta di perdere la propria vita per amo­re, e così raggiunge la gioia perfetta e definitiva.

    Dobbiamo tener sempre presente questo insegnamento di Gesù, perché la nostra tendenza spontanea è quella di cercare in maniera immediata la felicità, e quindi di metterci sulla via dell’egoismo, che non conduce alla vera gioia. Dobbiamo accettare sempre di perdere la nostra vita, cioè di rinunciare ai nostri interessi imme­diati, per cercare il regno di Dio, che è il regno dell’amore, della pace e della gioia.

    Per fede, siamo chia­mati a perdere la nostra vita per amore, e così otterremo la vera vita, la vera gioia e la felicità eterna. I martiri hanno avuto il co­raggio di perdere la propria vita per amore del Signore, e così han­no raggiunto la vera gioia e la felicità eterna. Anche noi dobbia­mo seguire sempre questo orientamento, avendo una fede che ci liberi sempre più dal nostro egoismo e che ci metta sempre più sul­la via della generosità e dell’amore.

     

  • Santa Messa di inizio Anno Scolastico

    Domenica 23 settembre

    alle ore 10:00

     per affidare a Dio, nostro Padre,

     le ansie, le attese e le speranze.

    Sono invitati studenti, educatori e genitori per prendere consapevolezza dei propri compiti educativi e chiunque abbia a cuore la stagione scolastica come tempo propizio di ricerca e formazione.

     

    In questo periodo di rientro, io mi rivolgo a voi, cari scolari e studenti che cominciate un nuovo anno scolastico. Apprendere è bello e necessario. Fatelo di buon cuore. Possiate scoprire anche la gioia dell’amicizia!

    Benedetto XVI

  • Pellegrinaggio a S. Giovanni Rotondo

    5 - 6 Ottobre 2012

    Venerdì - Sabato

    Pellegrinaggio a S. Giovanni Rotondo per venerare San Pio da Pietrelcina

     

     

    Venerdì 5 Ottobre ore 5,45: partenza da Piazza Paolo VI. Durante il viaggio sosta al Santuario Eucaristico di Lanciano; arrivo in albergo; pranzo; nel pomeriggio visita a Monte S. Angelo; cena; tempo libero.

     

    Sabato 6 Ottobre: S. Messa; visita al nuovo Santuario; pranzo;visita al Convento di S. Matteo al Gargano. Rientro ad Albano per le ore 21

    Quota di partecipazione per il Viaggio in pulmann, pensione in albergo, molto vicino al Satuario, comprese le bevande € 115,00 da versare con la prenotazione.

  • Mons. Luigi D'Andrea

    E’ tornato alla Casa del Padre  Mons. Luigi D'Andrea, ofm.,nato ad Albano Laziale il 23 febbraio 1934 e Vescovo emerito di Caxias do Maranhao (Brasile). Il Parroco nel ricordare la sua figura, è vicino alla famiglia partecipando al dolore dei frati conventuali. Riportiamo l’articolo scritto in occasione della pubblicazione del libro sul "Tentennio" della costruzione della Chiesa. che ricorda la I visita di S. E. alla nostra Parrocchia.

    Un nostro concittadino Vescovo

    Mercoledì 20 Gennaio 1988 è presente in Parrocchia il nostro concittadino S. E. mons. Luigi D’Andrea eletto Vescovo di CAXIAS MARANAO (Brasile), già da non pochi anni Missionario dei Padri Minori Francescani. La Sua nomina è stata accolta con tanta gioia in Albano e nella nostra Parrocchia; con entusiasmo abbiamo seguito la Sua Consacrazione Episcopale per le mani del Santo Padre Giovanni Paolo II nella Basilica di S. Pietro in Vaticano la mattina del 6 Gennaio.

                Non poteva mancare per la Celebrazione Eucaristica in mezzo a noi ed è stato accolto con indescrivibile gioia. La Sua presenza e la Sua parola ci hanno ravvivato e sensibilizzato lo spirito missionario.

                Grazie di cuore a Mons. D’Andrea, amico d’infanzia di don Umberto. Al novello Vescovo l’augurio affettuoso e sincero di fecondo apostolato e “ad multos annos”

     

  • XXIII Domenica del Tempo Ordinario

    Commento al Vangelo della XXIII domenica del Tempo Ordinario

    (Mc 7,31-37)

    Anno B

     

    Il Vangelo di questa domenica ci presenta la guarigione di un sordomuto da parte di Gesù: è un episodio di grande importanza e rilevanza per la nostra vita cristiana.

    Un sordomuto ai tempi di Gesù era totalmente escluso dalla vita sociale della sua comunità perché incapace di comunicare come gli altri. Alcune persone portano un sordomuto da Gesù perché possa imporgli le mani. Gesù lo prende in disparte, lontano dalla folla che lo seguiva, non vuole infatti fare colpo sulla gente, ma solamente aiutare quest’uomo. Di grande rilievo sono i gesti che Gesù compie, prende in disparte, tocca le orecchie e la lingua del sordomuto, segno della vicinanza e dell’incarnazione infatti Gesù vive pienamente il suo essere uomo solidale con gli altri uomini, poi alza lo sguardo al cielo, la guarigione nasce dall’unione intima che ha con Dio, infine pronuncia un sospiro “apriti” e il miracolo si compie. Prima di rimandare il sordomuto ormai guarito dalla sua gente si raccomanda di non dire niente a nessuno, di mantenere il segreto. Gesù non vuole la fama ma solamente il bene dell’uomo.

    Ogni cristiao ha vissuto questo miracolo il giorno del proprio battesimo, durante i riti esplicativi del battesimo la Chiesa rivive questo gesto che il Signore ha compiuto. Il sacerdote dopo il battesimo tocca le orecchie e le labbra del battezzato dicendo: “Il Signore Gesù che fece udire i sordi e parlare i muti, ti conceda di ascoltare presto la sua parola e di professare la tua fede, a lode e gloria di Dio Padre”. Il battesimo ci dona la capacità di ascoltare la parola di Dio, di pregarlo e di testimoniare la nostra fede, per poter vivere nella gioia, nella pace e nella piena fiducia in Dio.

  • XXII Domenica del Tempo Ordinario

    Commento al Vangelo della XXII Domenica del Tempo Ordinario

    Anno B

    Mc (7,1-8.14-15.21-23) 

    Nel Vangelo di questa settimana vediamo come gli Scribi e i Farisei entrano in conflitto con Gesù per una questione apparentemente di poco conto: infatti avevano visto i suoi discepoli prendere cibo con mani impure, cioè non lavate. Quello che per noi è un gesto di poco conto, rispecchia invece una mentalità ed una cultura molto forte, cioè la trasgressione di una delle innumerevoli norme che erano state aggiunte alla Legge di Mosè.

    Secondo la tradizione dei farisei i cibi ritualmente impuri contaminavano l’uomo, quindi si doveva essere molto attenti a rispettare tutte le regole di purità rituale per non essere contaminati dai cibi. Per Gesù non è così! L’impurità più importante non è questa “non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa contaminarlo; sono invece le cose che escono dall’uomo che possono contaminarlo”. Il cibo che l’uomo prende, spiega Gesù, non finisce nel cuore, invece è proprio da lì che nascono le cose cattive: “prostituzione, furti, omicidi, adulteri, cupidigie, malvagità, inganno, impudicizia, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dal di dentro e contaminano l’uomo”.

    Gesù chiede alle persone del suo tempo, e chiede a noi, non una religiosità che sia attenta alla pratica esteriore, ma che sia una religiosità e una fede che nasce dalla purezza di cuore.

    È importante in questa domenica domandarci come viviamo la nostra fede, se attraverso la pratica ripetuta di tanti atti, molte volte anche buoni, che hanno perso il loro significato profondo; oppure, è un incontro radicale e profondo con l’amore di Dio che cambia e trasforma il nostro cuore secondo la sua volontà attraverso l’osservanza della sua Parola che è spirito e vita.

     

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