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  • Benedizione delle Famiglie

    BENEDIZIONE PASQUALE DELLE CASE

    E VISITA DEL PARROCO A TUTTE LE FAMIGLIE

     

     Anno 2020

    COME DA NOTIFICAZIONE DEL VESCOVO, FACENDO RIFERIMENTO ALLE

     DISPOSIZIONI DELLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI EMENATE

     IN DATA 4 MARZO 2020 CIRCA L'EMERGENZA CORONAVIRUS

     

    SONO SOSPESE LE BENEDIZONI PASQUALI ALLE FAMIGLIE

     

     

    IN ALLEGATO NOTA DEL VESCOVO

     

     

     

    n.b. - Il Programma potrebbe subire variazioni.

    Fare sempre riferimento all'avviso affisso all'ingresso di ogni palazzo

     

     

    LUNEDI' 17 FEBBRAIO: ore 17,00 – 19,00

    Via Risorgimento: civ. n. 109- 131

    Via Orazi e Curiazi : civ. n. 21 - 25

  • Festa di Carnevale 2020

  • Tra il DIRE e il FARE un discernimento incarnato e inclusivo

    Sintesi dei lavori svolti in cinque gruppi sul tema "La Parrocchia com'era, com'è, come pensiamo possa essere in futuro.

  • GIORNATA DEL MALATO

    locandina giornata malato19

     

    In occasione della XXVII Giornata mondiale del malato,

    lunedì 11 febbraio 

    la celebrazione si svolgera' alle ore 17.30

  • Da Lunedì 4 Febbraio al via le Benedizioni Pasquali alle Famiglie

    BENEDIZIONE PASQUALE DELLE CASE
    E VISITA DEL PARROCO A TUTTE LE FAMIGLIE

     Anno 2019

    N.B. IL CALENDARIO POTREBBE SUBIRE DELLE VARIAZIONI

    FARE SEMPRE RIFERIMENTO ALL'AVVISO AFFISSO ALL'INGRESSO DI OGNI PALAZZO

     

    LUNEDI' 4 FEBBRAIO: ore 15,00 – 19,00

    Via Orazi e Curiazi : civ. n. 21- 25

    Via Risorgimento: civ. n. 2 – 22- 107- 109- 131

     

    MERCOLEDI' 6 FEBBRAIO: ore 15,00 - 19,00

    Via Risorgimento: civ. n. 17- 31-45- 85-97

    Via Virgilio: civ. n. 4

  • Diaconato di Pietro Larin - 18 Marzo 2018

  • 11 Febbraio 2018: VI Domenica del Tempo Ordinario

    VI Domenica - Tempo ordinario

    Letture: Levitico 13,1-2.45-46; Salmo 31; 1 Corinzi 10,31-11,1; Marco 1,40-45

    Anno B

     

    In quel tempo, venne da Gesù un lebbroso, che lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi purificarmi!». Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio, sii purificato!». E subito la lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato. E, ammonendolo severamente, lo cacciò via subito e gli disse: «Guarda di non dire niente a nessuno; va', invece, a mostrarti al sacerdote e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha prescritto, come testimonianza per loro». Ma quello si allontanò e si mise a proclamare e a divulgare il fatto, tanto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma rimaneva fuori, in luoghi deserti; e venivano a lui da ogni parte.

     

    Un lebbroso cammina diritto verso di lui. Gesù non si scansa, non mostra paura. Si ferma addosso al dolore e ascolta.
    Il lebbroso «porterà vesti strappate, sarà velato fino al labbro superiore, starà solo e fuori» (Levitico 13,46). Dalla bocca velata, dal volto nascosto del rifiutato esce un'espressione bellissima: «Se vuoi, puoi guarirmi». Con tutta la discrezione di cui è capace: «Se vuoi». E intuisco Gesù toccato da questa domanda grande e sommessa, che gli stringe il cuore e lo obbliga a rivelarsi: «Se vuoi». A nome di tutti i figli dolenti della terra il lebbroso lo interroga: che cosa vuole veramente Dio da questa carne piagata, che se ne fa di queste lacrime? Vuole sacrifici o figli guariti?
    Davanti al contagioso, all'impuro, un cadavere che cammina, che non si deve toccare, uno scarto buttato fuori, Gesù prova «compassione». Il Vangelo usa un termine di una carica infinita, che indica un crampo nel ventre, un morso nelle viscere, una ribellione fisica: no, non voglio; basta dolore!
    Gesù prova compassione, allunga la mano e tocca. Nel Vangelo ogni volta che Gesù si commuove, tocca. Tocca l'intoccabile, toccando ama, amando lo guarisce. Dio non guarisce con un decreto, ma con una carezza.
    La risposta di Gesù al «se vuoi» del lebbroso, è diretta e semplice, una parola ultima e immensa sul cuore di Dio: «Lo voglio: guarisci!». Me lo ripeto, con emozione, fiducia, forza: eternamente Dio altro non vuole che figli guariti. È la bella notizia, un Dio che fa grazia, che risana la vita, senza mettere clausole. Che adesso lotta con me contro ogni mio male, rinnovando goccia a goccia la vita, stella a stella la notte.
    E lo mandò via, con tono severo, ordinandogli di non dire niente. Perché Gesù non compie miracoli per qualche altro fine, per fare adepti o per avere successo, neppure per convertire qualcuno. Lui guarisce il lebbroso perché torni integro, perché sia restituito alla sua piena umanità e alla gioia degli abbracci. È la stessa cosa che accade per ogni gesto d'amore: amare «per», farlo per un qualsiasi scopo non è vero amore.
    Quanti uomini e donne, pieni di Vangelo, hanno fatto come Gesù e sono andati dai lebbrosi del nostro tempo: rifugiati, senza fissa dimora, tossici, prostitute. Li hanno toccati, un gesto di affetto, un sorriso, e molti di questi, e sono migliaia e migliaia, sono letteralmente guariti dal loro male, e sono diventati a loro volta guaritori.
    Prendere il Vangelo sul serio ha dentro una potenza che cambia il mondo.
    E tutti quelli che l'hanno preso sul serio e hanno toccato i lebbrosi del loro tempo, tutti testimoniano che fare questo porta con sé una grande felicità. Perché ti mette dalla parte giusta della vita.

  • 4 Febbraio 2018: V Domenica del Tempo Ordinario

    V Domenica del Tempo Ordinario

    Letture: Giobbe 7,1-4.6-7; Salmo 146; 1 Corinzi 9,16-19.22-23; Marco 1,29-39

    Anno B

     

    In quel tempo, Gesù, uscito dalla sinagoga, subito andò nella casa di Simone e Andrea, in compagnia di Giacomo e Giovanni. La suocera di Simone era a letto con la febbre e subito gli parlarono di lei. Egli si avvicinò e la fece alzare prendendola per mano; la febbre la lasciò ed ella li serviva. Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portavano tutti i malati e gli indemoniati. Tutta la città era riunita davanti alla porta. Guarì molti che erano affetti da varie malattie e scacciò molti demoni; ma non permetteva ai demoni di parlare, perché lo conoscevano. Al mattino presto si alzò quando ancora era buio e, uscito, si ritirò in un luogo deserto, e là pregava. Ma Simone e quelli che erano con lui si misero sulle sue tracce. Lo trovarono e gli dissero: «Tutti ti cercano!». Egli disse loro: «Andiamocene altrove, nei villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!». [...]

     

    Gesù esce dalla sinagoga e va nella casa di Simone: inizia la Chiesa. Inizia attorno ad una persona fragile, malata: la suocera di Simone era a letto con la febbre.
    Gesù la prende per mano, la solleva, la libera e lei, non più imbrigliata dentro i suoi problemi, può occuparsi della felicità degli altri, che è la vera guarigione per tutti.
    Ed ella li serviva: Marco usa lo stesso verbo impiegato nel racconto degli angeli che servivano Gesù nel deserto, dopo le tentazioni. La donna che era considerata una nullità, è assimilata agli angeli, le creature più vicine a Dio.
    Questo racconto di un miracolo dimesso, così poco vistoso, senza neppure una parola da parte di Gesù, ci può aiutare a smetterla con l'ansia e i conflitti contro le nostre febbri e problemi. Ci può ispirare a pensare e a credere che ogni limite umano è lo spazio di Dio, il luogo dove atterra la sua potenza.
    Poi, dopo il tramonto del sole, finito il sabato con i suoi 1521 divieti (proibito anche visitare gli ammalati) tutto il dolore di Cafarnao si riversa alla porta della casa di Simone: la città intera era riunita davanti alla porta. Davanti a Gesù, in piedi sulla soglia, luogo fisico e luogo dell'anima; davanti a Gesù in piedi tra la casa e la strada, tra la casa e la piazza; Gesù che ama le porte aperte che fanno entrare occhi e stelle, polline di parole e il rischio della vita, del dolore e dell'amore. Che ama le porte aperte di Dio.
    Quelle guarigioni compiute dopo il tramonto, quando iniziava il nuovo giorno, sono il collaudo di un mondo nuovo, raccontato sul ritmo della genesi: e fu sera e fu mattino. Il miracolo è, nella sua bellezza giovane, inizio di un giorno nuovo, primo giorno della vita guarita e incamminata verso la sua fioritura.
    Quando era ancora buio, uscì in un luogo segreto e là pregava. Un giorno e una sera per pensare all'uomo, una notte e un'alba per pensare a Dio. Perché ci sono nella vita sorgenti segrete, alle quali accostare le labbra. Perché ognuno vive delle sue sorgenti. E la prima delle sorgenti è Dio. Gesù, pur assediato, sa inventare spazi. Di notte! Quegli spazi segreti che danno salute all'anima, a tu per tu con Dio.
    Simone si mette sulle sue tracce: non un discepolo che segue il maestro ma che lo insegue, con ansia; lo raggiunge e interrompe la preghiera: tutti ti cercano, la gente ti vuole e tu stai qui a perdere tempo; hai avuto un grande successo a Cafarnao, coltiviamolo.
    E Gesù: no, andiamo altrove. Cerca altri villaggi, un'altra donna da rialzare, un altro dolore da curare. Altrove, dove c'è sempre da sdemonizzare l'esistenza e la fede, annunciando che Dio è vicino a te, con amore, e guarisce tutto il male di vivere.

  • 26 Febbraio 2016: VIII Domenica del Tempo Ordinario

    VIII Domenica del Tempo Ordinario

    Letture: Isaia 49,14-15; Salmo 61; 1 Corinzi 4,1-5; Matteo 6,24-34

    Anno A

     

    In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: «Nessuno può servire due padroni, perché o odierà l'uno e amerà l'altro, oppure si affezionerà all'uno e disprezzerà l'altro. Non potete servire Dio e la ricchezza. Perciò io vi dico: non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete, né per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito? Guardate gli uccelli del cielo: non séminano e non mietono, né raccolgono nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non valete forse più di loro? E chi di voi, per quanto si preoccupi, può allungare anche di poco la propria vita? E per il vestito, perché vi preoccupate? Osservate come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. (...)

     

    Non preoccupatevi. Per tre volte Gesù ribadisce il suo invito pressante: non abbiate quell'affanno che toglie il respiro, per cui non esistono feste o domeniche, non c'è tempo di fermarsi a guardare negli occhi la vita, a parlare con chi si ama. Non lasciatevi rubare la serenità e salvate la capacità di godere delle cose belle che ogni giorno il Padre mette sulla vostra strada, che accadono dentro il vostro spazio vitale. Ma soprattutto, per quale motivo non essere in ansia? Perché Dio non si dimentica: può una madre dimenticarsi del suo figliolo? Se anche una madre si dimenticasse, io non mi dimenticherò di te, mai (Isaia 49,14-15, Prima Lettura). Guardate gli uccelli del cielo, osservate i gigli del campo. Gesù parla della vita con le parole più semplici e più proprie: coglie dei pezzi di terra, li raduna nella sua parola e il cielo appare. Gesù osserva la vita e nascono parabole. Osserva la vita e questa gli parla di fiducia. Il Vangelo oggi ci pone la questione della fiducia. Dove metti la tua fiducia? La risposta è chiara: in Dio, prima di tutto, perché Lui non abbandona e ha un sogno da consegnarti. Non mettere la sicurezza nel tuo conto in banca. Gesù sceglie gli uccelli, esseri liberi, quasi senza peso, senza gravità, che sono una nota di canto e di libertà nell'azzurro. Lasciatevi attirare come loro dal cielo, volate alto e liberi! Vivete affidàti. La fede ha tre passi: ho bisogno, mi fido, mi affido. Affidatevi e non preoccupatevi. Non un invito al fatalismo, in attesa che Qualcuno risolva i problemi, perché la Provvidenza conosce solo uomini in cammino (don Calabria): se Dio nutre creature che non seminano e non mietono, quanto più voi che seminate e mietete. Non preoccupatevi, il Padre sa. Tra le cose che uniscono le tre grandi religioni, c'è la certezza che Dio si prende cura, che Dio provvede. Non preoccupatevi, Dio sa. Ma come faccio a dirlo a chi non trova lavoro, non riesce ad arrivare a fine mese, non vede futuro per i figli? «Se uno è senza vestiti e cibo quotidiano e tu gli dici, va in pace, non preoccuparti, riscaldati e saziati, ma non gli dai il necessario per il corpo, a che cosa ti serve la tua fede?» (Giacomo 2,16). Dio ha bisogno delle mie mani per essere Provvidenza nel mondo. Sono io, siamo noi, i suoi amici, il mezzo con cui Dio interviene nella storia. Io mi occupo di qualcuno e Lui, che veste di bellezza i fiori del campo, si occuperà di me. Cercate prima di tutto il Regno. Vuoi essere una nota di libertà nell'azzurro, come un passero? Bello come un fiore? Cerca prima di tutto le cose di Dio, cerca solidarietà, generosità, fiducia; fìdati e troverai ciò che fa volare, ciò che fa fiorire!

  • Reliquia di Papa Paolo VI

  • 19 Febbraio 2017: VII Domenica del Tempo Ordinario

    VII Domenica del Tempo Ordinario

    Letture: Levitico 19,1-2.17-18; Salmo 102; 1 Corinzi 3,16-23; Matteo 5,38-48

    Anno A

     

    In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Avete inteso che fu detto: "Occhio per occhio e dente per dente". Ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi, se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu pórgigli anche l'altra, e a chi vuole portarti in tribunale e toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. E se uno ti costringerà ad accompagnarlo per un miglio, tu con lui fanne due. Da' a chi ti chiede, e a chi desidera da te un prestito non voltare le spalle. Avete inteso che fu detto: "Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico". Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani?...».

     

    Avete inteso che fu detto: occhio per occhio - ed era già un progresso enorme rispetto al grido selvaggio di Lamec, figlio di Caino: ho ucciso un uomo per una mia scalfittura e un ragazzo per un mio livido (Gen 4,23) - , ma io vi dico se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu porgigli anche l'altra. Porgi l'altra guancia, che vuol dire: sii disarmato, non incutere paura. Gesù non propone la passività morbosa del debole, ma una iniziativa decisa e coraggiosa: riallaccia tu la relazione, fa' tu il primo passo, perdonando, ricominciando, rattoppando coraggiosamente il tessuto della vita, continuamente lacerato dalla violenza.
    Il cristianesimo non è una religione di schiavi che abbassano la testa e non reagiscono; non è la morale dei deboli, che nega la gioia di vivere, ma la religione degli uomini totalmente liberi, come re, padroni delle proprie scelte anche davanti al male, capaci di disinnescare la spirale della vendetta e di inventare reazioni nuove, attraverso la creatività dell'amore, che fa saltare i piani, non ripaga con la stessa moneta, scombina le regole ma poi rende felici.
    È scritto: Amerai il prossimo e odierai il nemico, ma io vi dico: amate i vostri nemici. Tutto il Vangelo è qui: amatevi, altrimenti vi distruggerete. Altrimenti la vittoria sarà sempre del più violento, del più armato, del più crudele. Gesù intende eliminare il concetto stesso di nemico. Violenza produce violenza come una catena infinita. Io scelgo di spezzarla. Di non replicare su altri ciò che ho subito. Ed è così che mi libero.
    Il Vangelo mette in fila una serie di verbi che chiedono cose difficili: amate, pregate, porgete, benedite, prestate, fate: per primi, ad amici e nemici. La concretezza della santità, niente di astratto e lontano, santità terrestre che profuma di casa, di pane, di incontri. Non sono precetti, ma offerta di un potere, trasmissione da Dio all'uomo di una forza, di una energia divina.
    Infatti dove sta il centro da cui scaturisce tutto? Sta nelle parole: perché siate figli del Padre vostro che fa sorgere il sole sui buoni e sui cattivi. Da Padre a figli: c'è come una trasmissione di eredità, una eredità di comportamenti, di affetti, di valori, di forza, di solarità.
    Perché ogni volta che noi chiediamo al Signore: "Donaci un cuore nuovo" , noi stiamo invocando di poter avere un giorno il cuore di Dio, e gli stessi suoi sentimenti, la sua perfezione.
    È straordinario, verrà il giorno in cui il nostro cuore che ha fatto tanta fatica a imparare l'amore, sarà il cuore stesso di Dio e allora saremo capaci di un amore che rimane in eterno, che sarà la nostra anima, per sempre, e che sarà l'anima del mondo.

  • 12 Febbraio 2017: VI Domenica del Tempo Ordinario

    VI Domenica del Tempo Ordinario

    Letture: Siracide 15,16-21; Salmo 118; 1 Corinzi 2,6-10; Matteo 5,17-37

    Anno A

     

    In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Io vi dico: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli. Avete inteso che fu detto agli antichi: "Non ucciderai; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio". Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. Avete inteso che fu detto: "Non commetterai adulterio". Ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel proprio cuore. Avete anche inteso che fu detto agli antichi: "Non giurerai il falso, ma adempirai verso il Signore i tuoi giuramenti". Ma io vi dico: non giurate affatto. Sia invece il vostro parlare: "sì, sì", "no, no"; il di più viene dal Maligno».

     

    Un Vangelo da vertigini. E come è possibile? Anche Maria lo chiese quel giorno all'angelo, ma poi disse a Dio: "sia fatta la tua volontà, modellami nelle tue mani, io tua tenera argilla, trasformami il cuore". E ha partorito Dio. Anche noi possiamo come lei, portare Dio nel mondo: partorire amore.
    Avete inteso che fu detto... ma io vi dico. Gesù non contrappone alla morale antica una super-morale migliore, ma svela l'anima segreta della legge: «Il suo Vangelo non è una morale ma una sconvolgente liberazione» (G. Vannucci).
    Gesù non è né lassista né rigorista, non è più rigido o più accondiscendente degli scribi: lui fa un'altra cosa, prende la norma e la porta avanti, la fa schiudere come un fiore, nelle due direzioni decisive: la linea del cuore e la linea della persona.
    Gesù porta a pienezza la legge e nasce la religione dell'interiorità. Fu detto: non ucciderai; ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello, cioè chiunque alimenta rabbie e rancori, è già in cuor suo un omicida. Gesù va alla sorgente: ritorna al cuore e guariscilo, solo così potrai curare i tuoi gesti. Ritorna al cuore e custodiscilo perché è la sorgente della vita. Non giurate affatto; il vostro dire sia sì, sì; no, no. Dal divieto del giuramento, arriva al divieto della menzogna. Dì la verità sempre, e non servirà giurare.
    Porta a compimento la legge sulla linea della persona: se tu guardi una donna per desiderarla sei già adultero. Non dice semplicemente: se tu, uomo, desideri una donna; se tu, donna, desideri un uomo. Il desiderio è un servitore necessario alla vita. Dice: se guardi per desiderare e vuol dire: se ti avvicini ad una persona per sedurre e possedere, se riduci l'altro a un oggetto, tu pecchi contro la grandezza di quella persona.
    Commetti adulterio nel senso originario del termine adulterare: tu alteri, falsifichi, manipoli, immiserisci la persona. Le rubi il sogno di Dio, l'immagine di Dio. Pecchi non contro la morale, ma contro la persona, contro la nobiltà e la profondità della persona.
    Cos'è la legge morale allora? Ascolti Gesù e capisci che la norma è salvaguardia della vita, custodia di ciò che ci fa crescere oppure diminuire in umanità. Ascolti queste parole che sono tra le più radicali del Vangelo e capisci che diventano le più umane, perché Gesù parla solo in difesa della umanità dell'uomo, con le parole proprie della vita.
    Allora il Vangelo diventa facile, umanissimo, anche quando dice parole che danno le vertigini. Perché non aggiunge fatica a fatica, non convoca eroi duri e puri, non si rivolge a santi, ma a persone autentiche, semplicemente a uomini e donne sinceri nel cuore.

  • Carnevale 2017

  • 5 Febbraio 2017 - V Domenica del Tempo Ordinario

    V Domenica del Tempo Ordinario

    Letture: Isaia 58,7-10; Salmo 111; 1 Corinzi 2,1-5; Matteo 5,13-16

    Anno A

     

    In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato? A null'altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente. Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città che sta sopra un monte, né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli».

     

    «Voi siete il sale, voi siete la luce della terra». Il Vangelo è sale e luce, è come un istinto di vita che penetra nelle cose, si oppone al loro degrado e le fa durare. È come un istinto di bellezza, che si posa sulla superficie delle cose, come fa la luce, le accarezza, non fa rumore, non fa violenza mai, ne fa invece emergere forme, colori, armonie e legami, il più bello che c'è in loro. Così il discepolo-luce è uno che ogni giorno accarezza la vita e ne rivela il bello, uno dai cui occhi emana il rispetto amoroso per ogni vivente.
    Voi siete il sale, voi avete il compito di preservare ciò che nel mondo vale e merita di durare, di opporvi ai corruttori, di dare sapore, di far gustare il buono della vita.
    Voi siete la luce del mondo. Una affermazione che ci sorprende, che Dio sia luce lo crediamo; ma credere che anche l'uomo sia luce, che lo sia anch'io e anche tu, con i nostri limiti e le nostre ombre, questo è sorprendente. E lo siamo già adesso, se respiriamo vangelo. La luce è il dono naturale di chi ha respirato Dio.
    Quando tu segui come unica regola di vita l'amore, allora sei luce e sale per chi ti incontra. Quando due sulla terra si amano, diventano luce nel buio, lampada ai passi di molti, piacere di vivere e di credere. In ogni casa dove ci si vuol bene, viene sparso il sale che dà sapore buono alla vita.
    Chi vive secondo il vangelo è una manciata di luce gettata in faccia al mondo (Luigi Verdi). E non facendo il maestro o il giudice, ma con le opere: risplenda la vostra luce nelle vostre opere buone.
    Sono opere di luce i gesti dei poveri, di chi ha un cuore bambino, degli affamati di giustizia, dei mai arresi cercatori di pace, i gesti delle beatitudini, che si oppongono a ciò che corrompe il cammino del mondo: violenza e denaro.
    La luce non illumina se stessa, il sale non serve a se stesso. Così ogni credente deve ripetere la prima lezione delle cose: a partire da me, ma non per me. Una religione che serva solo a salvarsi l'anima non è quella del Vangelo.
    Ma se il sale perde sapore, se la luce è messa sotto a un tavolo, a che cosa servono? A nulla. Così noi, se perdiamo il vangelo, se smussiamo la Parola e la riduciamo a uno zuccherino, se abbiamo occhi senza luce e parole senza bruciore di sale, allora corriamo il rischio mortale dell'insignificanza, di non significare più nulla per nessuno.
    L'umiltà della luce e del sale: perdersi dentro le cose. Come suggerisce il profeta Isaia: «Illumina altri e ti illuminerai, guarisci altri e guarirai» (Isaia 58,8). Non restare curvo sulle tue storie e sulle tue sconfitte, ma occupati della terra, della città. Chi guarda solo a se stesso non si illumina mai.

  • 28 Febbraio 2016: III Domenica di Quaresima

    III Domenica di Quaresima 

    Letture: Esodo 3,1-8.13-15; Salmo 102; 1 Corinzi 10,1-6.10-12; Luca 13,1-9

    Anno C

     

    In quel tempo si presentarono alcuni a riferire a Gesù il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici (...) Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo». Diceva anche questa parabola: «Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: “Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest'albero, ma non ne trovo. Tàglialo dunque!(...)" Ma quello gli rispose: “Padrone, lascialo ancora quest'anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l'avvenire; se no, lo taglierai”».

     

    Che colpa avevano quei diciotto uccisi dalla della torre di Siloe? E i tremila delle Torri gemelle? E i siriani, le vittime e i malati, sono forse più peccatori degli altri? La risposta di Gesù è netta: smettila di immaginare l'esistenza come un'aula di tribunale. Non c'è rapporto alcuno tra colpa e disgrazia, tra peccato e malattia. La mano di Dio non semina morte, non spreca la sua potenza in castighi. Ma se non vi convertirete, perirete tutti. È tutta una società che si deve salvare. Non serve fare la conta dei buoni e dei cattivi, bisogna riconoscere che è tutto un mondo che non va, se la convivenza non si edifica su altre fondamenta, e non la disonestà eretta a sistema, la violenza del più forte, la prepotenza del più ricco. Mai come oggi capiamo che tutto nel mondo è in stretta connessione: se ci sono milioni di poveri senza dignità né istruzione, sarà tutto il mondo ad essere privato del loro contributo, della loro intelligenza; se la natura è sofferente, soffre e muore anche l'uomo. Su tutti scende l'appello accorato e totale di Gesù: Amatevi, altrimenti vi distruggerete. Il Vangelo è tutto qui. Senza questo non ci sarà futuro. Alla serietà di queste parole fa da contrappunto la fiducia nel futuro nella parabola del fico: da tre anni il padrone attende invano dei frutti, e allora farà tagliare l'albero. Invece il contadino sapiente, che è un “futuro di cuore”, dice: «Ancora un anno di lavoro e gusteremo il frutto». Dio è così: ancora un anno, ancora un giorno, ancora sole pioggia cure perché quest'albero è buono; quest'albero, che sono io, darà frutto. Dio contadino, chino su di me, su questo mio piccolo campo, in cui ha seminato così tanto per tirar su così poco. Eppure lascia un altro anno ai miei tre anni di inutilità; e invia germi vitali, sole, pioggia, fiducia. Per lui il frutto possibile domani conta più della mia inutilità di oggi. «Vedremo, forse l'anno prossimo porterà frutto». In questo forse c'è il miracolo della fede di Dio in noi. Lui crede in me prima ancora che io dica sì. Il tempo di Dio è l'anticipo, il suo è amore preveniente, la sua misericordia anticipa il pentimento, la pecora perduta è trovata e raccolta mentre è ancora lontana e non sta tornando, il padre abbraccia il figlio prodigo e lo perdona prima ancora che apra bocca. Dio ama per primo, ama in perdita, ama senza condizioni. Amore che conforta e incalza: «Ti ama davvero chi ti obbliga a diventare il meglio di ciò che puoi diventare» (R. M. Rilke). La sua fiducia verso di me è come una vela che mi sospinge in avanti, verso la profezia di un'estate felice di frutti: se ritarda attendila, perché ciò che tarda di certo verrà (Ab. 2,3).

  • 21 Febbraio 2016: II Domenica di Quaresima

    II Domenica di Quaresima

    Letture: Genesi 15,5-12.17-18; Salmo 26; Filippesi 3,17- 4,1; Luca 9,28-36

     

    Anno C In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare. Mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante. Ed ecco, due uomini conversavano con lui: erano Mosè ed Elìa, apparsi nella gloria, e parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme. Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; ma, quando si svegliarono, videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui. Mentre questi si separavano da lui, Pietro disse a Gesù: «Maestro, è bello per noi essere qui. Facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elìa». Egli non sapeva quello che diceva. Mentre parlava così, venne una nube e li coprì con la sua ombra. All’entrare nella nube, ebbero paura. E dalla nube uscì una voce, che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!». Appena la voce cessò, restò Gesù solo. Essi tacquero e in quei giorni non riferirono a nessuno ciò che avevano visto.

     

    Dal deserto al Tabor; dalla domenica dell’ombra che ci minaccia, alla domenica della luce che ci abita. Ciò che è avvenuto in Cristo avverrà in ciascuno, lui è il volto ultimo e alto dell’uomo, icona di Dio dipinta, come le antiche icone greche, su di un fondo d’oro, che traspare dalle ferite e dai graffi della vita, come da misteriose feritoie. Il racconto della trasfigurazione è collocato in un contesto duro e difficile: Gesù ha appena consegnato ai suoi il primo annuncio della passione: il figlio dell’uomo deve soffrire molto, essere rifiutato, venire ucciso. E subito, dentro quel momento di oscurità, il vangelo ci regala il volto di Cristo che gronda luce, su cui tenere fissi gli occhi per affrontare il momento in cui la vita gronda sangue, per tutti, come per Gesù nell’orto degli ulivi. Gesù salì su di un alto monte a pregare. I monti sono come indici puntati verso il cielo, verso il mistero di Dio e la sua salvezza, raccontano che la vita è un ascendere silenzioso e tenace verso più luce, più orizzonti, più cielo. Gesù sale per pregare. La preghiera è mettersi in viaggio: destinazione Tabor, un battesimo di luce e di silenzio; destinazione futuro, un futuro più buono; approdo è il cuore di luce di Dio. Mentre pregava il suo volto cambiò di aspetto. Pregare trasforma. Pregare cambia il cuore, tu diventi ciò che contempli, ciò che ascolti, ciò che ami, Colui che preghi: è nel contatto con il Padre che la nostra realtà si illumina, e appare in tutta la sua lucentezza e profondità. In qualche momento privilegiato, toccati dalla gioia, dalla dolcezza di Dio, forse ci è capitato di dire, come Pietro: Signore, che bello! Vorrei che questo momento durasse per sempre. Facciamo qui tre tende? E una voce interiore diceva: è bello stare su questa terra, gravida di luce. È bello essere uomini, dentro questa umanità che pian piano si libera, cresce, ascende. È bello vivere. Le parole di Pietro trasmettono una esperienza precisa: Dio è bello. Invece La nostra predicazione ha ridotto Dio in miseria, relegato a rovistare nel passato e nel peccato dell’uomo. Ora sta a noi restituirgli il suo volto solare, testimoniare un Dio bello, desiderabile, interessante. Il Dio del futuro, delle fioriture, un Dio da gustare e da godere. Come san Francesco quando prega: tu sei bellezza, tu sei bellezza. Come sant’Agostino: tardi ti ho amato bellezza tanto antica e tanto nuova. Sarà come bere alle sorgenti della luce, agli orli dell’infinito. Davvero il cristianesimo è proprio la religione della penitenza, della mortificazione, del sacrificio, come molti pensano? No, il vangelo è la bella notizia che Dio regala vita a chi produce amore. 

  • Ultimo saluto alla nonna di Simone

    E' venuta a mancare la nonna del nostro caro collaboratore Simone Rapazzetti. Mi faccio portavoce a nome della nostra comunità parrocchiale di porgere le più sentite condoglianze a lui e alla famiglia. Alle ore 15:00, di oggi 16 Febbraio 2016, verranno celebrate le esequie presso la nostra chiesa parrocchiale.

  • 14 Febbraio 2016: I Domenica di Quaresima

    I Domenica di Quaresima

    Letture: Deuteronomio 26,4-10; Salmo 90; Romani 10,8-13; Luca 4,1-13

    Anno C

     

    In quel tempo Gesù, pieno di Spirito Santo, si allontanò dal Giordano ed era guidato dallo Spirito nel deserto, per quaranta giorni, tentato dal diavolo (...). Allora il diavolo gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di' a questa pietra che diventi pane». Gesù gli rispose: «Sta scritto: "Non di solo pane vivrà l'uomo"». Il diavolo lo condusse in alto, gli mostrò in un istante tutti i regni della terra e gli disse: «Ti darò tutto questo potere e la loro gloria, perché a me è stata data e io la do a chi voglio. Perciò, se ti prostrerai in adorazione dinanzi a me, tutto sarà tuo». Gesù gli rispose: «Sta scritto: "Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto"» (...).

     

    Le tentazioni di Gesù sono le forze, le lusinghe che mettono ogni uomo davanti alle scelte di fondo della vita.
    Ognuno tentato di ridurre i suoi sogni a pane, a denaro, di trasformare tutto, anche la terra e la bellezza, in cose da consumare.
    Ognuno tentatore di Dio: fammi, dammi, risolvi i miei problemi, manda angeli. Buttarsi nel vuoto e aspettare un volo d'angeli, non è fede, ma la sua caricatura: cercare il Dio dei miracoli, il bancomat delle grazie, colui che agisce al posto mio invece che insieme con me, forza della mia forza, luce sul mio cammino.
    Ognuno tentato dal piacere di comandare, decidere, arrivare più in alto. Io so la strada, dice lo Spirito cattivo: vénditi! Vendi la tua dignità e la tua libertà, baratta l'amore e la famiglia...
    Le tre tentazioni tracciano le relazioni fondamentali di ogni uomo: ognuno tentato verso se stesso, pietre o pane; verso gli altri, potere o servizio; verso Dio, lui a mia disposizione. Le tentazioni non si evitano, si attraversano. Attraversare le tentazioni significa in realtà fare ordine nella propria fede.
    La prima: che queste pietre diventino pane! Non di solo pane vive l'uomo... Il pane è buono ma più buona è la parola di Dio. Il pane è indispensabile, eppure contano di più altre cose: le creature, gli affetti, le relazioni, l'eterno in noi. L'uomo vive di ogni parola che esce dalla bocca di Dio. Dalla sua parola sono venuti la luce, il cosmo e la sua bellezza, il respiro che ci fa vivere. Sei venuto tu, fratello mio, mio amico, amore mio: parola pronunciata da Dio per me. L'uomo vive di vangelo e di creature.
    La seconda tentazione è una sfida aperta a Dio. «Buttati giù, chiedi a Dio un miracolo». Ciò che Pietro, con la sua irruenza, chiede al Maestro, una sera sul lago: fammi venire a te camminando sulle acque. Fa tre passi nel miracolo eppure comincia ad affondare. Tocca con mano il prodigio, lo vive, eppure nasce paura e comincia ad affondare. I miracoli non servono per credere: Gesù ha fatto fiorire di prodigi Galilea e Samaria, eppure i suoi lo vogliono buttare giù dal monte di Nazaret.
    «Nel mondo ce ne sono fin troppi di miracoli» (M. De Certeau) eppure la fede è così poca, così a rischio.
    Nella terza tentazione il diavolo rilancia: venditi alla mia logica, e avrai tutto. Il diavolo fa un mercato con l'uomo: io ti do, tu mi dai. Esattamente il contrario di Dio, che ama per primo, ama in perdita, ama senza contraccambio.
    Vuoi avere le folle con te? Assicura pane, potere, successo e ti seguiranno. Ma Gesù non vuole "possedere" nessuno. Lui vuole essere amato da questi splendidi e meschini figli. Non ossequiato da schiavi obbedienti, ma amato da figli liberi, generosi e felici.

  • Quaresima 2016

  • Video Carnevale 2016

  • 99 anni ... la nostra Socia più longeva dell'AC

    E' stata consegnata nei giorni scorsi la tessera di AC alla socia più longeva della nostra diocesi. Si chiama Santa Di Massimo, da tutti conosciuta come Lucietta. Classe 1917, quest'anno festeggerà i suoi 99 anni, di cui gran parte passati all'interno dell'Associazione. La tessera Le è stata consegnata dal presidente parrocchiale Pellegrino Ascione e da una delegazione di giovani e adulti della Parrocchia Cuore Immacolato della Vergine Maria.

    Alla Sig.ra Santa vanno gli auguri più sentiti da parte di tutto il Consiglio Diocesano e dell'Associazione tutta.

     http://www.azionecattolicaalbano.it/azione-cattolica/86-99-anni-la-nostra-socia-piu-longeva

     

  • 7 Febbraio 2016: V Domenica del Tempo Ordinario

    V Domenica del Tempo Ordinario

    Anno C

     

    Letture: Isaia 6,1-2,3-8; Salmo 137; 1 Corinzi 15,1-11; Luca 5,1-11

     

    In quel tempo, mentre la folla gli faceva ressa attorno per ascoltare la parola di Dio, Gesù, stando presso il lago di Gennèsaret, vide due barche accostate alla sponda. I pescatori erano scesi e lavavano le reti. Salì in una barca, che era di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da terra. Sedette e insegnava alle folle dalla barca. Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: «Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca». (...) Riempirono tutte e due le barche fino a farle quasi affondare. Al vedere questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: «Signore, allontànati da me, perché sono un peccatore». (...) Gesù disse a Simone: «Non temere; d'ora in poi sarai pescatore di uomini».

     

    Un gruppetto di pescatori delusi da una notte intera di inutile fatica, ma proprio da là dove si erano fermati il Signore li fa ripartire. E così fa con ogni vita: propone a ciascuno una vocazione, con delicatezza e sapienza, come nelle tre parole a Simone:
    - lo pregò di scostarsi da riva: Gesù prega Simone, chiede un favore, lui non si impone mai;
    - non temere: Dio viene come coraggio di vita; libera dalla paura che paralizza il cuore;
    - tu sarai: lo sguardo di Gesù si dirige subito al futuro, intuisce in me fioriture di domani; per lui nessun uomo coincide con i suoi limiti ma con le sue potenzialità.
    Sono parole con le quali Gesù, maestro di umanità, rimette in moto la vita ed è per questo che è legittimato a proporsi all'uomo, perché parla il linguaggio della tenerezza, del coraggio, del futuro.
    Simone è stanco dopo una notte di inutile fatica, forse vorrebbe solo ritornare a riva e riposare, ma qualcosa gli fa dire: Va bene, sulla tua parola getterò le reti.
    Che cosa spinge Pietro a fidarsi? Non ci sono discorsi sulla barca, solo sguardi. Per Gesù guardare una persona e amarla erano la stessa cosa. Pietro in quegli occhi ha visto l'amore per lui. Si è sentito amato, sente che la sua vita è al sicuro accanto a Gesù, che il suo nome è al sicuro su quelle labbra. I cristiani sono quelli che, come Simone, credono nell'amore di Dio (1Gv 4,16). E le reti si riempiono. Simone davanti al prodigio si sente stordito, inadeguato: Signore, allontanati da me, perché sono un peccatore.
    Gesù risponde con una reazione bellissima, una meraviglia che m'incanta. Trasporta Simone su di un piano totalmente diverso, sovranamente indifferente al suo passato e ai suoi peccati, lui non si lascia impressionare dai difetti di nessuno, pronuncia e crea futuro: Non temere. Sarai pescatore di uomini. Li raccoglierai da quel fondo dove credono di vivere e non vivono; mostrerai loro che sono fatti per un altro respiro, un altro cielo, un'altra vita! Li raccoglierai per la vita.
    Quando si pescano dei pesci è per la morte. Ma per gli uomini no: pescare significa catturare vivi, è il verbo usato nella Bibbia per indicare coloro che in una battaglia sono salvati dalla morte e lasciati in vita (Gs 2,13; 6,25; 2Sam 8,2... ). Nella battaglia per la vita l'uomo sarà salvato, protetto dall'abisso dove rischia di cadere, portato alla luce.
    E abbandonate le barche cariche del loro piccolo tesoro, proprio nel momento in cui avrebbe senso restare, seguono il Maestro verso un altro mare. Senza neppure chiedersi dove li condurrà. Sono i «futuri di cuore». Vanno dietro a lui e vanno verso l'uomo, quella doppia direzione che sola conduce al cuore della vita.

  • Carnevale 2016

  • Pellegrinaggio Collevalenza

  • Messa in Lis

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    E' iniziata domenica 15 Febbraio, presso la nostra parrocchia, alle ore 11,30, la celebrazione della Messa in Lis (lingua italiana dei segni), espressione della

    comunità dei sordi italiani. L'iniziativa, a cura della nostra parrocchia, e dell'ufficio catechistico diocesano - settore per la catechesi alle persone disabili, diretto da don Jourdan Pinheiro, sarà ripetuta ogni seconda domenica del mese fino a giugno. I prossimi appuntamenti sono:

    Domenica 8 marzo, 12 aprile, 10 maggio e 14 giugno.

     

  • Carnevale 2015 in parrocchia

  • Quaresima 2015

    MERCOLEDI' 18 FEBBRAIO - Mercoledì delle ceneri – giornata di digiuno e astinenza

    INIZIO della QUARESIMA

    ore 08.30 - ore 17.30: S. Messa con imposizione delle ceneri

    GIOVEDI' 19 FEBBRAIO

    Inizio visita alle famiglie e benedizioni pasquali

    (dalle ore 15,00 alle ore 19,00)

    VENERDI' 20 FEBBRAIO

    ore 18,00: Via Crucis (tutti i venerdi')

    VENERDI' 27 MARZO

    ore 18,00: VIA CRUCIS di QUARTIERE, partendo da via B. Tortolini (Ariccia)

     

    BENEDIZIONE PASQUALE DELLE CASE

    E VISITA DEL PARROCO A TUTTE LE FAMIGLIE

     

    GIOVEDI' 19 FEBBRAIO: ore 15,00 – 19,00: Via Orazi e Curiazi : civ. n. 21- 25

    Via Risorgimento: civ. n. 2 – 22- 107- 109- 131

    VENERDI' 20 FEBBRAIO: ore 15,00 – 19,00: Via Risorgimento: civ. n. 17- 31-45- 85-97

    Via Virgilio: civ. n. 4

  • Un caro saluto... e un arrivederci!

     

     

                                               

    eder 1 Dopo circa un anno di apostolato nella nostra comunità, don Ever Jimenez è trasferito nella Parrocchia "Regina Mundi" in Torvaianica. Un grazie sincero per la tua presenza, per la tua disponibilità con i più piccoli e gli anziani, sempre discreta e ricca di saggi consigli; per il servizio all'Altare e per aver messo a disposizione la tua dote artistica. Ti aspettiamo nuovamente tra noi quando, a Dio piacendo, potrai celebrare la Santa Eucarestia.

    Nel frattempo accogliamo il novello diacono, don Kenneth Meneses, al quale auguriamo "buon lavoro".

     

    Domenica 15 Febbraio, durante la S. Messa dell ore 11,30, il saluto ufficiale della comunità a don Ever.

     

    Cliccando LEGGI TUTTO, le foto della S. Messa

  • Carnevale 2015

  • Riparazione Organo Chiesa

    Da alcuni giorni, l'organo, che dal 1973 anima la liturgia all'interno della nostra chiesa è sottoposto ad alcuni lavori di manutenzione. Si tratta di uno strumento costruito dalla ditta Tamburini di Crema  e ciò basta ad esaltare il valore, tanto è prestigioso il nome della fabbrica. Ha 600 canne, 2 tastiere, pedaliera, 27 placchette di registri e 10 registri reali. Pur nelle sue modeste dimensioni è un vero gioiello di arte organaria.

  • 10 Febbraio 1944

     

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  • Conferimento Accolitato ad Ever Jimenez

     

    Domenica 16 Febbraio 2014 presso la Cattedrale di Albano, alle ore 18.00 il nostro Vescovo Mons. Marcello Semeraro conferirà al carissimo seminarista Ever Jimenez  il Ministero dell'  Accolitato.

    Tutta la Comunità parrocchiale è invitata a pregare e a partecipare

  • Una doppia gioia

  • Arriva il Carnevale

  • Calendario Attività Pastorali

    In allegato il calendario delle attività pastorali

  • Verbale Consiglio Pastorale del 31 Gennaio 2014

    In allegato il verbale del Consiglio Pastorale Parrocchiale del 31 Gennaio 2014

  • Per non dimenticare

  • La Giornata del Malato

    Martedì 11 Febbraio, memoria della Beata Vergine Maria di Lourdes, in occasione della  XXII Giornata Mondiale del Malato, il cui tema quest'anno è "Anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli" ( 1 Giovanni 3, 16) durante la S. Messa delle ore 17, 30 sarà conferito il Sacramento dell' unzione degli infermi.

    Per maggiori informazioni ci si rivolga in sacrestia.

  • Grazie Santità

  • II Domenica di Quaresima

    Commento al Vangelo della II Domenica di Quaresima

    Lc 9,28b-36

    Anno C

     La trasfigurazione è una tappa nel cammino della quaresima, e dunque è un passaggio obbligato nella vita del cristiano, come del re­sto lo è stato nella vita di Gesù e nell’esperienza di quelli che erano con lui. I Vangeli collocano il fatto dentro tutta una serie di parole che annunciano la passione di Gesù, ed è in questa luce che il brano va compreso. Luca, poi, fa dell’episodio una lettura personalissima, suggerendo per allusioni un’esperienza intensa e straordinaria di Gesù in cui i discepoli sono invitati a entrare.

    La premessa e la cornice di tutto è una sola: la  preghiera. Questo è il motivo per cui Gesù con alcuni discepoli sale sulla montagna, ed è mentre prega che il suo volto cambia aspetto e la sua veste sfol­gora. Cioè: Gesù irradia all’esterno quella totale comunione col Pa­dre che è la sua preghiera, e questo attraverso il volto, che è la parte più espressiva e originale della persona, e la veste, che nella menta­lità biblica segnala la natura della persona che la porta.

    I due uomini (e due erano in Israele le persone necessarie perché una testimonianza fosse valida), appaiono altrove in Luca: ad annun­ciare la risurrezione (Lc 24,4) e a spiegare l’ascensione (Atti 1,10). In ambedue i casi portano vesti sfolgoranti. Sul monte della trasfigura­zione sono Mosè ed Elia, nella loro gloria, e parlano con Gesù della sua «partenza», letteralmente del suo esodo, che troverà il suo «com­pimento» a Gerusalemme: parlano cioè della sua uscita dal mondo at­traverso la morte, ma per arrivare alla gloria, come loro.

    Così la vita di Gesù appare una via che troverà a Gerusalemme il suo traguardo, il suo «momento di pienezza», e sarà nella morte e ri­surrezione: una via crucis, certo, che però si rivelerà una via regia sanctae crucis, perché l’ultima stazione del percorso è Cristo che siede nella gloria alla destra del Padre. Sono dunque questi i discorsi che Gesù fa nella sua preghiera: si confronta con il progetto del Pa­dre, cerca il senso della sua vita, e nella verifica gli stanno accanto due che sono già nel cielo, ma che hanno pure loro camminato in questa terra fedeli ai suggerimenti della parola di Dio. Uno sguardo su tutta la storia per ritrovare la direzione del proprio cammino e puntare decisi alla sua realizzazione, con il sostegno e il conforto dei testimoni fedeli: questa è la preghiera. Che porta dunque anche a scelte coraggiose e difficili, come quando poco dopo Gesù «rende duro il suo volto» (Lc 9,51), oggi noi diremmo: «stringe i denti», per andare a compiere il suo destino a Gerusalemme.

    I discepoli sono attratti in questa esperienza di Gesù, ma si tro­vano davanti a lui in una strana situazione: «oppressi dal sonno, tut­tavia restarono svegli». È inevitabile il riferimento al giardino dell’agonia, dove i discepoli, chiamati a essere testimoni di una preghiera che riga di sangue il volto di Gesù, «dormivano per la tristezza» (Lc 22,45). Il dormiveglia è lo stato in cui sovente noi veniamo a trovarci di fronte a Gesù, e questo ci rende difficile seguire il Signore. Pietro vuole addirittura fermarsi, e parla di tre tende. È relativamente fa­cile fare delle tende per ingabbiarvi Gesù: dal pietismo sballato di chi vede Dio con facilità dovunque, e spesso a sproposito, a chi, con un po’ più di giustificazione, proietta l’immagine di Dio sull’idea di una «società più giusta» rischiando a ogni passo di esaurire in un pro­getto politico o più genericamente sociale la presenza del Signore. Ma non è il caso di fare delle tende: qui arriva addirittura una nube. Strano paradosso: la nube li copre, ma i discepoli devono entrarci; e si spaventano, come avviene regolarmente quando il mondo di Dio ci raggiunge. Così Luca vuole dirci, con delicato equilibrio, che Dio viene a contatto con noi con la sua iniziativa, ma tocca a noi rispon­dere e reagire: è una proposta che ci viene offerta, non un cappio che ci viene imposto.

    La nube che vela è anche la nube che rivela: ed ecco la voce (come al momento del battesimo, e anche là era un’esperienza di preghiera!) che dichiara Gesù eletto. Questa è la parola delle profe­zie, quella che i capi gettano in faccia a Gesù schernendolo al mo­mento della crocifissione: «Salvi se stesso, se è il Cristo di Dio, il suo eletto» (Lc 23,35): dunque è parola che unisce la missione di Gesù alla croce, ma insieme la unisce all’esodo, quando Dio scelse Israele come suo popolo eletto perché rivelasse al mondo il suo progetto di liberazione e di salvezza. Gesù entra nel piano di Dio, e ci segnala che la strada di questo progetto passa attraverso la croce, ma ci dice insieme che la croce realizza il progetto, appunto, e che dunque è il vero cammino per raggiungere la gloria, la salvezza nostra e degli al­tri. Forse è anche per questo che i discepoli hanno paura.

    «Essi tacquero»: la reazione davanti a questo squarcio sul mi­stero di Gesù è il silenzio. Un silenzio che è timore, rispetto, senso di impotenza, paura di non aver capito o paura che viene dall’aver capito fin troppo bene, Pietro non tenta più di accaparrarsi la gloria di Gesù, perché forse ha compreso che il successo secondo Gesù lo si acquista entrando nella via della croce. Allora, in quei giorni, tace, come tacciono gli altri. Verrà il tempo in cui parleranno.

    Ci sono tante cose da capire meditando questo mistero: dipende da qui il senso di fondo da dare alla nostra vita, un senso da ritrovare costantemente nella preghiera, come Gesù, e da ritrovare insieme, nella Chiesa, come i tre discepoli. E basterebbe anche solo capire che la via della trasfigurazione nostra, e quindi del mondo, passa at­traverso tanti piccoli superamenti quotidiani che sono la nostra via crucis, che è la via di Gesù.

     

  • Quaresima 2013: incontri formativi per i ministranti

    In allegato gli appuntamenti formativi per il gruppo ministranti

  • Quaresima 2013

     

    QUARESIMA 2013

    LECTIO DIVINA

    Tutti i MARTEDI’ di Quaresima

     (19-26 febbraio, 5-12-19-26  marzo)

    dalle ore 18,30 – 19,30 in Chiesa 

    Incontri di preghiera comunitaria per vivere bene il tempo della Quaresima e per prepararsi alla celebrazione della Santa Pasqua in ascolto orante della Parola di Dio.

     

     

  • I Domenica di Quaresima

    Commento al Vangelo della I Domenica di Quaresima

     Anno C 

    Le tentazioni di Gesù e la conversione per il Regno dei Cieli

     

    Cari fratelli e sorelle, 

    oggi, Mercoledì delle Ceneri, iniziamo il Tempo liturgico della Quaresima, quaranta giorni che ci preparano alla celebrazione della Santa Pasqua; è un tempo di particolare impegno nel nostro cammino spirituale. Il numero quaranta ricorre varie volte nella Sacra Scrittura. In particolare, come sappiamo, esso richiama i quarant’anni in cui il popolo di Israele peregrinò nel deserto: un lungo periodo di formazione per diventare il popolo di Dio, ma anche un lungo periodo in cui la tentazione di essere infedeli all’alleanza con il Signore era sempre presente. Quaranta furono anche i giorni di cammino del profeta Elia per raggiungere il Monte di Dio, l’Horeb; come pure il periodo che Gesù passò nel deserto prima di iniziare la sua vita pubblica e dove fu tentato dal diavolo. Nell’odierna Catechesi vorrei soffermarmi proprio su questo momento della vita terrena del Signore, che leggeremo nel Vangelo di domenica prossima.

    Anzitutto il deserto, dove Gesù si ritira, è il luogo del silenzio, della povertà, dove l’uomo è privato degli appoggi materiali e si trova di fronte alle domande fondamentali dell’esistenza, è spinto ad andare all’essenziale e proprio per questo gli è più facile incontrare Dio. Ma il deserto è anche il luogo della morte, perché dove non c’è acqua non c’è neppure vita, ed è il luogo della solitudine, in cui l’uomo sente più intensa la tentazione. Gesù va nel deserto, e là subisce la tentazione di lasciare la via indicata dal Padre per seguire altre strade più facili e mondane (cfr Lc 4,1-13). Così Egli si carica delle nostre tentazioni, porta con Sè la nostra miseria, per vincere il maligno e aprirci il cammino verso Dio, il cammino della conversione.

    Riflettere sulle tentazioni a cui è sottoposto Gesù nel deserto è un invito per ciascuno di noi a rispondere ad una domanda fondamentale: che cosa conta davvero nella mia vita? Nella prima tentazione il diavolo propone a Gesù di cambiare una pietra in pane per spegnere la fame. Gesù ribatte che l’uomo vive anche di pane, ma non di solo pane: senza una risposta alla fame di verità, alla fame di Dio, l’uomo non si può salvare (cfr vv. 3-4). Nella seconda tentazione, il diavolo propone a Gesù la via del potere: lo conduce in alto e gli offre il dominio del mondo; ma non è questa la strada di Dio: Gesù ha ben chiaro che non è il potere mondano che salva il mondo, ma il potere della croce, dell’umiltà, dell’amore (cfr vv. 5-8). Nella terza tentazione, il diavolo propone a Gesù di gettarsi dal pinnacolo del Tempio di Gerusalemme e farsi salvare da Dio mediante i suoi angeli, di compiere cioè qualcosa di sensazionale per mettere alla prova Dio stesso; ma la risposta è che Dio non è un oggetto a cui imporre le nostre condizioni: è il Signore di tutto (cfr vv. 9-12). Qual è il nocciolo delle tre tentazioni che subisce Gesù? E’ la proposta di strumentalizzare Dio, di usarlo per i propri interessi, per la propria gloria e per il proprio successo. E dunque, in sostanza, di mettere se stessi al posto di Dio, rimuovendolo dalla propria esistenza e facendolo sembrare superfluo. Ognuno dovrebbe chiedersi allora: che posto ha Dio nella mia vita? E’ Lui il Signore o sono io?

    Superare la tentazione di sottomettere Dio a sé e ai propri interessi o di metterlo in un angolo e convertirsi al giusto ordine di priorità, dare a Dio il primo posto, è un cammino che ogni cristiano deve percorrere sempre di nuovo. “Convertirsi”, un invito che ascolteremo molte volte in Quaresima, significa seguire Gesù in modo che il suo Vangelo sia guida concreta della vita; significa lasciare che Dio ci trasformi, smettere di pensare che siamo noi gli unici costruttori della nostra esistenza; significa riconoscere che siamo creature, che dipendiamo da Dio, dal suo amore, e soltanto «perdendo» la nostra vita in Lui possiamo guadagnarla. Questo esige di operare le nostre scelte alla luce della Parola di Dio. Oggi non si può più essere cristiani come semplice conseguenza del fatto di vivere in una società che ha radici cristiane: anche chi nasce da una famiglia cristiana ed è educato religiosamente deve, ogni giorno, rinnovare la scelta di essere cristiano, cioè dare a Dio il primo posto, di fronte alle tentazioni che una cultura secolarizzata gli propone di continuo, di fronte al giudizio critico di molti contemporanei.

    Le prove a cui la società attuale sottopone il cristiano, infatti, sono tante, e toccano la vita personale e sociale. Non è facile essere fedeli al matrimonio cristiano, praticare la misericordia nella vita quotidiana, lasciare spazio alla preghiera e al silenzio interiore; non è facile opporsi pubblicamente a scelte che molti considerano ovvie, quali l’aborto in caso di gravidanza indesiderata, l’eutanasia in caso di malattie gravi, o la selezione degli embrioni per prevenire malattie ereditarie. La tentazione di metter da parte la propria fede è sempre presente e la conversione diventa una risposta a Dio che deve essere confermata più volte nella vita.

    Ci sono di esempio e di stimolo le grandi conversioni come quella di san Paolo sulla via di Damasco, o di sant’Agostino, ma anche nella nostra epoca di eclissi del senso del sacro, la grazia di Dio è al lavoro e opera meraviglie nella vita di tante persone. Il Signore non si stanca di bussare alla porta dell’uomo in contesti sociali e culturali che sembrano inghiottiti dalla secolarizzazione, come è avvenuto per il russo ortodosso Pavel Florenskij. Dopo un’educazione completamente agnostica, tanto da provare vera e propria ostilità verso gli insegnamenti religiosi impartiti a scuola, lo scienziato Florenskij si trova ad esclamare: “No, non si può vivere senza Dio!”, e a cambiare completamente la sua vita, tanto da diventare sacerdote.

    Penso anche alla figura di Etty Hillesum, una giovane olandese di origine ebraica che morirà ad Auschwitz. Inizialmente lontana da Dio, lo scopre guardando in profondità dentro se stessa e scrive: “Un pozzo molto profondo è dentro di me. E Dio c’è in quel pozzo. Talvolta mi riesce di raggiungerlo, più spesso pietra e sabbia lo coprono: allora Dio è sepolto. Bisogna di nuovo che lo dissotterri” (Diario, 97). Nella sua vita dispersa e inquieta, ritrova Dio proprio in mezzo alla grande tragedia del Novecento, la Shoah. Questa giovane fragile e insoddisfatta, trasfigurata dalla fede, si trasforma in una donna piena di amore e di pace interiore, capace di affermare: “Vivo costantemente in intimità con Dio”.

    La capacità di contrapporsi alle lusinghe ideologiche del suo tempo per scegliere la ricerca della verità e aprirsi alla scoperta della fede è testimoniata da un’altra donna del nostro tempo, la statunitense Dorothy Day. Nella sua autobiografia, confessa apertamente di essere caduta nella tentazione di risolvere tutto con la politica, aderendo alla proposta marxista: “Volevo andare con i manifestanti, andare in prigione, scrivere, influenzare gli altri e lasciare il mio sogno al mondo. Quanta ambizione e quanta ricerca di me stessa c’era in tutto questo!”. Il cammino verso la fede in un ambiente così secolarizzato era particolarmente difficile, ma la Grazia agisce lo stesso, come lei stessa sottolinea: “È certo che io sentii più spesso il bisogno di andare in chiesa, a inginocchiarmi, a piegare la testa in preghiera. Un istinto cieco, si potrebbe dire, perché non ero cosciente di pregare. Ma andavo, mi inserivo nell’atmosfera di preghiera…”. Dio l’ha condotta ad una consapevole adesione alla Chiesa, in una vita dedicata ai diseredati.

    Nella nostra epoca non sono poche le conversioni intese come il ritorno di chi, dopo un’educazione cristiana magari superficiale, si è allontanato per anni dalla fede e poi riscopre Cristo e il suo Vangelo. Nel Libro dell’Apocalisse leggiamo: «Ecco: sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me» (3, 20). Il nostro uomo interiore deve prepararsi per essere visitato da Dio, e proprio per questo non deve lasciarsi invadere dalle illusioni, dalle apparenze, dalle cose materiali.

    In questo Tempo di Quaresima, nell’Anno della fede, rinnoviamo il nostro impegno nel cammino di conversione, per superare la tendenza di chiuderci in noi stessi e per fare, invece, spazio a Dio, guardando con i suoi occhi la realtà quotidiana. L’alternativa tra la chiusura nel nostro egoismo e l’apertura all’amore di Dio e degli altri, potremmo dire che corrisponde all’alternativa delle tentazioni di Gesù: alternativa, cioè, tra potere umano e amore della Croce, tra una redenzione vista nel solo benessere materiale e una redenzione come opera di Dio, cui diamo il primato nell’esistenza. Convertirsi significa non chiudersi nella ricerca del proprio successo, del proprio prestigio, della propria posizione, ma far sì che ogni giorno, nelle piccole cose, la verità, la fede in Dio e l’amore diventino la cosa più importante.

     

    Udienza Generale del 13 febbraio 2013

     

    Papa Benedetto XVI

  • Messaggio per la Quaresima di Benedetto XVI

    Dal sito web della Diocesi di Albano

    La celebrazione della Quaresima nel contesto dell’Anno della fede offre l’opportunità di riflettere sul rapporto tra la carità e la fede, infatti Credere nella carità suscita carità - «Abbiamo conosciuto e creduto l’amore che Dio ha in noi» (1 Gv 4,16) è il tema del Messaggio per la Quaresima 2013 di Benedetto XVI. I credenti sono quindi chiamati a unire fede e carità nella loro esistenza concreta, per non vivere un duplice rischio: vivere una vita fondata solamente sulla fede, rischiando di cadere in un sentimentalismo che riduce il rapporto con Dio a una mera consolazione del cuore; esprimere una carità che non riconosce in Dio la sorgente da cui scaturisce e a cui deve essere indirizzata ogni azione di bene, rischiando di ridurre tutto a puro attivismo moralista. «In sostanza, - scrive il Papa - tutto parte dall'Amore e tende all'Amore. L'amore gratuito di Dio ci è reso noto mediante l'annuncio del Vangelo. Se lo accogliamo con fede, riceviamo quel primo ed indispensabile contatto col divino capace di farci «innamorare dell'Amore», per poi dimorare e crescere in questo Amore e comunicarlo con gioia agli altri».

    In allegato il Messaggio del Papa.

  • Papa Benedetto rinuncia al Pontificato

    Dal sito della Diocesi Suburbicaria di Albano

     

    Di fronte alle parole di Benedetto XVI, il quale ha annunciato stamattina le sue dimissioni, ci  sentiamo interpretati dalle parole del Card. Sodano, decano del Collegio Cardinalizio e

     

  • V Domennica del Tempo Ordinario

    Commento al Vangelo della IV Domenica del Tempo Ordinario

    Lc 5,1-11

    Anno C

     

    La chiamata dei primi discepoli in Luca è notevolmente di­versa da quella descrittaci nei passi paralleli degli altri Sinottici. Le differenze fondamentali sono due: qui la chia­mata si svolge durante e come conseguenza di una pesca miracolosa, completamente assente da Matteo e da Marco, presente invece, in un al­tro contesto, in Giovanni. In Luca Pietro è il protagonista di tutta la scena, tanto che a lui solo viene rivolta la chiamata di Gesù: «Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini», anche se di fat­to pure gli altri lo seguiranno.

    A differenza degli altri Sinottici, la chiama­ta dei primi discepoli in Luca è intimamente collegata all’attività di an­nuncio e di predicazione del Cristo. «Mentre, levato in piedi, stava pres­so il lago di Genezareth, e la folla gli faceva ressa intorno per ascoltare la pa­rola di Dio, Gesù vide due barche ormeggiate alla sponda... Salì in una barca, che era di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da terra. Sedu­tosi, si mise ad ammaestrare le folle dalla barca».

    L’uso della barca di Pietro per predicare meglio alle folle e la succes­siva chiamata dei primi discepoli-pescatori, stanno a significare questo invito di Cristo a «partecipare» alla sua missione di annuncio: l’evan­gelizzazione è il primo compito di ogni discepolo di Crist! Ed essa va fatta sempre da capo perché ognuno scopra ed esperimenti «personal­mente» il Signore. È l’impegno a cui è invitata la Chiesa universale, ma specialmente, secondo le circostanze attuali, ogni chiesa locale che deve riscoprirsi «missionaria».

    Proprio per questo in tutto il brano è predominante il tema della «pa­rola». Abbiamo già visto che la folla «gli faceva ressa intorno per ascolta­re la parola di Dio»; Gesù, scostatosi da riva, «si mise ad ammaestra­re le folle dalla barca». Ma anche la scena successiva della pesca mi­racolosa è tutta imperniata attorno alla «forza» della «parola»: «Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: “Prendi il largo e calate le reti per la pe­sca”. Simone rispose: “Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla, ma sulla tua parola getterò le reti”. E avendolo fatto, presero una quantità enorme di pesci e le reti si rompevano».

    Se il miracolo avviene, avviene per la «forza» creatrice e capovolgitrice della «parola». E questo a un doppio livello: di Cristo che la pronun­cia; di Pietro che la crede. Se Pietro non avesse creduto, «scommetten­dosi» sulla «parola» di Cristo, il miracolo non sarebbe avvenuto.

    Questo è molto importante per capire la «primordialità» dell’evange­lizzazione nella collaborazione con Cristo per l’opera della salvezza: è il Vangelo «creduto» e annunciato che salva! Il Vangelo «creduto» e vissu­to fino in fondo prima di tutto dal predicatore e poi, ovviamente, da chi lo ascolta. Allora soltanto può avvenire il miracolo della pesca ab­bondante di «uomini» che abboccano all’amo di Pietro e degli altri Apo­stoli!

    È interessante poi notare che Luca non dice propriamente, come gli altri Sinottici, «diventerai pescatore di uomini», ma piuttosto: «Prenderai (gli uomini) per la vita, o vivi», per signi­ficare che Pietro avrà ormai il compito di «catturare» gli uomini per la «vita», correggendo in tal modo l’immagine piuttosto «mortifera» della pesca.

    Ed è solo il Vangelo «creduto» fino in fondo che «trasforma» la vita, come è avvenuto appunto per Pietro, per Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedeo, e per Andrea, che però non è qui espressamente ricordato. E quanto l’Evangelista sottolinea nel concludere il racconto: «Tirate le bar­che a terra, lasciarono tutto e lo seguirono». E l’inizio di una vita nuova che rompe con il passato per proiettarsi verso il futuro, che Gesù e la storia faranno emergere momento per momento: del passato rimarrà solo la trasfigurazione, in positivo, dell’arte della pesca con il corredo di qualità morali, oltre che fisiche, da essa richieste: pazienza, tenacia, at­tenzione, capacità di affrontare il rischio, spirito di sacrificio, ecc. Tutto questo, adesso, servirà per «prendere per la vita» gli uomini con la po­tenza dell’annuncio e l’esempio di una «sequela» fedele di Cristo.

    «Seguire significa compiere determinati passi. Già il primo passo, fatto dopo la chiamata, separa colui che segue Gesù dalla sua vita passata. Così la chiamata a seguire crea subito una nuova situazione. Restare nel­la posizione di prima e seguire sono (lue posizioni che si escludono a vi­cenda... Con il fatto stesso di chiamare uno al suo seguito Gesù gli dice­va che per lui non c’era altra possibilità di credere tranne quella di ab­bandonare tutto e di mettersi in cammino con il Figlio di Dio diventato uomo... La via che conduce alla fede passa attraverso l’obbedienza alla chiamata di Cristo. Quel passo è necessario, altrimenti la chiamata di Gesù va a vuoto, ed ogni pretesa di seguirlo senza compiere questo pas­so a cui Gesù invita, diviene una falsa esaltazione».

    Non possiamo omettere di fare un’ultima riflessione che il testo lu­cano, a differenza degli altri Sinottici, impone: è la «preminenza» di Pie­tro in tutta questa scena di chiamata e di preannuncio di missione.

    E sua la barca che Gesù sceglie per ammaestrare la folla; è a lui che ordina di prendere il largo e di «gettare le reti»; è Pietro che proclama la fede nella «parola» di Gesù, pur dopo l’esperienza di tutta una notte di inutile lavoro; è ancora Pietro che dopo il miracolo, pieno di «stupore», dichiara la sua fede in Gesù, confessan­dolo «Signore»: «Signore, allontanati da me che sono un peccatore»; è in­fine Pietro che Gesù chiama a seguirlo, prima e più degli altri: «Non te­mere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini». Si può anche osservare che qui S. Luca anticipa per Simone il nome di «Pietro», che di fat­to solo più tardi Gesù gli imporrà (cf Lc 6,14).

    Tutto ciò sta indubbiamente a significare una «funzione» particolare di Pietro nel disegno salvifico di Cristo: è nella sua barca che, anche og­gi, e sempre, Gesù insegna alle folle e compie il prodigio della pesca mi­racolosa. Non c’è «missione» nella Chiesa senza Pietro!

     

  • Programma Benedizione Pasquale alle famiglie

    In allegato l'elenco dettagliato della Benedizione Pasquale e il programma della Settimana Santa

  • Anniversario del bombardamento su Propaganda Fide

    Domenica 10 Febbraio, 69° anniversario del bombardamento sul Collegio "De Propaganda Fide" in Castelgandolfo, è doveroso ricordare le tante vittime di Albano in quel giorno funesto.

    Alle ore 15.00,  raduno sul piazzale della Pace, prospiciente il Collegio "Mater Ecclesiae"

    - visita in raccoglimento e preghiera all'interno dell'edificio; seguirà la S. Messa di suffragio

     

  • IV Domenica del Tempo Ordinario

    Commento al Vangelo della IV Domenica del Tempo Ordinario

    Lc 4,21-30

    Anno C

     La proposta che fa il lezionario per la quarta domenica ordinaria è davvero sorprendente. Il Vangelo inizia con l’affermazione di Gesù: «Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi». Di quale «scrittura» il riferimento è al brano letto la settimana scorsa. È un brano, questo, che va studiato bene. Anzitutto perché il modo con cui i nazaretani reagiscono alle affermazioni di Gesù passa rapidamente per una serie di stadi che ha dell’incredibile: si va dalla meraviglia favorevole, al dubbio che s’insinua, al vero e pro­prio furore che accende voglie omicide. Poi perché è fin troppo fa­cile riconoscere che oggi siamo noi i compaesani di Gesù, e dunque può sempre accadere a noi quello che è accaduto allora.

    Luca ha già detto che la fama di Gesù si era diffusa in tutta la Galilea, e quelli di Nazaret sanno che a Cafarnao Gesù ha fatto miracoli. E con il racconto di queste cose l’evangelista avrebbe pur potuto cominciare il suo racconto. Sceglie invece di pre­sentarci, in quella che è la sua prima relazione un po’ estesa dell’atti­vità di Gesù, un vero e proprio insuccesso. Quello che conta, però, è l’aver posto all’inizio della sua storia da una parte un annuncio di li­berazione, dall’altra il rifiuto di quelli di casa sua. Dobbiamo vedere in questo un modello di ciò che accadrà poi lungo la vita di Gesù, e, più ancora, quello che sarà il dovere e il destino della chiesa: annun­ciare la liberazione, compiere la Scrittura ogni oggi, e insieme aspet­tarsi di essere proprio per questo rifiutati.

    Bisogna cercare di capire la reazione della gente di Nazaret. Quando Gesù dice «oggi la Scrittura si compie» la risposta è appro­vazione e stupore. In effetti c’è da saltare di gioia se quello che Gesù dice è vero. Quante volte abbiamo fatto nella vita l’esperienza dell’attesa.

    Ma poi si fa strada il dubbio: «Non è il figlio di Giuseppe?». Que­sta reazione ha una solida tradizione; oltre a Luca, Marco e Matteo, e perfino Giovanni la riportano. Dopo il primo attimo di stupore l’entusiasmo si raffredda. La gente vuole sempre il capo pre­stigioso, e Gesù è solo uno di loro. In fondo, che credenziali pre­senta? Non ha studiato, non è sacerdote, è solo un falegname... La meraviglia, che avrebbe potuto aprire il loro cuore alla fede, si spe­gne uccisa dal rigurgito dei giudizi abituali: l’assuefazione impedisce l’apertura al nuovo, l’oggi torna di nuovo a essere domani, si ri­prende l’attesa, anzi, forse bisognerà dire che proprio questa rea­zione dimostra che in fondo non si attendeva niente. Noi abbiamo paura dell’oggi, dell’immediato. Rimandiamo le decisioni avvol­gendo i problemi nell’intrico di interminabili discussioni, diamo ad altri le colpe se le cose vanno male, aspettiamo che siano gli altri a cambiare il mondo. Se qualcuno ci dice: «Il regno di Dio è vicino, la liberazione è a portata di mano», è sicuro che noi gli crediamo?

    La gente di Nazaret vuole vedere i miracoli. C’è probabilmente anche un orgoglio di campanile: «li hai fatti a Cafarnao, falli anche qui, e ti crederemo». Chiedere il miracolo vuol dire ordinare a Dio di far vedere che c’è e quasi di costringerci a credergli. Mentre Gesù nel Vangelo talvolta fa dei miracoli senza esserne richiesto, talvolta a chi gliene domanda risponde di no. Dio è libero, e oltretutto il mi­racolo non è condizione necessaria da cui scaturisce automatica­mente la fede. Anzi, la fede in qualche modo deve esserci già prima. E quelli di Nazaret evidentemente non ce l’hanno. Matteo lo af­ferma espressamente: «Egli non operò lì molti miracoli a causa della loro incredulità».

    La gente non esprime apertamente quello che pensa, ma Gesù non fatica a interpretare i pensieri di un uditorio in cui cresce la diffi­denza e il sospetto. Egli vuole presentarsi ai suoi armato solo della forza della Parola, e la gente non accetta che lui sia debole. La rea­zione, «Medico, cura te stesso», è una triste anticipazione degli in­sulti che riceverà sotto la croce: «Salva te stesso, se sei il Figlio di Dio». Eppure Gesù non attenua il disagio anzi, lo aggrava, ricordando che i profeti sono sempre rifiutati nella loro pa­tria, ma questo non impedisce alla bontà di Dio che agisce per mezzo loro di raggiungere il suo effetto. I casi ricordati della vita di Elia ed Eliseo sono lì a dimostrare che Dio non lo ferma nessuno, neanche l’ottusità di chi vuole solo approfittare dei suoi miracoli senza aprirsi alle sue esigenze.

    A questo punto la gente si infuria, come si infuriano certi cristiani oggi quando si ricorda loro che segni della presenza di Dio e di aper­tura alla sua parola si trovano anche fuori dai recinti visibili della chiesa. La risposta è tipica: se gli altri fanno qualcosa di buono lo fanno per astuzia, sono in malafede, strumentalizzano, ecc. Per cer­tuni pare che la purezza delle intenzioni, il disinteresse, la buona fede possano piantare le radici solo tra i battezzati praticanti, e non s’accorgono così di mettere le manette a Dio.

    L’esempio che viene dal Vangelo dovrebbe farci umili e cauti, aperti ad accogliere con gioiosa simpatia tutto quanto è segno che la liberazione annunciata da Gesù si sta realizzando, anche se le mani che la costruiscono non portano in modo visibile il marchio cristiano. E poiché la patria di Gesù, che oggi è la chiesa, sembra avere il tra­gico destino di non capire i profeti, prendiamo acuta coscienza di questo rischio, e non soffochiamo nessuna voce, anche se è fastidiosa e inquietante.

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