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  • PROGRAMMA AVVENTO NATALE 2019

  • Appuntamenti natalizi 2018/2019

  • Cresima 25/11/2018

                                  AUGURI AI RAGAZZI CHE HANNO RICEVUTO

                              IL SACRAMENTO DELLA CONFERMAZIONE!

  • 31 Dicembre 2017; Santa Famiglia

    Santa Famiglia

    Letture: Genesi 15,1-6; 21,1-3; Salmo 104; Ebrei 11,8.11-12.17-19; Luca 2,22-40

    Anno B

     

    Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, [Maria e Giuseppe] portarono il bambino [Gesù] a Gerusalemme per presentarlo al Signore – come è scritto nella legge del Signore: «Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore» – e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o due giovani colombi, come prescrive la legge del Signore. Ora a Gerusalemme c'era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d'Israele, e lo Spirito Santo era su di lui. Lo Spirito Santo gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore. [...]

     

    Maria e Giuseppe portarono il Bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore. Una giovanissima coppia col suo primo bambino arriva portando la povera offerta dei poveri, due tortore, e la più preziosa offerta del mondo: un bambino.
    Non fanno nemmeno in tempo a entrare che subito le braccia di un uomo e di una donna si contendono il bambino. Sulle braccia dei due anziani, riempito di carezze e di sorrisi, passa dall'uno all'altro il futuro del mondo: la vecchiaia del mondo che accoglie fra le sue braccia l'eterna giovinezza di Dio.
    Il piccolo bambino è accolto non dagli uomini delle istituzioni, ma da un anziano e un'anziana senza ruolo ufficiale, però due innamorati di Dio che hanno occhi velati dalla vecchiaia ma ancora accesi dal desiderio. Perché Gesù non appartiene all'istituzione, ma all'umanità. L'incarnazione è Dio che tracima dovunque nelle creature, nella vita che finisce e in quella che fiorisce.
    «È nostro, di tutti gli uomini e di tutte le donne. Appartiene agli assetati, a quelli che non smettono di cercare e sognare mai, come Simeone; a quelli che sanno vedere oltre, come la profetessa Anna; a quelli capaci di incantarsi davanti a un neonato, perché sentono Dio come futuro» (M. Marcolini).
    Lo Spirito aveva rivelato a Simeone che non avrebbe visto la morte senza aver prima veduto il Messia. Sono parole che lo Spirito ha conservato nella Bibbia perché io, noi, le conservassimo nel cuore: anche tu, come Simeone, non morirai senza aver visto il Signore. È speranza. È parola di Dio. La tua vita non finirà senza risposte, senza incontri, senza luce. Verrà anche per te il Signore, verrà come aiuto in ciò che fa soffrire, come forza di ciò che fa partire.
    Io non morirò senza aver visto l'offensiva di Dio, l'offensiva del bene, l'offensiva della luce che è già in atto dovunque, l'offensiva del lievito.
    Poi Simeone canta: ho visto la luce da te preparata per tutti. Ma quale luce emana da Gesù, da questo piccolo figlio della terra che sa solo piangere e succhiare il latte e sorridere agli abbracci? Simeone ha colto l'essenziale: la luce di Dio è Gesù, luce incarnata, carne illuminata, storia fecondata, amore in ogni amore. La salvezza non è un opera particolare, ma Dio che è venuto, si lascia abbracciare dall'uomo, è qui adesso, mescola la sua vita alle nostre vite e nulla mai ci potrà più separare.
    Tornarono quindi alla loro casa. E il Bambino cresceva e la grazia di Dio era su di lui. Tornarono alla santità, alla profezia e al magistero della famiglia, che vengono prima di quelli del tempio. Alla famiglia che è santa perché la vita e l'amore vi celebrano la loro festa, e ne fanno la più viva fessura e feritoia dell'infinito.

  • 24 Dicembre 2017: IV Domenica di Avvento

    IV Domenica di Avvento

    Letture: 2 Samuele 7,1-5.8-12.14.16; Salmo 88; Romani 16,25-27; Luca 1,26-38

    Anno B

     

    In quel tempo, l'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Rallègrati, piena di grazia: il Signore è con te». A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L'angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine» (....). Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l'angelo si allontanò da lei.

     

    Con il movimento tipico di una cinepresa, il racconto del Vangelo parte dall'infinito del cielo e restringe progressivamente il campo, come in una lunga carrellata, fino a mettere a fuoco un villaggio, una casa, una ragazza. In mezzo, sette nomi propri: Gabriele, Dio, Galilea, Nazaret, Giuseppe, Davide, Maria. Il numero 7 indica la totalità della vita, il brulichio instancabile della vita, ed è lì che Dio viene. In un sesto mese segnato sul calendario della vita, il sesto mese di una vita nuova dentro Elisabetta.
    Il cristianesimo non inizia nel tempio ma in una casa. Alla grande città Dio preferisce un polveroso villaggio mai nominato prima nella Bibbia, alle liturgie solenni dei sacerdoti preferisce il quotidiano di una ragazzina adolescente. Dio entra nel mondo dal basso e sceglie la via della periferia. Un giorno qualunque, in un luogo qualunque, una giovane donna qualunque: il primo annuncio di grazia del Vangelo è consegnato nella normalità di una casa. Qualcosa di colossale accade nel quotidiano, senza testimoni, lontano dalle luci e dalle liturgie solenni del tempio.
    Nel dialogo, l'angelo parla per tre volte, con tre parole assolute: "rallegrati", "non temere", "verrà la Vita". Parole che raggiungono le profondità di ogni esistenza umana. Maria risponde consegnandoci l'arte dell'ascolto, dello stupore colmo di domande, e dell'accoglienza.
    Gioia è la prima parola. E non un saluto rispettoso, ma quasi un ordine, un imperativo: «rallegrati, esulta, sii felice». Parola in cui vibra un profumo, un sapore buono e raro che tutti, tutti i giorni, cerchiamo: la gioia. L'angelo non dice: prega, inginocchiati, fa' questo o quello. Ma semplicemente: apriti alla gioia, come una porta si apre al sole. Dio si avvicina e porta una carezza, Dio viene e stringe in un abbraccio, viene e porta una promessa di felicità.
    Sei piena di grazia. Sei riempita di Dio, Dio si è chinato su di te, si è innamorato di te, si è dato a te e ti ha riempita di luce. Ora hai un nome nuovo: Amata-per-sempre. Teneramente, liberamente, senza rimpianti amata.
    Quel suo nome è anche il nostro: buoni e meno buoni, ognuno amato per sempre. Piccoli o grandi, ognuno riempito di cielo. Come Maria, che è "piena di grazia" non perché ha risposto "sì" a Dio, ma perché Dio per primo le ha detto "sì". E dice "sì" a ciascuno di noi, prima di qualsiasi nostra risposta. Perché la grazia sia grazia e non merito o calcolo. Dio non si merita, si accoglie.
    Dio cerca madri, e noi, come madri amorevoli, come frammenti di cosmo ospitali, aiuteremo il Signore ad incarnarsi e ad abitare questo mondo, prendendoci cura della sua parola, dei suoi sogni, del suo vangelo fra noi.

  • 17 Dicembre 2017: III Domenica di Avvento

    III Domenica di Avvento

    Letture: Isaia 61,1-2.10-11; Luca 1, 46-54; 1 Tessalonicesi 5,16-24; Giovanni 1,6-8.19-28

    Anno B

     

    Venne un uomo mandato da Dio: il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui. Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce. Questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e levìti a interrogarlo: «Tu, chi sei?». Egli confessò e non negò. Confessò: «Io non sono il Cristo». Allora gli chiesero: «Chi sei, dunque? Sei tu Elia?». «Non lo sono», disse. «Sei tu il profeta?». «No», rispose. Gli dissero allora: «Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?». Rispose: «Io sono voce di uno che grida nel deserto: Rendete diritta la via del Signore, come disse il profeta Isaìa». Quelli che erano stati inviati venivano dai farisei. Essi lo interrogarono e gli dissero: «Perché dunque tu battezzi, se non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?». Giovanni rispose loro: «Io battezzo nell'acqua. In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, colui che viene dopo di me: a lui io non sono degno di slegare il laccio del sandalo». Questo avvenne in Betània, al di là del Giordano, dove Giovanni stava battezzando.

     

    Venne Giovanni, mandato da Dio, per rendere testimonianza alla luce. «Il più grande tra i nati da donna», come lo definisce Gesù, è mandato come testimone, dito puntato a indicare non la grandezza, la forza, l'onnipotenza di Dio, bensì la bellezza e la mite, creativa pazienza della sua luce. Che non fa violenza mai, che si posa sulle cose come una carezza e le rivela, che indica la via e allarga gli orizzonti.
    Il profeta è colui che guida l'umanità a «pensare in altra luce» (M. Zambrano).
    E lo può fare perché ha visto fra noi la tenda di uno che «ha fatto risplendere la vita» (2 Timoteo 1,10): è venuto ed ha portato nella trama della storia una bellezza, una primavera, una positività, una speranza quale non sognavamo neppure; è venuto un Dio luminoso e innamorato, guaritore del disamore, che lava via gli angoli oscuri del cuore. Dopo di lui sarà più bello per tutti essere uomini.
    Giovanni, figlio del sacerdote, ha lasciato il tempio e il ruolo, è tornato al Giordano e al deserto, là dove tutto ha avuto inizio, e il popolo lo segue alla ricerca di un nuovo inizio, di una identità perduta. Ed è proprio su questo che sacerdoti e leviti di Gerusalemme lo interrogano, lo incalzano per ben sei volte: chi sei? Chi sei? Sei Elia? Sei il profeta? Chi sei? Cosa dici di te stesso?
    Le risposte di Giovanni sono sapienti, straordinarie. Per dire chi siamo, per definirci noi siamo portati ad aggiungere, ad elencare informazioni, titoli di studio, notizie, realizzazioni. Giovanni il Battista fa esattamente il contrario, si definisce per sottrazione, e per tre volte risponde: io non sono il Cristo, non sono Elia, non sono... Giovanni lascia cadere ad una ad una identità prestigiose ma fittizie, per ritornare il nucleo ardente della propria vita. E la ritrova per sottrazione, per spoliazione: io sono voce che grida. Solo voce, la Parola è un Altro. Il mio segreto è oltre me. Io sono uno che ha Dio nella voce, figlio di Adamo che ha Dio nel respiro. Lo specifico della identità di Giovanni, ciò che qualifica la sua persona è quella parte di divino che sempre compone l'umano.
    «Tu, chi sei?» È rivolta anche a noi questa domanda decisiva. E la risposta consiste nello sfrondare da apparenze e illusioni, da maschere e paure la nostra identità. Meno è di più. Poco importa quello che ho accumulato, conta quello che ho lasciato cadere per tornare all'essenziale, ad essere uno-con-Dio. Uno che crede in un Dio dal cuore di luce, crede nel sole che sorge e non nella notte che perdura sul mondo. Crede che una goccia di luce è nascosta nel cuore vivo di tutte le cose.

  • Natale 2017/2018

  • Inaugurazione e Benedizione del Presepe 7 Dicembre 2017

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  • 1°Giornata mondiale dei poveri

  • 10 Dicembre 2017: II Domenica di Avvento

    II Domenica di Avvento

    Letture: Isaia 40,1-5.9-11; Salmo 84; 2 Pietro 3,8-14; Marco 1,1-8

    Anno B

     

    Inizio del Vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio. Come sta scritto nel profeta Isaìa: «Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero: egli preparerà la tua via. Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri», vi fu Giovanni, che battezzava nel deserto e proclamava un battesimo di conversione per il perdono dei peccati. Accorrevano a lui tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme. E si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati. Giovanni era vestito di peli di cammello, con una cintura di pelle attorno ai fianchi, e mangiava cavallette e miele selvatico. E proclamava: «Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo».

     

    Inizio del Vangelo di Gesù. Sembra quasi un'annotazione pratica, un semplice titolo esterno al racconto. Ma leggiamo meglio: inizio di Vangelo, di una bella, lieta, gioiosa notizia. Ciò che fa cominciare e ricominciare a vivere e a progettare è sempre una buona notizia, un presagio di gioia, una speranza intravista.
    Inizio del Vangelo che è Gesù. La bella notizia è una persona, un Dio che fiorisce sulla nostra terra: «Il tuo nome è: Colui-che fiorisce-sotto-il-sole» (D.M. Turoldo). Ma fioriscono lungo i nostri giorni anche altri vangeli, pur se piccoli; altre buone notizie fanno ripartire la vita: la bontà delle creature, chi mi vive accanto, i sogni condivisi, la bellezza seminata nel mondo, «la tenerezza che trova misteri dove gli altri vedono problemi» (L. Candiani). E se qualcosa di cattivo o doloroso è accaduto, buona notizia diventa il perdono, che lava via le ombre dagli angoli oscuri del cuore.
    Viene dopo di me uno più forte di me. Gesù è forte, non perché "onnipotente" ma perché "onni-amante"; forte al punto di dare la propria vita; più forte perché è l'unico che parla al cuore. E chiama tutti a essere "più forti", come lo sono i profeti, a essere voce che grida, essere gente che esprime, con passione, la propria duplice passione per Cristo e per l'uomo, inscindibilmente. La passione rende forte la vita.
    Giovanni non dice: verrà un giorno, o sta per venire tra poco, e sarebbe già una cosa grande. Ma semplice, diretto, sicuro dice: viene. Giorno per giorno, continuamente, ancora adesso, Dio viene. Anche se non lo vedi e non ti accorgi di lui, Dio è in cammino. L'infinito è all'angolo di ogni strada. C'è chi sa vedere i cieli riflessi in una goccia di rugiada, Giovanni sa vedere il cammino di Dio, pastore di costellazioni, nella polvere delle nostre strade. E ci scuote, ci apre gli occhi, insinua in noi il sospetto che qualcosa di determinante stia accadendo, qualcosa di vitale, e rischiamo di perderlo: Dio che si incarna, che instancabilmente si fa lievito e sale e luce di questa nostra terra.
    Il Vangelo ci insegna a leggere la storia come grembo di futuro, a non fermarci all'oggi: questo mondo porta un altro mondo nel grembo. La presenza del Signore non si è dissolta. Anzi, il mondo è più vicino a Dio oggi di ieri. Lo attestano mille segni: la coscienza crescente dei diritti dell'uomo, il movimento epocale del femminile, il rispetto e la cura per i disabili, l'amore per madre terra...
    La buona notizia è che la nostra storia è gravida di futuro buono per il mondo, gravida di luce, e Dio è sempre più vicino, vicino come il respiro, vicino come il cuore. Tu sei qui, e io accarezzo la vita perché profuma di Te.

  • Festa natalizia per la comunità!

  • 3 Dicembre 2017: I Domenica di Avvento

    I Domenica di Avvento

    Letture: Isaia 63,16-17.19; 64,2-7; Salmo 79; 1 Corinzi 1,3-9; Marco 13, 33-37

    Anno B

     

    In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento. È come un uomo, che è partito dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai suoi servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vegliare. Vegliate dunque: voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino; fate in modo che, giungendo all'improvviso, non vi trovi addormentati. Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!».


    Prima domenica di avvento: ricomincia il ciclo dell'anno liturgico come una scossa, un bagliore di futuro dentro il giro lento dei giorni sempre uguali. A ricordarci che la realtà non è solo questo che si vede, ma che il segreto della nostra vita è oltre noi. Qualcosa si muove, qualcuno è in cammino e tutt'intorno a noi «il cielo prepara oasi ai nomadi d'amore» (Ungaretti). Intanto sulla terra tutto è in attesa, «anche il grano attende, anche la pietra attende» (Turoldo), ma l'attesa non è mai egocentrica, non si attende la beatitudine del singolo, ma cieli nuovi e terra nuova, Dio tutto in tutti, la vita che fiorisce in tutte le sue forme.

    Se tu squarciassi i cieli e discendessi! (Is 63,19). Attesa di Dio, di un Gesù che è Dio caduto sulla terra come un bacio (B. Calati). Come una carezza sulla terra e sul cuore.
    Il tempo che inizia ci insegna cosa spetta a noi fare: andare incontro. Il Vangelo ci mostra come farlo: con due parole che aprono e chiudono il brano, come due parentesi: fate attenzione e vegliate.
    Un padrone se ne va e lascia tutto in mano ai suoi servi, a ciascuno il suo compito (Marco 13,34). Una costante di molte parabole, una storia che Gesù racconta spesso, narrando di un Dio che mette il mondo nelle nostre mani, che affida tutte le sue creature all'intelligenza fedele e alla tenerezza combattiva dell'uomo. Dio si fa da parte, si fida dell'uomo, gli affida il mondo. L'uomo, da parte sua, è investito di un'enorme responsabilità. Non possiamo più delegare a Dio niente, perché Dio ha delegato tutto a noi.
    Fate attenzione. L'attenzione, primo atteggiamento indispensabile per una vita non superficiale, significa porsi in modo "sveglio" e al tempo stesso "sognante" di fronte alla realtà. Noi calpestiamo tesori e non ce ne accorgiamo, camminiamo su gioielli e non ce ne rendiamo conto. Vivere attenti: attenti alla Parola e al grido dei poveri, attenti al mondo, nostro pianeta barbaro e magnifico, alle sue creature più piccole e indispensabili: l'acqua, l'aria, le piante. Attenti a ciò che accade nel cuore e nel piccolo spazio di realtà in cui mi muovo.
    Vegliate, con gli occhi bene aperti. Il vegliare è come un guardare avanti, uno scrutare la notte, uno spiare il lento emergere dell'alba, perché il presente non basta a nessuno. Vegliate su tutto ciò che nasce, sui primi passi della pace, sul respiro della luce, sui primi vagiti della vita e dei suoi germogli. Il Vangelo ci consegna una vocazione al risveglio: che non giunga l'atteso trovandovi addormentati (Marco 13,36).
    Rischio quotidiano è una vita dormiente, che non sa vedere l'esistenza come una madre in attesa, gravida di Dio, incinta di luce e di futuro.

  • 25 Dicembre 2016: Natale del Signore

    Natale del Signore

    Letture: Isaia 9,1-6; Salmo 95; Tito 2,11-14; Luca 2,1-14

    Messa della notte

     

    «In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. Questo primo censimento fu fatto quando Quirinio era governatore della Siria. Tutti andavano a farsi censire, ciascuno nella propria città. Anche Giuseppe, dalla Galilea, dalla città di Nàzaret, salì in Giudea alla città di Davide chiamata Betlemme: egli apparteneva infatti alla casa e alla famiglia di Davide. Doveva farsi censire insieme a Maria, sua sposa, che era incinta. Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c'era posto nell'alloggio». (...)

     

    Questo per voi il segno: troverete un bambino: «Tutti vogliono crescere nel mondo, ogni bambino vuole essere uomo. Ogni uomo vuole essere re. Ogni re vuole essere "dio". Solo Dio vuole essere bambino» (Leonardo Boff).
    Dio nella piccolezza: è questa la forza dirompente del Natale. L'uomo vuole salire, comandare, prendere. Dio invece vuole scendere, servire, dare. È il nuovo ordinamento delle cose e del cuore.
    C'erano là alcuni pastori. Una nuvola di ali, di canto e di parole felici li avvolge: Non temete! Dio non deve fare paura, mai. Se fa paura non è Dio colui che bussa alla tua vita. Dio si disarma in un neonato. Natale è il corteggiamento di Dio che ci seduce con un bambino. Chi è Dio? «Dio è un bacio», caduto sulla terra a Natale (Benedetto Calati).
    Vi annuncio una grande gioia: la felicità non è un miraggio, è possibile e vicina. E sarà per tutto il popolo: una gioia possibile a tutti, ma proprio tutti, anche per la persona più ferita e piena di difetti, non solo per i più bravi o i più seri. Ed ecco la chiave e la sorgente delle felicità: Oggi vi è nato un salvatore. Dio venuto a portare non tanto il perdono, ma molto di più; venuto a portare se stesso, luce nel buio, fiamma nel freddo, amore dentro il disamore. Venuto a portare il cromosoma divino nel respiro di ogni uomo e di ogni donna. La vita stessa di Dio in me. Sintesi ultima del Natale. Vertigine.
    E sulla terra pace agli uomini: ci può essere pace, anzi ci sarà di sicuro. I violenti la distruggono, ma la pace tornerà, come una primavera che non si lascia sgomentare dagli inverni della storia. Agli uomini che egli ama: tutti, così come siamo, per quello che siamo, buoni e meno buoni, amati per sempre; a uno a uno, teneramente, senza rimpianti amati (Marina Marcolini).
    È così bello che Luca prenda nota di questa unica visita, un gruppo di pastori, odorosi di lana e di latte. È bello per tutti i poveri, gli ultimi, gli anonimi, i dimenticati. Dio ricomincia da loro.
    Natale è anche una festa drammatica: per loro non c'era posto nell'alloggio. Dio entra nel mondo dal punto più basso, in fila con tutti gli esclusi. Come scrive padre Turoldo, Dio si è fatto uomo per imparare a piangere. Per navigare con noi in questo fiume di lacrime, fino a che la sua e nostra vita siano un fiume solo. Gesù è il pianto di Dio fatto carne. Allora prego:
    Mio Dio, mio Dio bambino, povero come l'amore, piccolo come un piccolo d'uomo, umile come la paglia dove sei nato, mio piccolo Dio che impari a vivere questa nostra stessa vita. Mio Dio incapace di aggredire e di fare del male, che vivi soltanto se sei amato, insegnami che non c'è altro senso per noi, non c'è altro destino che diventare come Te.


  • Gli 80 anni di Papa Francesco

    Gli 80 anni di Papa Francesco: in ascolto e obbedienza alla volontà di Dio

    di Marcello Semeraro (*)


    Una lirica particolarmente cara a Bergoglio è Meiner verehrungswürdigen Grossmutter, composta da F. Hölderlin per il compleanno della nonna. Nella ben nota intervista resa pubblica nel settembre 2013 lo ricorda egli stesso, confidandocene le ragioni: è una poesia di grande bellezza e spiritualmente gli ha fatto "tanto bene". Il perché è utile richiamarlo in un tempo liturgico che ci conduce al Natale: "Lì Hölderlin accosta sua nonna a Maria che ha generato Gesù, che per lui è l'amico della terra che non ha considerato straniero nessuno". Una caratteristica umana e spirituale di Papa Francesco è la gratitudine sincera e profonda verso i "padri" e le "madri".

  • 18 Dicembre 2016: IV Domenica di Avvento

    IV Domenica di Avvento

    Letture: Isaia 7,10-14; Salmo 23; Romani 1,1-7; Matteo 1,18-24

    Anno A

     

    Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto. Però, mentre stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati». Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: «Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele», che significa "Dio con noi". Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l'angelo del Signore e prese con sé la sua sposa.

     

    Tra i testimoni d'Avvento, tra coloro che rendono, «testimonianza alla luce» (Gv 1,7.8) e ci accompagnano al Natale, entra Giuseppe, uomo giusto che sogna e ama, non parla e agisce.
    Prima che andassero a vivere insieme Maria si trovò incinta. Sorpresa assoluta della creatura che arriva a concepire l'inconcepibile, il proprio Creatore. Qualcosa che però strazia il cuore di Giuseppe, che si sente tradito. Ed entra in crisi: non volendo accusarla pubblicamente pensò di ripudiarla in segreto. Vive il conflitto tra la legge di Dio che ribadisce più volte: toglierai di mezzo a te il peccatore (cfr Deut 22,22) e l'amore per quella giovane donna.
    Giuseppe è innamorato di Maria, non si dà pace, continua a pensare a lei, a sognarla di notte. Ma basta che la corazza della legge venga appena incrinata, scalfita dall'amore, che lo Spirito irrompe e agisce.
    Mentre stava considerando queste cose, ecco che in sogno un angelo... Giuseppe, mani indurite dal lavoro e cuore intenerito e ferito, non parla ma sa ascoltare i sogni che lo abitano: l'uomo giusto ha gli stessi sogni di Dio. Giuseppe fece come gli aveva detto l'angelo, sceglie l'amore per Maria, perché «mettere la legge prima della persona è l'essenza della bestemmia» (Simone Weil). E in questo modo è profeta che anticipa e prepara le scelte che farà Gesù, quando infrangerà la legge del sabato per guarire il dolore dell'uomo. Eccoli i giusti: «la nostra unica regola è l'amore; lasciare la regola ogni volta che essa è in contrasto con l'amore» (sorella Maria di Campello) Maria lascia la casa del sì detto a Dio e va nella casa del sì detto a un uomo, ci va da donna innamorata, con il suo cuore di carne, in tenerezza e libertà.
    Maria e Giuseppe, poveri di tutto ma non d'amore, sono aperti al mistero proprio perché se c'è qualcosa sulla terra che apre la via all'assoluto, questa cosa è l'amore, luogo privilegiato dove arrivano angeli. Il cuore è la porta di Dio.
    Giuseppe prende con sé Maria e il bambino, quel figlio che non ha generato, di cui però sarà vero padre perché lo amerà, lo farà crescere, lo farà felice, gli insegnerà il mestiere di uomo, e a sognare, e a credere nell'amore. Giuseppe non ha sogni di immagini, ma sogni di parole. Un sogno di parole è offerto anche a tutti noi: è il Vangelo. E sono offerti angeli: in ognuna delle nostre case Dio manda i suoi messaggeri, come in quella di Maria; invia sogni e progetti, come in quella di Giuseppe. I nostri angeli non hanno ali, sono le persone che condividono con noi pane e amore; vivono nella nostra casa ma sono messaggeri dell'invisibile e annunciatori dell'infinito: angeli che nella loro voce portano il seme della Parola di Dio.

  • Avvento - Natale 2016

  • Natale di carità 2016

  • 11 Dicembre 2016: II Domenica di Avvento

    III Domenica di Avvento

    Letture: Isaia 35,1-6.8.10; Salmo 145; Giacomo 5,7-10; Matteo 11,2-11

    Anno A

     

    In quel tempo, Giovanni, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, per mezzo dei suoi discepoli mandò a dirgli: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?». Gesù rispose loro: «Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: I ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!». Mentre quelli se ne andavano, Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle (...)


    Sei tu o no quello che il mondo attende?. Grande domanda che permane intatta: perseveriamo dietro il Vangelo o cerchiamo altrove?
    Giovanni è colto dal dubbio, eppure Gesù non perde niente della stima immensa che nutre per lui: È il più grande! I dubbi non diminuiscono la fede del profeta. Così è per noi: non esiste fede senza dubbi; io credo e dubito, e Dio continua a volermi bene; mescolo fede e dubbi e la sua fiducia resta intatta.
    Sei tu? Gesù non risponde con argomentazioni, ma con un elenco di fatti: ciechi, storpi, sordi, lebbrosi, guariscono, si rimettono in cammino hanno una seconda opportunità, la loro vita cambia.
    Dove il Signore tocca, porta vita, guarisce, fa fiorire.
    La risposta ai nostri dubbi è semplice: se l'incontro con Lui ha cambiato qualcosa, ha prodotto gioia, coraggio, fiducia, apertura del cuore, generosità, bellezza del vivere, se vivo meglio allora è lui quello che deve venire.
    I fatti che Gesù elenca non hanno cambiato il mondo, eppure quei piccoli segni bastano perché non consideriamo più il mondo come un malato inguaribile. Gesù non ha mai promesso di risolvere i problemi della storia con i suoi miracoli. Ha promesso qualcosa di molto più grande: il miracolo del seme, il lavoro oscuro ma inarrestabile del seme che fiorirà. Non ci ha fornito pane già pronto, ma un lievito che non si spegne.
    Sta a noi ora prolungare i gesti che Gesù elenca: «Se io riesco ad aiutare una sola persona a vivere meglio, questo è già sufficiente a giustificare il dono della mia vita. È bello essere popolo fedele di Dio. E acquistiamo pienezza quando rompiamo le pareti e il nostro cuore si riempie di volti e di nomi!» (Francesco, Evangelii gaudium, n. 274).
    La fede è fatta di due cose: di occhi che vedono il sogno di Dio e di mani pazienti e fiduciose come quelle del contadino che «aspetta con costanza il prezioso frutto della terra» (Giacomo 5,7). Di uno stupore, come un innamoramento per un mondo nuovo possibile, e di lavoro concreto per volti e nomi che riempiono il cuore. Anche di fatica: «Fino a che c'è fatica c'è speranza» (don Milani).
    Beato chi che non si scandalizza di me. Gesù portava scandalo e lo porta oggi, a meno che non ci facciamo un Cristo a nostra misura e addomestichiamo il suo messaggio: non stava con la maggioranza, ha cambiato il volto di Dio e del potere, ha messo pubblicani e prostitute prima dei sacerdoti, ha fatto dei poveri i principi del suo regno.
    Gesù: un uomo solo, con un pugno di amici, di fronte a tutti i mali del mondo. Beato chi lo sente come piccolo e fortissimo seme di luce, goccia di fuoco che vive e opera nel cuore dell'uomo. Unico miracolo di cui abbiamo bisogno.

  • Tesseramento Azione Cattolica 8 Dicembre 2016

    Auguri ai ragazzi e adulti che hanno rinnovato la loro adesione all'Azione Cattolica!

  • 4 Dicembre 2016: II Domenica di Avvento

    II Domenica di Avvento
    Anno A

     

    Letture: Isaia 11,1-10; Salmo 71; Romani 15,4-9; Matteo 3,1-12

     

    In quei giorni, venne Giovanni il Battista e predicava nel deserto della Giudea dicendo: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!». Egli infatti è colui del quale aveva parlato il profeta Isaìa quando disse: «Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri!».E lui, Giovanni, portava un vestito di peli di cammello e una cintura di pelle attorno ai fianchi; il suo cibo erano cavallette e miele selvatico. Allora Gerusalemme, tutta la Giudea e tutta la zona lungo il Giordano accorrevano a lui e si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati. Vedendo molti farisei e sadducei venire al suo battesimo, disse loro: «Razza di vipere! Chi vi ha fatto credere di poter sfuggire all'ira imminente?(...)

    Giovanni il Battista predicava nel deserto della Giudea dicendo: convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino (Mt 3,2).
    Gesù cominciò a predicare lo stesso annuncio: convertitevi perché il regno dei cieli è vicino (Mt 4,17). Tutti i profeti hanno gli occhi fissi nel sogno, nel regno dei cieli che è un mondo nuovo intessuto di rapporti buoni e felici. Ne percepiscono il respiro vicino: è possibile, è ormai iniziato. Su quel sogno ci chiedono di osare la vita, ed è la conversione.
    Si tratta di tre annunci in uno, e tra tutte la parola più calda di speranza è l'aggettivo «vicino». Dio è vicino, è qui, prima buona notizia: il grande Pellegrino ha camminato, ha consumato distanze, è vicinissimo a te. E se anche tu ti trovassi ai piedi di un muro o sull'orlo del baratro, allora ricorda: o quanti cercate, siate sereni / egli per noi non verrà mai meno / e Lui stesso varcherà l'abisso (David Maria Turoldo).
    Dio è accanto, a fianco, si stringe a tutto ciò che vive, rete che raccoglie insieme, in armonia, il lupo e l'agnello, il leone e il bue, il bambino e il serpente (parola di Isaia), uomo e donna, arabo ed ebreo, musulmano e cristiano, bianco e nero, per una nuova architettura del mondo e dei rapporti umani. Il regno dei cieli e la terra come Dio la sogna. Non si è ancora realizzata? Non importa, il sogno di Dio è più vero della realtà, è il nostro futuro che ci porta, la forza che fa partire.
    Gesù è l'incarnazione di un Dio che si fa intimo come un pane nella bocca, una parola detta sul cuore, un respiro: infatti vi battezzerà nello Spirito Santo, vi immergerà dentro il mare di Dio, sarete avvolti, intrisi, impregnati della vita stessa di Dio, in ogni vostra fibra.
    Convertitevi, ossia osate la vita, mettetela in cammino, e non per eseguire un comando, ma per una bellezza; non per una imposizione da fuori ma per una seduzione. Ciò che converte il freddo in calore non è un ordine dall'alto, ma la vicinanza del fuoco; ciò che toglie le ombre dal cuore non è un obbligo o un divieto, ma una lampada che si accende, un raggio, una stella, uno sguardo. Convertitevi: giratevi verso la luce, perché la luce è già qui.
    Conversione, non comando ma opportunità: cambiate lo sguardo con cui vedete gli uomini e le cose, cambiate strada, sopra i miei sentieri il cielo è più vicino e più azzurro, il sole più caldo, il suolo più fertile, e ci sono cento fratelli, e alberi fecondi, e miele.
    Conversione significa anche abbandonare tutto ciò che fa male all'uomo, scegliere sempre l'umano contro il disumano. Come fa Gesù: per lui l'unico peccato è il disamore, non la trasgressione di una o molte regole, ma il trasgredire un sogno, il sogno grande di Dio per noi.

     

  • Programma Natale 2015/2016

  • Giubileo Sacerdotale di Don Paolo

  • Benedizione bambinello

  • Giubileo della Misericordia

  • Natale di carità - Caritas parrocchiale

  • Sacerdote per sempre

  • S. Natale 2014

  • Benedizione del "Bambinello"

     

     

    Domenica 21 Dicembre, IV di Avvento, durante la S. Messa delle ore 11,30 benedizione dei "Bambinelli" da collocare nei presepi delle nostre case

  • Natale di carità

  • La Novena di Natale

    16 dicembre: «Ecco, verrà il Re, il Signore della terra, che toglierà il giogo della nostra schiavitù». Rm 8,18-24a («Per entrare nella libertà della gloria di Dio»). Sal 124 (123),1-8 («Siamo stati liberati come un passero dal laccio dei cacciatori »). Gv 8,30-36 («Se il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero »).

    17 dicembre: «O Sapienza, che esci dalla bocca dell'Altissimo, ti estendi ai confini del mondo e tutto disponi con soavità e forza, vieni, insegnaci la via della saggezza». Rm 11,33-36 («O profondità della sapienza di Dio!»). Sal 37 (36),30-40 («La bocca del giusto medita la sapienza»). Lc 2,41-50 (Gesù tra i maestri nel Tempio).

  • Domenica 30 Novembre... una giornata insieme

     

  • Il tesseramento dell'Azione Cattolica

     

     Lunedì 8 Dicembre, Solennità dell'Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria, durante la S. Messa delle ore 11.30 benedizione e consegna delle tessere ai ragazzi, ai giovani e agli adulti iscritti all'Azione Cattolica Italiana

  • 1 Gennaio 2014: Maria Santissima Madre di Dio

    Commento al Vangelo nella Solennità di Maria Santissima Madre di Dio

    Lc  2, 16 - 21

     

    Dalla tenerezza della Madre di Dio, Maria Santissima, nasce la pace per tutti, perché Maria, per opera dello Spirito Santo, ha dato al mondo il principe della pace, Gesù redentore dell'umanità. In questo primo giorno dell'anno due sono i temi della liturgia con la quale diamo il primo passo nell'anno nuovo, appena iniziato: Maria, Madre di Dio e la Giornata Mondiale della Pace, in termini progressivi è la 47esima.

    Nel riflettere e meditare sulle due tematiche, iniziamo dalla prima e più importante celebrazione della Giornata odierna, che è la Madre di Dio, la Regina della Pace.

    La Chiesa, infatti, seguendo una antica tradizione, consacra il primo giorno dell'anno civile alla Vergine Maria, chiamandola con il titolo sorprendente di: "Madre di Dio". Meditando sul mistero del Dio fatto uomo, la Chiesa è arrivata, dopo secoli, a riconoscere che la madre di Cristo può anche essere chiamata, a pieno titolo, "Madre di Dio". Fu il Concilio di Efeso, nell'Asia Minore, nell'anno 431 a proclamare questa verità di fede. La proclamazione di questo dogma mariano fu accolto con entusiasmo dal popolo cristiano. Questo titolo ha una sua importanza teologica, spirituale e pastorale, anche se questo titolo non lo troviamo scritto nei Vangeli o nel Nuovo Testamento più in generale. Nei vangeli, infatti, la più normale ed accreditata espressone "la Madre di Gesù", dice tutta la verità sulla figura e la missione di Maria nei confronti di Gesù, Figlio di Dio e della Chiesa. Il Concilio Vaticano II, nella Costituzione dogmatica Lumen Gentium, ha dedicato il settimo capitolo alla Madonna. In esso leggiamo: "Volendo Dio misericordiosissimo e sapientissimo compiere la redenzione del mondo, «quando venne la pienezza dei tempi, mandò il suo Figlio, nato da una donna... per fare di noi dei figli adottivi» (Gal 4,4-5), «Egli per noi uomini e per la nostra salvezza è disceso dal cielo e si è incarnato per opera dello Spirito Santo da Maria vergine». Questo divino mistero di salvezza ci è rivelato e si continua nella Chiesa, che il Signore ha costituita quale suo corpo e nella quale i fedeli, aderendo a Cristo capo e in comunione con tutti i suoi santi, devono pure venerare la memoria «innanzi tutto della gloriosa sempre vergine Maria, madre del Dio e Signore nostro Gesù Cristo». Infatti Maria vergine, la quale all'annunzio dell'angelo accolse nel cuore e nel corpo il Verbo di Dio e portò la vita al mondo, è riconosciuta e onorata come vera madre di Dio e Redentore. Redenta in modo eminente in vista dei meriti del Figlio suo e a lui unita da uno stretto e indissolubile vincolo, è insignita del sommo ufficio e dignità di madre del Figlio di Dio, ed è perciò figlia prediletta del Padre e tempio dello Spirito Santo; per il quale dono di grazia eccezionale precede di gran lunga tutte le altre creature, celesti e terrestri. Insieme però, quale discendente di Adamo, è congiunta con tutti gli uomini bisognosi di salvezza; anzi, è «veramente madre delle membra (di Cristo)... perché cooperò con la carità alla nascita dei fedeli della Chiesa, i quali di quel capo sono le membra». Per questo è anche riconosciuta quale sovreminente e del tutto singolare membro della Chiesa, figura ed eccellentissimo modello per essa nella fede e nella carità; e la Chiesa cattolica, istruita dallo Spirito Santo, con affetto di pietà filiale la venera come madre amatissima. (LG, nn.52-53).

    L'altro argomento odierno è la Giornata mondiale della pace e per la ricorrenza Papa Francesco ha scritto ed inviato a tutti gli uomini di buona volontà il suo primo messaggio da Vescovo di Roma per tale giornata speciale, sul tema "La fraternità, fondamento e via della pace", nel quale leggiamo testualmente: "La fraternità ha bisogno di essere scoperta, amata, sperimentata, annunciata e testimoniata. Ma è solo l'amore donato da Dio che ci consente di accogliere e di vivere pienamente la fraternità.... Maria, la Madre di Gesù, ci aiuti a comprendere e a vivere tutti i giorni la fraternità che sgorga dal cuore del suo Figlio, per portare pace ad ogni uomo su questa nostra amata terra".

    Questa pace, trova le sue motivazioni più profonde nel mistero della divina rivelazione e redenzione.

    Nella prima lettura di oggi, ci giungono alle nostre orecchie per essere assimilate, le parole del Libro dei Numeri: è la celebre preghiera di benedizione del popolo d'Israele, il cui nucleo centrale dell'orazione è appunto la pace che viene da Dio. Una pace luminosa, senza ostacoli e senza alcuna macchia ed imperfezione, in quanto è nel cuore stesso di Dio questa pace che Egli dona al mondo ed al genere umano.

    Nella seconda lettura di oggi, tratta dalla lettera di san Paolo apostolo ai Gàlati, il tema della pace è incentrato sulla venuta di Cristo sulla terra, nella pienezza dei tempi, come è definita la stagione in cui il Cristo è stato con nella sua umanità e divinità, congiunte nell'unità della sua persona. In questo tempo di grazia, dalla nascita, attraverso la sua passione, morte e risurrezione, Gesù Cristo ha rivelato il vero volto di Dio, che è quello della misericordia e del perdono.

    Ed infine il brano del Vangelo secondo Luca, in cui si rivivono i momenti più belli della nascita del messia.

    Stupirsi delle meraviglie che il Signore compie ogni giorno della nostra vita: stupenda è l'opera della creazione, più stupenda è l'opera della Redenzione. E davanti al Redentore dell'uomo, Gesù Bambino, concepito nel grembo verginale di Maria, lo stupore e la meraviglia, trovano la vera ragion d'essere e la motivazione più profonda per continuare a meravigliarsi di quanto abbiamo avuto, abbiamo ed avremo dalle mani sapienti del Creatore e dalla Incarnazione, Passione, Morte e Risurrezione del Redentore.

    E con la preghiera della Colletta di questa solennità della Madre di Dio, ci rivolgiamo a Maria in questo primo giorno dell'anno 2014, che il Signore ci dona per fare il bene e camminare nella perfezione della carità verso Dio e verso i fratelli, avendo come modello di vita la tenerezza e la dolcezza della Regina della Pace: "Padre buono, che in Maria, vergine e madre, benedetta fra tutte le donne, hai stabilito la dimora del tuo Verbo fatto uomo tra noi, donaci il tuo Spirito, perché tutta la nostra vita nel segno della tua benedizione si renda disponibile ad accogliere il tuo dono".

  • 29 Dicembre: Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe

    Commento al Vangelo della

    Domenica della Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe

    Mt 2, 13-15. 19-23  Anno A

     

    "Il Signore ha glorificato il padre al di sopra dei figli e ha stabilito il diritto della madre sulla prole. Chi onora il padre espia i peccati e li eviterà e la sua preghiera quotidiana sarà esaudita. Chi onora sua madre è come chi accumula tesori. Chi onora il padre avrà gioia dai propri figli e sarà esaudito nel giorno della sua preghiera. Chi glorifica il padre vivrà a lungo, chi obbedisce al Signore darà consolazione alla madre". Queste sagge parole, comprese nella prima lettura di oggi (Siracide 3,3-7), spiegano il quarto comandamento, "Onora il padre e la madre", relativo ai doveri dei figli. E quelli dei genitori, verso i figli e tra di loro? Viene in proposito questa domenica, che celebra la famiglia di Gesù, Giuseppe e Maria.

    Premettiamo: la celebrazione del Natale è accompagnata da altre che invitano a considerare le sue tante valenze. Le domeniche di Avvento hanno parlato della fedeltà di Dio, il quale ha mantenuto la promessa di mandare agli uomini un liberatore; mercoledì sarà una festa di fede, non perché è capodanno ma perché, di quel Liberatore, si onora la Madre; l'Epifania punterà l'attenzione sul fatto che Egli è venuto nel mondo non per restarvi nascosto ma per farsi conoscere da tutti gli uomini. Questa domenica è dedicata a considerare che, fattosi uomo, il Figlio di Dio ha voluto avere una famiglia umana.

    Per riflettere sulla famiglia in cui è nato, la liturgia propone quest'anno l'episodio della fuga in Egitto: saputo che il re Erode cercava il bambino per ucciderlo (e allo scopo, si sa, il tiranno non esitò a far mettere a morte tutti gli innocenti neonati di Betlemme), Giuseppe prende la sposa e il bambino e li porta al sicuro "all'estero", dove rimane sino a quando non potrà riportarli nella sua casa di Nazaret.

    Una famiglia tribolata, quella scelta da Gesù: dapprima un decreto del governo romano costringe Giuseppe a lasciare il suo paese per affrontare un lungo viaggio, con la sposa che, quasi al termine della gravidanza, non è certo nelle migliori condizioni per sostenerne i disagi. Giunti a Betlemme, non trovano di meglio che far nascere il bambino in una stalla; neppure il tempo di rimettersi, ed ecco la necessità di fuggire, con tutte le incognite, le paure e i problemi dell'andare verso l'ignoto. Una famiglia tribolata, che richiama tante altre situazioni anche del nostro tempo: dai profughi del Darfur costretti da anni alla paura sotto una tenda nel deserto, agli emigranti costretti a separarsi dai loro cari, e magari annegati nel Mediterraneo prima ancora di raggiungere la meta; dai perseguitati e incarcerati sotto regimi tirannici, ai genitori straziati dal non avere di che nutrire i loro bambini. Gesù ha assunto l'umanità, anche partecipando a tutti i suoi dolori.

    La famiglia di Nazaret richiama inoltre le tante famiglie disastrate per mali cui soggiacciono non per volontà esterne, ma solo per l'egoismo di uno o di entrambi i coniugi: l'egoismo di chi pensa a sé, accantonando attenzione, comprensione, pazienza; l'egoismo di chi chiude gli occhi e il cuore davanti alle sofferenze che provoca, in particolare nei figli; l'egoismo di chi rinuncia a intendere l'amore nel suo significato più profondo. Gesù ha voluto nascere in una famiglia, anche per richiamare il valore dell'amore autentico, di un uomo e una donna tra loro e verso i figli. E nella famiglia di Nazaret si può comprendere che cosa motiva e sostiene l'amore: la ricerca della volontà di Dio, l'accoglienza del suo progetto su di loro, che malgrado le apparenze è sempre e soltanto un progetto d'amore. Maria e Giuseppe hanno saputo affrontare oscurità e difficoltà, nella convinzione di rispondere così alla volontà di Dio, certi che Egli tutto orienta al bene, anche se ai loro umani e dunque limitati orizzonti non sempre era immediatamente chiaro. Gesù ha voluto avere una famiglia, anche per proporla come modello a tutte le altre.

  • 25 Dicembre: Natale del Signore

    Commento al Vangelo nella Solennità del Natale del Signore

     

    Ci siamo preparati, abbiamo percorso il sentiero dell'avvento, abbiamo lasciato che la Parola ci conducesse, che illuminasse questi tempi fragili, questi momenti inquieti, che ci donasse una speranza ora che tutti usano parole forti come crisi, fallimento, sacrifici... I profeti, Il Battista, Maria e Giuseppe,  sono stati per noi messaggeri autentici e tosti, ci hanno presi per mano e accompagnati alla grotta, a qualche metro. Ora tocca a noi.

    Siamo qui con il desiderio di non essere semplici spettatori di un presepe finto. No, noi vogliamo buttarci dentro il presepe che è la nostra vita. Andiamo insieme incontro al Signore che viene: buttiamoci dentro la Parola,  che ci rende contemporanei di Gesù. Luca ci tiene a farci capire che non ci sta raccontando una pia favoletta, ma un evento storico ben situato, con delle coordinate che tutti sono in grado di intendere e riconoscere. Dio ha davvero deciso di fare un dono al mondo; e l’angelo messaggero che annuncia ai pastori questo dono di Dio: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia».

    Parto da questo ultima frase: “Questo per voi il segno: “Troverete un bambino  avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia…”. Questo è il segno: l’abbassamento totale di Dio. Il segno è che, questa notte, Dio si è innamorato della nostra piccolezza e si è fatto tenerezza, tenerezza verso ogni fragilità, verso ogni sofferenza, verso ogni angoscia, verso ogni ricerca, verso ogni limite. Dio fatto tenerezza, Dio che accarezza la nostra miseria, Dio innamorato della nostra piccolezza».

    Dice l’angelo: “questo bambino avvolto in fasce è  salvatore, che è il Cristo Signore.” Se ogni bambino che nasce è portatore di speranza, se ad ogni bambino Dio dà una vocazione e cioè un compito, una missione, a questo bambino Dio ha consegnato un compito unico: di essere ‘salvatore’. Ma che cosa significa questa piccola parola: ‘salvatore’? Quando il popolo di Dio era schiavo in Egitto, la salvezza era la liberazione dalla schiavitù; quando era in esilio in Babilonia la salvezza era il ritorno in patria; per un malato la salvezza è la guarigione, per un disoccupato è il lavoro. Tante necessità, tante diverse forme di salvezza. In Gesù Cristo, Dio si è fatto vicino a noi; così vicino che il suo nome è ‘Emmanuele’ cioè: Dio con noi. Reciprocamente questo significa che la nostra vita, la vita di ciascuno può diventare una ‘vita con Dio’. Che Dio sia con noi è dono gratuito della sua bontà ed è un dono offerto a tutti, nessuno escluso.

    Il profeta Isaia che questa notte ci annuncia che “il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce (Is 9, 1 ), “Dite agli smarriti di cuore: non temete! Ecco il vostro Dio. Egli viene a salvarvi” (Is 35, 4). Questa espressione del profeta è rivolta a coloro che, nel lungo esilio, avevano perso ogni fiducia. Proprio a questo popolo scoraggiato e confuso, il profeta annuncia una profonda trasformazione, non dovuta ad uno sforzo di volontà, ma grazie a un dono che ricrea l’animo e fa rifiorire la vita.  Diversi tipi di tenebre offuscano oggi  la nostra vita personale e sociale., Potremmo chiamarle le tenebre costituite da una cultura, da una mentalità che, avendo perso i valori più alti, non trova più in sé neppure la forza per riorientarsi e per smascherare , per superare e contrastare le aberrazioni sociali. L’oscurità che ne deriva genera smarrimento. Abbiamo bisogno di luce; abbiamo bisogno di orientamento.

     

    Ancora una volta, le parole dell’angelo mi colpisce: Non temere. Lo dice a Maria, lo dice a Giuseppe, lo dice ai pastori... lo ripete a tutti: non temete. Quello che ci porta il Natale è e deve essere il desiderio di reagire, di darci un tono, per superare ogni crisi, ogni depressione, ogni pesantezza e pigrizia. La festa del Natale è la festa della partecipazione: Dio ha partecipato alla nostra storia, ha voluto mischiarsi con essa, e - attraverso di essa - con quella di ciascuno di noi. Partecipare alla rinascita della speranza: ecco l'impegno che ci vogliamo prendere a Natale. Affinchè il Natale non sia solo la festa dove "siamo tutti più buoni", ma la festa dove "siamo tutti più umani, tutti più responsabili, tutti più attivi, tutti più vivi...". Non sprechiamo i nostri incontri: ognuno di noi  può diventare una porta che si apre al riconoscimento dell'altro, così come Dio lo  è, senza giudizi o preconcetti.

    L’inno che chiude il vangelo di questa notte: “Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini che Dio ama.” Questo significa che la nascita di Gesù permette alla mia vita, alla vostra vita, alla vita di ogni uomo di svilupparsi in un modo tale da diventare motivo di gloria per Dio e forza di pace tra gli uomini. Questo è naturalmente il mio augurio di buon Natale.

                                                                                         don Paolo Palliparambil

  • Natale 2013

    “Non temete, ecco vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia”. Soltanto la contemplazione può semplificare la nostra preghiera per arrivare a constatare la profondità della scena e del segno che ci è dato.

     

    Domenica 22 dicembre:  Nella messa delle ore 11.30 benedizione del “Bambinello” per il presepe in famiglia.

    Martedì 24 dicembre:  ore 23.50: NATALE DEL SIGNORE - MESSA DELLA NOTTE

  • 22 Dicembre - IV Domenica di Avvento

    Commento al Vangelo della IV Domenica di Avvento

    Mt 1, 18-24  Anno A

     

    In questa quarta domenica di Avvento il Vangelo di san Matteo narra come avvenne la nascita di Gesù ponendosi dal punto di vista di san Giuseppe. Egli era il promesso sposo di Maria, la quale, "prima che andassero a vivere insieme, si trovò incinta per opera dello Spirito Santo". Il Figlio di Dio, realizzando un'antica profezia, diventa uomo nel grembo di una vergine, e tale mistero manifesta insieme l'amore, la sapienza e la potenza di Dio in favore dell'umanità ferita dal peccato. San Giuseppe viene presentato come "uomo giusto", fedele alla legge di Dio, disponibile a compiere la sua volontà. Per questo entra nel mistero dell'Incarnazione dopo che un angelo del Signore, apparsogli in sogno, gli annuncia: "Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati". Abbandonato il pensiero di ripudiare in segreto Maria, egli la prende con sé, perché ora i suoi occhi vedono in lei l'opera di Dio.

    «Giuseppe fece come gli aveva ordinato l'Angelo del Signore e prese con sé la sua sposa». In queste parole è già racchiusa la missione che Dio affida a Giuseppe, quella di essere custode. Custode di chi? Di Maria e di Gesù; ma è una custodia che si estende poi alla Chiesa, come ha sottolineato il beato Giovanni Paolo II: «San Giuseppe, come ebbe amorevole cura di Maria e si dedicò con gioioso impegno all'educazione di Gesù Cristo, così custodisce e protegge il suo mistico corpo, la Chiesa, di cui la Vergine Santa è figura e modello».

    Come esercita Giuseppe questa custodia? Con discrezione, con umiltà, nel silenzio, ma con una presenza costante e una fedeltà totale, anche quando non comprende. Dal matrimonio con Maria fino all'episodio di Gesù dodicenne nel Tempio di Gerusalemme, accompagna con premura e tutto l'amore ogni momento. E' accanto a Maria sua sposa nei momenti sereni e in quelli difficili della vita, nel viaggio a Betlemme per il censimento e nelle ore trepidanti e gioiose del parto; nel momento drammatico della fuga in Egitto e nella ricerca affannosa del figlio al Tempio; e poi nella quotidianità della casa di Nazaret, nel laboratorio dove ha insegnato il mestiere a Gesù.

    Come vive Giuseppe la sua vocazione di custode di Maria, di Gesù, della Chiesa? Nella costante attenzione a Dio, aperto ai suoi segni, disponibile al suo progetto, non tanto al proprio. Giuseppe è "custode", perché sa ascoltare Dio, si lascia guidare dalla sua volontà, e proprio per questo è ancora più sensibile alle persone che gli sono affidate, sa leggere con realismo gli avvenimenti, è attento a ciò che lo circonda, e sa prendere le decisioni più sagge. "In lui vediamo come si risponde alla vocazione di Dio, con disponibilità, con prontezza, ma vediamo anche qual è il centro della vocazione cristiana: Cristo! Custodiamo Cristo nella nostra vita, per custodire gli altri, per custodire il creato!

    Un'ulteriore annotazione: il prendersi cura, il custodire chiede bontà, chiede di essere vissuto con tenerezza. Nei Vangeli, san Giuseppe appare come un uomo forte, coraggioso, lavoratore, ma nel suo animo emerge una grande tenerezza, che non è la virtù del debole, anzi, al contrario, denota fortezza d'animo e capacità di attenzione, di compassione, di vera apertura all'altro, capacità di amore. Non dobbiamo avere timore della bontà, della tenerezza!" (papa Francesco)

    Nei momenti difficili della vita di Giuseppe (prendere Maria in sposa, fuga in Egitto, risalita dall'Egitto stesso) c'è sempre lo stesso schema: vede in sogno, si sveglia e parte! Vuol dire che sa di stare con tutto se stesso nel mistero, ma che non ha mai preteso di dire a Dio cosa fare, non si è mai "scandalizzato"di Dio e così ne ha potuto costatare la fedeltà e toccare con mano i prodigi. Ma come faceva? Forse la risposta è facile: prendeva sul serio Dio! Giuseppe, senza chiacchiere, ma con la vita, faceva la sua professione di fede e annunciava che lui al Signore ci credeva, che la Parola di Dio vale più di quello che vedo con gli occhi.

    Così come Maria, la Vergine che concepisce per la potenza di Dio, sa dire il suo "Sì" generoso, umile, totale. Anche per noi: Dio dice "sì" all'uomo, l'uomo è chiamato a realizzarsi e a salvarsi, dicendo il suo "sì" a Dio. Così è un "buon Natale":

     
  • Natale 2013: i Presepi in Parrocchia

    http://www.youtube.com/watch?v=7MfGH56skMk&feature=youtu.be

  • 15 Dicembre - III Domenica di Avvento - Gaudete

    Commento al Vangelo della III Domenica di Avvento - Gaudete

    Mt  11,  2-11  Anno A

     

    «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo at­tenderne un altro?». Gran­de domanda che permane intatta: perseveriamo die­tro il Vangelo o cerchiamo altrove?

    Giovanni è colto dal dub­bio, eppure Gesù non per­de niente della stima im­mensa che nutre per lui: «È il più grande!» I dubbi non diminuiscono la statura di questo gigante dello spirito. Ed è di conforto per tutti i nostri dubbi: io dubito, e Dio continua a volermi be­ne. Io dubito, e la fiducia di Dio resta intatta.

    Sei tu? Gesù non risponde con argomentazioni, ma con un elenco di fatti: cie­chi, storpi, sordi, lebbrosi, guariscono, si rimettono in cammino hanno una se­conda opportunità, la loro vita cambia .

    Dove il Signore tocca, por­ta vita, guarisce, fa fiorire.

    La risposta ai nostri dubbi è semplicemente questa: se l'incontro con Lui ha prodotto in me frutti buoni (gioia, coraggio, fiducia nel­la vita, apertura agli altri, speranza, altruismo). Se in­vece non sono cambiato, se sono sempre quello di prima, vuol dire che sto sba­gliando qualcosa nel mio rapporto con il Signore.

    I fatti che Gesù elenca non hanno trasformato il mon­do, eppure quei piccoli se­gni sono sufficienti perché noi non consideriamo più il mondo come un malato inguaribile. Gesù non ha mai promesso di risolvere i pro­blemi della storia con i miracoli. Ha promesso qual­cosa di più forte ancora: il miracolo del seme, la laboriosa costanza del seme. Con Cristo è già iniziato, ma come seme che diventerà albero, un tutt'altro modo di essere uomini. Un seme di fuoco è sceso dentro di noi e non si spegne.

    Sta a noi ora moltiplicare quei segni (voi farete segni ancora più grandi dei miei),

    mettendo tempo e cuore nell'aiutare chi soffre, nel curare ogni germoglio che spunta, come il contadino:

    Guardate l'agricoltore: egli aspetta con costanza il pre­zioso frutto della terra (Giacomo, II lettura). La fede è fatta di due cose: occhi che sanno vedere oltre l'inver­no del presente, e la spe­ranza laboriosa del conta­dino. Fino a che c'è fatica c'è speranza.

    Beato chi non trova in me motivo di scandalo. Gesù portava scandalo e lo por­ta oggi, a meno che non ci facciamo un Cristo a nostra misura e addomestichiamo il suo messaggio: non stava con la maggioranza, ha cambiato il volto di Dio e le regole del potere, ha messo la persona prima della leg­ge e il prossimo al mio pa­ri. E tutto con i mezzi pove­ri, e il più scandalosamen­te povero è stata la croce.

    Gesù: un uomo solo, con un pugno di amici, di fronte a tutti i mali del mondo. Beato chi lo sente come picco­lo e fortissimo seme di lu­ce, goccia di fuoco che vive e geme nel cuore dell'uo­mo. Unico miracolo di cui abbiamo bisogno.

     
  • 8 Dicembre - II Domenica di Avvento - Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria

    Commento al Vangelo della II Domenica di Avvento

    Solennità Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria

    Anno  A  Lc.  1, 26-38

    Il Vangelo di Luca sviluppa il racconto dell'annuncio a Maria come la zoomata di una cinepresa: parte dall'immensità dei cieli, restringe progressivamente lo sguardo fino ad un piccolo villaggio, poi ad una casa, al primo piano di una ragazza tra le tante, occupata nelle sue faccende e nei suoi pensieri.

    L'angelo Gabriele entrò da lei. È bello pensare che Dio ti sfiora, ti tocca nella tua vita quotidiana, nella tua casa. Lo fa in un giorno di festa, nel tempo delle lacrime oppure quando dici a chi ami le parole più belle che sai.

    La prima parola dell'angelo non è un semplice saluto, dentro vibra quella cosa buona e rara che tutti, tutti i giorni, cerchiamo: la gioia. «chaire, rallegrati, gioisci, sii felice». Non chiede: prega, inginocchiati, fai questo o quello. Ma semplicemente: apriti alla gioia, come una porta si apre al sole. Dio si avvicina e ti stringe in un abbraccio, viene e porta una promessa di felicità.

    La seconda parola dell'angelo svela il perché della gioia: sei piena di grazia. Un termine nuovo, mai risuonato prima nella bibbia o nelle sinagoghe, letteralmente inaudito, tale da turbare Maria: sei colmata, riempita di Dio, che si è chinato su di te, si è innamorato di te, si è dato a te e tu ne trabocchi. Il suo nome è: amata per sempre. Teneramente, liberamente, senza rimpianti amata.

    Piena di grazia la chiama l'angelo, Immacolata la dice il popolo cristiano. Ed è la stessa cosa. Non è piena di grazia perché ha detto "sì" a Dio, ma perché Dio ha detto "sì" a lei prima ancora della sua risposta. E lo dice a ciascuno di noi: ognuno pieno di grazia, tutti amati come siamo, per quello che siamo; buoni e meno buoni, ognuno amato per sempre, piccoli o grandi ognuno riempito di cielo.

    La prima parola di Maria non è un sì, ma una domanda: come è possibile? Sta davanti a Dio con tutta la sua dignità umana, con la sua maturità di donna, con il suo bisogno di capire. Usa l'intelligenza e poi pronuncia il suo sì, che allora ha la potenza di un sì libero e creativo.

    Eccomi, come hanno detto profeti e patriarchi, sono la serva del Signore. Serva è parola che non ha niente di passivo: serva del re è la prima dopo il re, colei che collabora, che crea insieme con il creatore. «La risposta di Maria è una realtà liberante, non una sottomissione remissiva. È lei personalmente a scegliere, in autonomia, a pronunciare quel "sì" così coraggioso che la contrappone a tutto il suo mondo, che la proietta nei disegni grandiosi di Dio» (M. Marcolini).

    La storia di Maria è anche la mia e la tua storia. Ancora l'angelo è inviato nella tua casa e ti dice: rallegrati, sei pieno di grazia! Dio è dentro di te e ti colma la vita di vita.

  • 1° Dicembre - I Domenica di Avvento

    Commento al Vangelo della I Domenica di Avvento

    Mt  24,  37- 44  Anno A

     

    Inizia l'«Avvento», un ter­mine latino che significa avvicinarsi, camminare verso... Tutto si fa più prossimo, tutto si rimette in cam­mino e si avvicina: Dio, noi, l'altro, il nostro cuore profon­do.

    L'avvento è tempo di strade. L'uomo d'avvento è quello che, dice il salmo, ha sentieri nel cuore, percorsi dai passi di Dio, e che a sua volta si mette in cammino: per risco­prirTi nell'ultimo povero, ritrovarTi negli occhi di un bimbo, vederTi piangere le la­crime nostre oppure sorride­re come nessuno (D.M. Turol­do).

    L'avvento è tempo di atten­zione. Il Vangelo ricorda i giorni di Noè, quando «nei giorni che precedettero il di­luvio gli uomini mangiava­no e bevevano, prendevano moglie e marito e non si accorsero di nulla». Alimentar­si, sposarsi sono azioni della normalità originaria della vi­ta. Sono impegnati a vivere, a semplicemente vivere. Con il rischio però che la routine non faccia avvertire la straor­dinarietà di ciò che sta per accadere: e non si accorsero di nulla. Loro, del diluvio; noi, dell'occasione di vita che è il Vangelo. Lo senti che ad o­gni pagina Gesù ripete: non vivere senza mistero! Ti pre­go: sotto il familiare scopri l'insolito, sotto il quotidiano osserva l'inspiegabile. Che o­gni cosa che diciamo abitua­le, possa inquietarti (B. Bre­cht).

    I giorni di Noè sono i giorni della superficialità: «Il vizio supremo della nostra epoca è di essere superficiale» (R. Pa­nikkar). Invece occorre l'at­tenzione vigile delle senti­nelle, allora ti accorgi della sofferenza che preme, della mano tesa, degli occhi che ti cercano e delle lacrime si­lenziose che vi tremano. E dei mille doni che i giorni reca­no, delle forze di bontà e di bellezza all'opera in ciascu­no, ti accorgi di quanta luce, di quanto Dio vive in noi: «Il vostro male è di non rendervi conto di quanto siete belli!» (Dostoewski).

    Avvento: tempo per attende­re, perché qualcosa o qual­cuno manca. Come i soldati romani detti «desiderantes» che, riferisce Giulio Cesare, attendevano vegliando sotto le stelle i compagni non ancora rientrati all'accampa­mento dopo la battaglia. At­tendere è declinazione del verbo amare.

    Avvento: tempo per desidera­re e attendere quel Dio che viene, dice il Vangelo di oggi, con una metafora spiazzan­te, come un ladro. Che viene nel tempo delle stelle, in si­lenzio, senza rumore e clamore, senza apparenza, che non ruba niente e dona tut­to. Si accorgono di lui i desi­deranti, quelli che vegliano in punta di cuore, al lume delle stelle, quelli dagli occhi profondi e trasparenti che sanno vedere quanto dolore e quanto amore, quanto Dio c'è, incamminato nel mon­do. Anche Dio, fra le stelle, co­me un desiderante, accende la sua lucerna e attende che io mi incammini verso casa.

  • Natale del Signore

    Natale del Signore

    È spuntato per noi un giorno di festa, una ricorrenza annuale; oggi è il Natale del Signore e Salvatore nostro Gesù Cristo: la Verità è sorta dalla terra, il giorno da giorno è nato nel nostro giorno. Esultiamo e rallegriamoci! Quanto beneficio ci abbia apportato l’umiltà di un Dio tanto sublime lo comprendono bene i fedeli cristiani, mentre non lo possono capire i cuori empi, perché Dio ha nascosto queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le ha rivelate ai piccoli. Si aggrappino perciò gli umili all’umiltà di Dio, perché con questo aiuto tanto valido riescano a raggiungere le altezze di Dio; nella stessa maniera in cui, quando non ce la fanno da soli, si fanno aiutare dal loro giumento. I sapienti e gli intelligenti invece, mentre si sforzano di indagare sulla grandezza di Dio, non credono alle cose umili; e così trascurando queste non arrivano neanche a quella. Vuoti e frivoli, gonfi d’orgoglio, sono come sospesi tra cielo e terra in mezzo al turbinio del vento. Sono sì sapienti e intelligenti, ma secondo questo mondo, non secondo colui che ha creato il mondo. Se possedessero la vera sapienza, quella che è da Dio, anzi che è Dio stesso, comprenderebbero che Dio poteva assumere un corpo, senza per questo doversi mutare in corpo. Comprenderebbero che Dio ha assunto ciò che non era, pur rimanendo ciò che era; che è venuto a noi nella natura di uomo, senza essersi per nulla allontanato dal Padre; che è rimasto ciò che è da sempre e si è presentato a noi nella nostra propria natura; che ha nascosto la sua potenza in un corpo di bambino senza sottrarla al governo dell’universo. E come di lui che rimane presso il Padre ha bisogno l’universo, così di lui che viene a noi ha bisogno il parto di una Vergine. La Vergine Madre fu infatti la prova della sua onnipotenza: vergine prima del concepimento, vergine dopo il parto; trovata gravida senza essere resa tale da un uomo; incinta di un bambino senza l’intervento di un uomo: tanto più beata e più singolare per aver avuto in dono la fecondità senza perdere l’integrità. Quei sapienti preferiscono ritenere inventato un prodigio così grande anziché crederlo realmente avvenuto. Così nei riguardi di Cristo, uomo e Dio, non potendo credere alla natura umana, la disprezzano; non potendo disprezzare quella divina, non la credono. Ma quanto più essi lo disprezzano, tanto più noi accettiamo il corpo dell’uomo nell’umiltà del Dio; e quanto più essi lo ritengono impossibile, tanto più per noi è opera divina il parto verginale nella nascita del bambino.

    Celebriamo pertanto il Natale del Signore con una numerosa partecipazione e un’adeguata solennità. Esultino gli uomini, esultino le donne: Cristo è nato uomo, è nato da una donna; ambedue i sessi sono stati da lui onorati. Si trasformi nel secondo uomo chi nel primo era stato precedentemente condannato. Una donna ci aveva indotti alla morte; una donna ci ha generato la vita. È nata una carne simile a quella del peccato, perché per suo mezzo venisse mondata la carne del peccato. Non venga condannata la carne ma, affinché la natura viva, muoia la colpa. È nato Cristo senza colpa perché in lui possa rinascere chi era nella colpa. Esultate, giovani consacrati, che avete scelto di seguire Cristo in modo particolare e non avete cercato le nozze. Non tramite le nozze è venuto a voi colui che avete trovato per seguirlo: e vi ha donato di non curarvi delle nozze, per mezzo delle quali siete venuti al mondo. Voi infatti siete venuti al mondo attraverso nozze carnali; mentre Cristo senza queste è venuto alle nozze spirituali: e vi ha donato di disprezzare le nozze, proprio perché vi ha chiamato ad altre nozze. Non avete cercato le nozze da cui siete nati, perché avete amato più degli altri colui che non è nato alla stessa maniera che voi. Esultate, vergini consacrate: la Vergine vi ha partorito colui che potete sposare senza perdere l’integrità. Non potete perdere il bene che amate né quando lo concepite né quando partorite. Esultate, giusti: è il Natale di colui che giustifica. Esultate, deboli e malati: è il Natale del Salvatore. Esultate, prigionieri: è il Natale del Redentore. Esultate, schiavi: è il Natale del Signore. Esultate, liberi: è il Natale del Liberatore. Esultate, voi tutti cristiani: è il Natale di Cristo.

    Cristo, che nato dal Padre è l’autore di tutti i tempi, nato da una madre ci dà la possibilità di celebrare questo giorno nel tempo. Nella prima nascita non ebbe bisogno di avere una madre, in questa nascita non cercò nessun padre. Però Cristo è nato e da un Padre e da una madre; e senza un padre e senza una madre; da un Padre come Dio, da una madre come uomo; senza madre come Dio, senza padre come uomo. Chi potrà narrare la sua generazione?: sia la prima generazione che fu fuori del tempo, sia la seconda, senza intervento d’uomo? la prima che fu senza inizio, la seconda, senza modello? la prima che fu sempre, la seconda che non ebbe né un precedente né un susseguente? la prima che non ha fine, la seconda che inizia dove termina?.

    Giustamente perciò i Profeti hanno preannunciato la sua futura nascita, mentre i cieli e gli angeli lo hanno annunciato già nato. Colui che sostiene il mondo intero giaceva in una mangiatoia: era un bambino ed era il Verbo. Il grembo di una sola donna portava colui che i cieli non possono contenere. Maria sorreggeva il nostro re, portava colui nel quale siamo, allattava colui che è il nostro pane. O grande debolezza e mirabile umiltà, nella quale si nascose totalmente la divinità! Sorreggeva con la sua potenza la madre dalla quale dipendeva in quanto bambino, nutriva di verità colei dal cui seno succhiava. Ci riempia dei suoi doni colui che non disdegnò nemmeno di iniziare la vita umana come noi; ci faccia diventare figli di Dio colui che per noi volle diventare figlio dell’uomo.

    Sant’Agostino Discorso 184

     

  • IV Domenica di Avvento

    Commento al Vangelo della IV Domenica di Avvento

    Lc 1, 39-48

    Anno C

     

    La quarta domenica di Avvento, ultima tappa del nostro cammino in preparazione al Natale, è una domenica le cui let­ture sono di una straordinaria ricchezza; in modo particolare lo è l’episodio del Vangelo, la visita di Maria ad Elisabetta.

    Questo episodio è di una poesia e di una profondità spiri­tuale densissima. In esso traspaiono tante cose, ma soprattutto viene subito in evidenza la gioia di Maria, una grande gioia e fe­de di Maria che culmina nel canto del Magnificat. È la gioia per il bambino che essa porta in grembo, Gesù fonte della gioia. È la gioia per la certezza che Dio salverà il mondo. Il bambino che essa porta in grembo è la prova del grande amore di Dio per il mondo, la certezza che Dio ama il mondo e lo vuole sal­vare. E la gioia e la certezza che tutto questo si realizzerà attra­verso di lei pur nella consapevolezza della sua umiltà.

    Questa gioia la vuole comunicare ad Elisabetta e natural­mente al bambino che essa porta in grembo, come anche a tut­to il mondo, perché Elisabetta qui sta a significare tutto il po­polo di Israele e tutta l’umanità.

    E questo il messaggio che il Vangelo di oggi vuole trasmet­tere a noi. Vuole farci partecipi della gioia di Maria e anche del­la sua certezza riguardante la salvezza del mondo. Tutti gli an­ni il Vangelo della quarta domenica di Avvento ci presenta un episodio attraverso il quale Dio vuole ravvivare in noi questa certezza dell’amore che Lui ha per il mondo.

    Pensiamo ad esempio al nostro mondo. È un mondo che fa paura, è un mondo che ha degli aspetti di immoralità, di violenza e di spirito di rivolta verso Dio veramente impressionan­ti, è un mondo che raggiunge il colmo della superbia e dell’or­goglio; eppure Dio lo ama lo stesso, lo ama sempre, Dio lo vuole salvare. E lo vuole salvare attraverso una comunità, un popolo nuovo, che sappia testimoniare la fede e l’amore di Maria. E questo popolo siamo noi, chiamati ad essere portato­ri di Gesù al mondo come lo è stato Maria. E questo noi lo po­tremo fare se sapremo vivere la parola e la grazia di Gesù co­me Maria.

    E qui viene spontaneo pensare ad un concetto fondamen­tale della vita cristiana (sul quale purtroppo si riflette molto po­co) e cioè che la vita della grazia, la vita di Gesù in noi, se c’è, si comunica e si irradia immancabilmente attorno a noi. Il brano evangelico di oggi ci dice che Elisabetta ha avvertito la pre­senza di Gesù in Maria al suo saluto ed anche il bambino che essa portava in grembo lo ha avvertito. Questo dettaglio molto delicato si presta assai bene per dirci che anche noi siamo chia­mati ad essere portatori di Gesù al mondo. In altre parole an­che gli altri, quelli che ci accosteranno, che noi incontreremo, con i quali entreremo in rapporto, avvertiranno la presenza di Gesù se c’è in noi, se vive in noi attraverso la grazia e la sua pa­rola vissuta.

    Volendomi spiegare con un esempio preso da una espe­rienza, che forse anche voi avete fatto, quando noi leggiamo le parole, lo scritto di un’anima che ha veramente vissuto il van­gelo (pensate a persone che voi avete conosciuto e che sono morte in concetto di santità), noi rimaniamo scossi e toccati, non possiamo rimanere indifferenti. Attraverso quello scritto è Gesù presente in quella anima che si comunica a noi. E questo Gesù lo opera anche attraverso ognuno di noi nella misura in cui Gesù vive dentro di noi.

    Oggi il mondo ha sempre più bisogno di cristiani i quali siano portatori di Gesù. Gesù lo si comunica con la vita prima ancora che con i discorsi e le belle parole.

    Pensiamo a quello che avverrebbe se la comunità cristiana vivesse di più, quali effetti avrebbe sul mondo.

    E questo l’appello che ci viene da Maria: quello cioè di vivere la parola di Gesù e la sua grazia come Lei in modo che il mondo circostante senta la presenza di Gesù.

  • III Domenica di Avvento

    Commento al Vangelo della III Domenica di Avvento

     Lc 3, 10-18

    Anno C

     

    Domenica scorsa la liturgia richiamava la nostra attenzione su quell’aspetto del messaggio del Battista col quale egli invita­va il popolo alla conversione: «Preparate la via del Signore, rad­drizzate i suoi sentieri! Ogni burrone sia riempito, ogni monte e ogni colle sia abbassato» (Lc 3,4-5); cioè ci invitava a toglie­re dal proprio cuore tutti quegli ostacoli interiori, quelle passio­ni, attaccamenti a se stessi, tutte quelle tendenze disordinate che spingono al peccato.

    Oggi, ancora attraverso la figura del Battista, la Chiesa sot­tolinea un altro aspetto del suo messaggio, cioè quello esterio­re, quello della concretezza nel vivere il comandamento del­l’amore: i frutti concreti dell’amore di Dio e del prossimo, quel­li che si vedono. Il Vangelo ci dice che la gente nell’ascoltare il Battista era molto scossa dalle sue parole. Era non soltanto la gente comune ma anche militari, soldati (perché allora la Palestina era sotto l’occupazione romana) ed erano anche dei pubblicani (funzionari che riscuotevano le imposte per conto dell’autorità romana).

    Il Battista a tutte queste persone dava una risposta corri­spondente alla loro condizione di vita oppure al loro ruolo nella società. Ad esempio, ai soldati che gli chiedevano cosa avrebbero dovuto fare rispondeva: «Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno, contentatevi delle vostre paghe» (Lc 3, 14); cioè li esortava ad evitare quei peccati ai quali, a motivo della loro funzione, erano maggiormente esposti (violenza verso le persone, furti, rapine, ecc.). E ai pubblicani, che erano venuti anch’essi per farsi battezzare, il Battista rispondeva: «Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato» (Lc 3,13); in altre parole chiedeva loro di evitare quel peccato in cui più facilmente potevano cadere (l’ingiustizia nell’amministrazione del potere, l’avvalersi di una posizione di forza per approfitta­re della debolezza dei semplici cittadini). Il Battista chiedeva dunque a queste due categorie di persone, figure emblematiche di tutte quelle che occupano una posizione di potere e di gran­de responsabilità nella società, quella che era la prima forma di carità: esercitare il proprio compito con spirito di servizio al prossimo.

    Ma lasciamo da parte queste due categorie particolari di persone e veniamo alla prima, cioè quella del popolo, nella qua­le anche noi ci ritroviamo. A tutte queste persone molto sem­plici, che gli chiedevano «Che cosa dobbiamo fare?», il Battista rispondeva: «Chi ha due tuniche, ne dia una a chi non ne ha; e chi ha da mangiare, faccia altrettanto» (Lc 3, 11). In sostanza egli rispondeva a tutte queste persone richiamandole al compi­mento di tutte quelle opere di misericordia corporali (dar da mangiare agli affamati, vestire gli ignudi, ecc.) che sarebbero state poi raccomandate dalla Chiesa e che possiamo vedere già qui espresse e riassunte nelle due indicate da Giovanni. Attra­verso il compimento di queste opere di misericordia il Battista educava il popolo a sviluppare quell’amore del prossimo, che sarebbe stato poi il centro dell’insegnamento morale di Gesù. Quando Gesù sarebbe venuto, avrebbe spiegato che ogni no­stro prossimo, essendo creato da Dio, è nostro fratello; avreb­be rivelato che siamo stati creati in dono l’uno per l’altro, a im­magine di Dio che è Amore. Abbiamo inscritto nel nostro san­gue la legge divina dell’amore. Quando Gesù sarebbe venuto in mezzo a noi, lo avrebbe rivelato con chiarezza attraverso il suo comandamento nuovo: «Amatevi l’un l’altro come io ho amato voi» (Gv 13,34). Sarà la legge del Cielo, la vita della Santissima Trinità portata sulla terra, il cuore del Vangelo. È questo l’insegnamento che la Chiesa vuole ricordare oggi a noi attraverso la figura del Battista: prepararsi al Natale attra­verso un amore concreto, un amore fatto di opere buone, opere di misericordia. E qui è sufficiente guardarci attorno soltanto un poco per renderci conto delle innumerevoli occasioni che ci vengono offerte per vivere concretamente il nostro amore verso Dio e verso il prossimo; per sentire nostri i bisogni del nostro prossimo: a qualcuno manca il lavoro? Manca a me; altri hanno fame? E come se io avessi fame e cerco quindi di procurar loro il cibo come farei per me stesso. E l’esperienza dei primi cristia­ni di Gerusalemme. E l’insegnamento dei Padri della Chiesa: «All’affamato appartiene il pane che metti in serbo; all’uomo nudo il mantello che conservi nei tuoi bauli» (san Basilio di Cesarea). «Ciò che è superfluo per i ricchi appartiene ai pove­ri» (sant’Agostino). È questa la forma di penitenza e di mortifi­cazione corporale e spirituale che la Chiesa ci suggerisce per prepararci meglio all’incontro con Gesù nel Natale.

    In passato si faceva precedere il Natale con un giorno di digiuno materiale. Con il Vangelo di oggi la Chiesa ci suggeri­sce una forma moderna, ancora più bella, perché più evangeli­ca, di digiuno; quella di una maggiore sensibilità, maggiore solidarietà, maggiore donazione ai nostri fratelli, e non in modo astratto e sentimentale, ma in modo concreto. Ci invita ad ono­rare l’umanità, cioè l’incarnazione di Gesù, testimoniando con la nostra vita quel sentimento di umanità - rispetto e amore per l’uomo - che lui ha portato nel mondo, soprattutto oggi che viene tanto a mancare.

     

  • Natale 2012

    ~ S. NATALE 2012 ~

      

    Nella notte profonda risuona una voce.

    “Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce ………. una luce rifulse……… un bambino è nato per noi....... ci è stato dato un figlio……. il suo nome è consigliere mirabile………principe della pace.

    E’ Cristo Signore, è l’Emmanuele, il Dio con noi.

    Natale è il manifestarsi di Dio.

    Venite, adoriamo!”

    Rivolgiamoci al Bambino di Betlemme, al Figlio della Vergine Maria e diciamo: “Vieni a salvarci”.

                                                                  (Benedetto XVI)

     

    Unitamente a questo programma  giunga a tutte le famiglie, affettuoso e cordiale, l’augurio di Sante Feste Natalizie, di Felice Nuovo Anno, con prosperità, salute e pace.

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  • II Domenica di Avvento

    Commento al Vangelo della II Domenica di Avvento Lc 3, 1-6

    Anno C

     

    La domenica scorsa, come si è visto, è stata piuttosto un’in­troduzione all’anno liturgico. Con questa seconda domenica, invece, la liturgia ci fa entrare pienamente nel tempo di prepa­razione al Natale. E sappiamo che questa solennità, per la Chiesa, non è una semplice commemorazione storica della nascita di Gesù, ma vuole farci prendere sempre più coscienza del mistero dell’Incarnazione: il Figlio di Dio si è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi. E sappiamo anche che que­sta solennità, dato il posto fondamentale che essa occupa nel­l’anno liturgico, è accompagnata da una grazia speciale per far crescere sempre più Gesù in noi ed il nostro rapporto persona­le con Lui.

    Ma in che cosa consisterà questa preparazione? Nel rimuo­vere dal nostro cuore tutti quegli ostacoli che ci impedirebbero di raccogliere questi frutti di grazia. La liturgia ci aiuta attraver­so due modelli e due guide eccezionali: la figura di Maria (la cui celebrazione cade sempre l’8 dicembre) e la figura del Battista (vista da due angolazioni diverse) rispettivamente nella secon­da e terza domenica di Avvento. Giovanni il Battista è l’ultimo dei grandi profeti suscitato da Dio precisamente per preparare il suo popolo alla venuta del Signore.

    Viene subito in evidenza il taglio col quale l’evangelista introduce la figura del Battista: «Nell’anno decimoquinto del­l’imperatore Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governa­tore della Giudea..., sotto i sommi sacerdoti Anna e Caifa la parola di Dio scese su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto».

    In questo modo l’evangelista vuole senz’altro inquadrare storicamente l’inizio dell’era nuova, ma soprattutto vuole richiamare la nostra attenzione sulle vie scelte da Dio per por­tare a compimento il suo disegno di salvezza. Quelle di Dio non sono mai le vie del potere, sia esso politico o religioso rappre­sentati nel nostro caso dall’imperatore romano e dai sommi sacerdoti in Gerusalemme. Dio non si serve mai dei grandi e dei potenti di questo mondo, ma dei piccoli, degli umili e dei semplici, attenti e docili alla voce della sua parola.

    Il Battista non è uno cresciuto, come dirà Gesù, nelle corti dei principi e nemmeno presso le grandi scuole degli scribi, ma è uno che ha lasciato tutto, ogni agiatezza, e si è ritirato nel deserto per seguire Dio solo. Ora è nel deserto che lo Spirito Santo lo prepara alla sua missione, la più grande dopo quella di Maria. E dai Vangeli sappiamo con quale forza e coraggio egli avrebbe annunziato la volontà di Dio a tutti - non esclusi i capi politici e religiosi - fino al martirio.

    Già questi rilievi potrebbero suggerirci tante cose. Prima tra tutte il valore della fedeltà alla volontà di Dio come via per diventare strumenti del suo disegno di amore.

    La lettura evangelica, poi, ci riporta in sintesi estrema l’at­tività del Battista ed il contenuto della sua predicazione: «Preparate le vie del Signore, raddrizzate i suoi sentieri, ogni burrone sia riempito, ogni monte ed ogni colle sia abbassa­to...». Sono le parole con le quali il Battista prepara il popolo alla venuta del Signore.

    E qui ci viene suggerita un’altra considerazione. A diffe­renza di certe correnti religiose dominanti, le quali insistevano su un’osservanza della legge mosaica rigida e senza amore, il Battista nella sua predicazione va alla radice del problema: il cambiamento del cuore. Si tratta di togliere dal proprio cuore tutti quegli ostacoli che possono impedire di riconoscere e di accogliere il Signore. Ed in questo modo, il Battista prepara la strada a Gesù, per il quale il cambiamento interiore dell’uomo

    sarà il punto di partenza e la condizione indispensabile per la costruzione del suo Regno.

    Facendo suo l’appello pressante del Battista, la Chiesa og­gi si rivolge anche a noi e vuole prepararci alla festa del Natale. È un invito a guardare lealmente dentro di noi, per togliere tut­ti quei difetti, vizi, o tendenze cattive che ancora ci fossero: af­fermazione di sé, superficialità, mediocrità, egoismo nelle sue varie forme, consumismo, individualismo, violenza, indifferen­za, disunità tra i cristiani, insofferenza verso tutte le circostan­ze dolorose, in una parola tutto ciò che si contrappone a quel regno di giustizia e di amore che Gesù vorrebbe costruire nel mondo attraverso di noi.

    Certamente con le sole nostre forze non saremmo mai capaci di sradicare questi difetti dal nostro cuore. E un lavoro che soltanto Gesù può compiere con la sua grazia. Ed è appun­to quello che egli vuol fare, ovviamente alla condizione che noi vogliamo cooperare con lui facendo bene la nostra parte.

    Il Vangelo ci insegna che il primo modo per dimostrare questa nostra buona volontà è la preghiera umile e fiduciosa, con la quale anche nella colletta di questa domenica egli ci incoraggia a chiedere la grazia necessaria per vivere bene la nostra vita cristiana.

     

  • Preghiera Mariana

    Preghiera Mariana

     

    Lasciamoci guidare dalle parole di Gabriele,

    cittadi­no del cielo, e diciamo:

  • I Domenica di Avvento

    Commento al Vangelo della I Domenica di Avvento

    Lc 21, 25-28.34-36

    Anno C

     

    Nel Vangelo Gesù annuncia segni terribili, un tempo di ango­scia: «Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle [...] e gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà ac­cadere sulla terra». Cioè, ci sarà un tempo di sconvolgimento tremendo: le potenze dei cieli saranno sconvolte.

    In queste circostanze Gesù c’invita a non spaventarci, ma a es­sere fiduciosi e pieni di speranza. Dice: «Quando cominceranno ad accadere queste cose, alzatevi e levate il capo, perché la vostra liberazione è vicina».

    Si tratta dunque di eventi che accompagnano una liberazione. Noi non siamo fatti per vivere sempre attaccati ai beni della ter­ra: dobbiamo essere liberati, per vivere nella libertà dell’amore, nella libertà di una vita generosa.

    Noi cristiani abbiamo tutti i motivi per essere ottimisti, anche se le cose vanno male. Sappiamo che in tutte le circostanze Cristo interviene, in modo misterioso ma efficace, per la nostra salvez­za e la nostra liberazione.

    Gesù poi aggiunge degli ammonimenti importanti: «State be­ne attenti che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazio­ni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso improvviso». È necessario vegliare, per essere preparati.

    Nel mondo d’oggi ci sono tante occasioni di distrazioni, e an­che di eccessi. Tutti sappiamo che la droga causa enormi danni a tante vite umane, che vengono rovinate, nella ricerca di un’ecci­tazione sensazionale. Ci sono altri mali, che provengono da altri eccessi: ad esempio, l’alcolismo, un male che dilaga nel mondo; la ricerca del piacere sessuale, che mette il disordine in tante esi­stenze e nelle famiglie. Perciò dobbiamo essere attenti, evitare di seguire una via sbagliata, che porta alla perdizione.

    Noi siamo amati dal Signore. Per questo dobbiamo risponde­re al suo amore con riconoscenza e con fedeltà. Non dobbiamo ave­re nessun motivo di sfiducia, d’inquietudine; al contrario, siamo certi di poter sfuggire a tutto ciò che dovrà accadere, perché, uni­ti a Cristo, abbiamo la forza di superare tutte le difficoltà.

    Questo è l’orientamento fondamentale della nostra vita, a cui dobbiamo sempre ritornare. Il comandamento di Dio è il coman­damento dell’amore vicendevole («Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amati»), e la grazia ci spinge a crescere nell’amore, ad ab­bondare in esso.

    Dobbiamo avere l’ambizione di far sovrabbondare l’amore. Quando incontriamo delle difficoltà, invece d’indietreggiare, dob­biamo andare avanti e trovare il modo di superarle. Dobbiamo su­perare anche le ostilità per mezzo di un amore generoso, basato sulla grazia di Dio.

    L’amore è innanzitutto quello vicendevole tra figli di Dio di­ventati tali nel battesimo e che vivono a partire dall’Eucaristia, che mette in loro la vita divina. Ma l’amore dev’essere rivolto a tutti, anche ai non cristiani, ai non credenti, e anche a quelli che ci fanno del male. Dobbiamo cercare di con­tribuire alla loro salvezza.

    Il tempo di Avvento è un tempo di crescita nell’amore universale e nell’amore missionario.

    Non pos­siamo accontentarci di un livello di vita spirituale mediocre, ma dobbiamo cercare di raggiungere la perfezione nella santità, che è una santità di amore. Questo vuol dire che l’amore è ispirato e guidato da Dio stesso, nel modo che piace a lui, cioè nel modo dell’amore disinteressato, generoso, puro.

    Allora non dovremo avere paura, ma potremo essere tranquil­li nel momento della venuta del Signore nostro Gesù Cristo.

    Iniziamo l’Avvento con queste prospettive molto dinamiche. Il Signore viene, viene per salvare; ma verrà anche un giorno co­me giudice, e noi dobbiamo essere sempre pronti, per ottenere da lui la salvezza, e non la condanna.

    Dobbiamo essere attenti a vivere veramente la vita cristiana, evitando di vivere una vita materialistica, consumistica, nella quale i cuori si appesantiscono in «dissipazioni, ubriachezze e af­fanni della vita». Dobbiamo invece vivere generosamente nell’amo­re, docili alla grazia di Dio, che ci spinge ad abbondare nell’amo­re vicendevole (nella famiglia, nella parrocchia ecc.) e nell’amo­re universale. Questo è possibile, se siamo uniti al cuore di Gesù, che è pieno di amore universale. Così ci prepareremo bene al Natale, che recherà a tutti noi una grande gioia.

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