• image
Previous Next
Filtro
  • Miracolo di Natale!

  • Visita il Presepe!

  • PROGRAMMA AVVENTO NATALE 2019

  • Appuntamenti natalizi 2018/2019

  • Cresima 25/11/2018

                                  AUGURI AI RAGAZZI CHE HANNO RICEVUTO

                              IL SACRAMENTO DELLA CONFERMAZIONE!

  • 31 Dicembre 2017; Santa Famiglia

    Santa Famiglia

    Letture: Genesi 15,1-6; 21,1-3; Salmo 104; Ebrei 11,8.11-12.17-19; Luca 2,22-40

    Anno B

     

    Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, [Maria e Giuseppe] portarono il bambino [Gesù] a Gerusalemme per presentarlo al Signore – come è scritto nella legge del Signore: «Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore» – e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o due giovani colombi, come prescrive la legge del Signore. Ora a Gerusalemme c'era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d'Israele, e lo Spirito Santo era su di lui. Lo Spirito Santo gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore. [...]

     

    Maria e Giuseppe portarono il Bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore. Una giovanissima coppia col suo primo bambino arriva portando la povera offerta dei poveri, due tortore, e la più preziosa offerta del mondo: un bambino.
    Non fanno nemmeno in tempo a entrare che subito le braccia di un uomo e di una donna si contendono il bambino. Sulle braccia dei due anziani, riempito di carezze e di sorrisi, passa dall'uno all'altro il futuro del mondo: la vecchiaia del mondo che accoglie fra le sue braccia l'eterna giovinezza di Dio.
    Il piccolo bambino è accolto non dagli uomini delle istituzioni, ma da un anziano e un'anziana senza ruolo ufficiale, però due innamorati di Dio che hanno occhi velati dalla vecchiaia ma ancora accesi dal desiderio. Perché Gesù non appartiene all'istituzione, ma all'umanità. L'incarnazione è Dio che tracima dovunque nelle creature, nella vita che finisce e in quella che fiorisce.
    «È nostro, di tutti gli uomini e di tutte le donne. Appartiene agli assetati, a quelli che non smettono di cercare e sognare mai, come Simeone; a quelli che sanno vedere oltre, come la profetessa Anna; a quelli capaci di incantarsi davanti a un neonato, perché sentono Dio come futuro» (M. Marcolini).
    Lo Spirito aveva rivelato a Simeone che non avrebbe visto la morte senza aver prima veduto il Messia. Sono parole che lo Spirito ha conservato nella Bibbia perché io, noi, le conservassimo nel cuore: anche tu, come Simeone, non morirai senza aver visto il Signore. È speranza. È parola di Dio. La tua vita non finirà senza risposte, senza incontri, senza luce. Verrà anche per te il Signore, verrà come aiuto in ciò che fa soffrire, come forza di ciò che fa partire.
    Io non morirò senza aver visto l'offensiva di Dio, l'offensiva del bene, l'offensiva della luce che è già in atto dovunque, l'offensiva del lievito.
    Poi Simeone canta: ho visto la luce da te preparata per tutti. Ma quale luce emana da Gesù, da questo piccolo figlio della terra che sa solo piangere e succhiare il latte e sorridere agli abbracci? Simeone ha colto l'essenziale: la luce di Dio è Gesù, luce incarnata, carne illuminata, storia fecondata, amore in ogni amore. La salvezza non è un opera particolare, ma Dio che è venuto, si lascia abbracciare dall'uomo, è qui adesso, mescola la sua vita alle nostre vite e nulla mai ci potrà più separare.
    Tornarono quindi alla loro casa. E il Bambino cresceva e la grazia di Dio era su di lui. Tornarono alla santità, alla profezia e al magistero della famiglia, che vengono prima di quelli del tempio. Alla famiglia che è santa perché la vita e l'amore vi celebrano la loro festa, e ne fanno la più viva fessura e feritoia dell'infinito.

  • 24 Dicembre 2017: IV Domenica di Avvento

    IV Domenica di Avvento

    Letture: 2 Samuele 7,1-5.8-12.14.16; Salmo 88; Romani 16,25-27; Luca 1,26-38

    Anno B

     

    In quel tempo, l'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Rallègrati, piena di grazia: il Signore è con te». A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L'angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine» (....). Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l'angelo si allontanò da lei.

     

    Con il movimento tipico di una cinepresa, il racconto del Vangelo parte dall'infinito del cielo e restringe progressivamente il campo, come in una lunga carrellata, fino a mettere a fuoco un villaggio, una casa, una ragazza. In mezzo, sette nomi propri: Gabriele, Dio, Galilea, Nazaret, Giuseppe, Davide, Maria. Il numero 7 indica la totalità della vita, il brulichio instancabile della vita, ed è lì che Dio viene. In un sesto mese segnato sul calendario della vita, il sesto mese di una vita nuova dentro Elisabetta.
    Il cristianesimo non inizia nel tempio ma in una casa. Alla grande città Dio preferisce un polveroso villaggio mai nominato prima nella Bibbia, alle liturgie solenni dei sacerdoti preferisce il quotidiano di una ragazzina adolescente. Dio entra nel mondo dal basso e sceglie la via della periferia. Un giorno qualunque, in un luogo qualunque, una giovane donna qualunque: il primo annuncio di grazia del Vangelo è consegnato nella normalità di una casa. Qualcosa di colossale accade nel quotidiano, senza testimoni, lontano dalle luci e dalle liturgie solenni del tempio.
    Nel dialogo, l'angelo parla per tre volte, con tre parole assolute: "rallegrati", "non temere", "verrà la Vita". Parole che raggiungono le profondità di ogni esistenza umana. Maria risponde consegnandoci l'arte dell'ascolto, dello stupore colmo di domande, e dell'accoglienza.
    Gioia è la prima parola. E non un saluto rispettoso, ma quasi un ordine, un imperativo: «rallegrati, esulta, sii felice». Parola in cui vibra un profumo, un sapore buono e raro che tutti, tutti i giorni, cerchiamo: la gioia. L'angelo non dice: prega, inginocchiati, fa' questo o quello. Ma semplicemente: apriti alla gioia, come una porta si apre al sole. Dio si avvicina e porta una carezza, Dio viene e stringe in un abbraccio, viene e porta una promessa di felicità.
    Sei piena di grazia. Sei riempita di Dio, Dio si è chinato su di te, si è innamorato di te, si è dato a te e ti ha riempita di luce. Ora hai un nome nuovo: Amata-per-sempre. Teneramente, liberamente, senza rimpianti amata.
    Quel suo nome è anche il nostro: buoni e meno buoni, ognuno amato per sempre. Piccoli o grandi, ognuno riempito di cielo. Come Maria, che è "piena di grazia" non perché ha risposto "sì" a Dio, ma perché Dio per primo le ha detto "sì". E dice "sì" a ciascuno di noi, prima di qualsiasi nostra risposta. Perché la grazia sia grazia e non merito o calcolo. Dio non si merita, si accoglie.
    Dio cerca madri, e noi, come madri amorevoli, come frammenti di cosmo ospitali, aiuteremo il Signore ad incarnarsi e ad abitare questo mondo, prendendoci cura della sua parola, dei suoi sogni, del suo vangelo fra noi.

  • 17 Dicembre 2017: III Domenica di Avvento

    III Domenica di Avvento

    Letture: Isaia 61,1-2.10-11; Luca 1, 46-54; 1 Tessalonicesi 5,16-24; Giovanni 1,6-8.19-28

    Anno B

     

    Venne un uomo mandato da Dio: il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui. Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce. Questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e levìti a interrogarlo: «Tu, chi sei?». Egli confessò e non negò. Confessò: «Io non sono il Cristo». Allora gli chiesero: «Chi sei, dunque? Sei tu Elia?». «Non lo sono», disse. «Sei tu il profeta?». «No», rispose. Gli dissero allora: «Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?». Rispose: «Io sono voce di uno che grida nel deserto: Rendete diritta la via del Signore, come disse il profeta Isaìa». Quelli che erano stati inviati venivano dai farisei. Essi lo interrogarono e gli dissero: «Perché dunque tu battezzi, se non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?». Giovanni rispose loro: «Io battezzo nell'acqua. In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, colui che viene dopo di me: a lui io non sono degno di slegare il laccio del sandalo». Questo avvenne in Betània, al di là del Giordano, dove Giovanni stava battezzando.

     

    Venne Giovanni, mandato da Dio, per rendere testimonianza alla luce. «Il più grande tra i nati da donna», come lo definisce Gesù, è mandato come testimone, dito puntato a indicare non la grandezza, la forza, l'onnipotenza di Dio, bensì la bellezza e la mite, creativa pazienza della sua luce. Che non fa violenza mai, che si posa sulle cose come una carezza e le rivela, che indica la via e allarga gli orizzonti.
    Il profeta è colui che guida l'umanità a «pensare in altra luce» (M. Zambrano).
    E lo può fare perché ha visto fra noi la tenda di uno che «ha fatto risplendere la vita» (2 Timoteo 1,10): è venuto ed ha portato nella trama della storia una bellezza, una primavera, una positività, una speranza quale non sognavamo neppure; è venuto un Dio luminoso e innamorato, guaritore del disamore, che lava via gli angoli oscuri del cuore. Dopo di lui sarà più bello per tutti essere uomini.
    Giovanni, figlio del sacerdote, ha lasciato il tempio e il ruolo, è tornato al Giordano e al deserto, là dove tutto ha avuto inizio, e il popolo lo segue alla ricerca di un nuovo inizio, di una identità perduta. Ed è proprio su questo che sacerdoti e leviti di Gerusalemme lo interrogano, lo incalzano per ben sei volte: chi sei? Chi sei? Sei Elia? Sei il profeta? Chi sei? Cosa dici di te stesso?
    Le risposte di Giovanni sono sapienti, straordinarie. Per dire chi siamo, per definirci noi siamo portati ad aggiungere, ad elencare informazioni, titoli di studio, notizie, realizzazioni. Giovanni il Battista fa esattamente il contrario, si definisce per sottrazione, e per tre volte risponde: io non sono il Cristo, non sono Elia, non sono... Giovanni lascia cadere ad una ad una identità prestigiose ma fittizie, per ritornare il nucleo ardente della propria vita. E la ritrova per sottrazione, per spoliazione: io sono voce che grida. Solo voce, la Parola è un Altro. Il mio segreto è oltre me. Io sono uno che ha Dio nella voce, figlio di Adamo che ha Dio nel respiro. Lo specifico della identità di Giovanni, ciò che qualifica la sua persona è quella parte di divino che sempre compone l'umano.
    «Tu, chi sei?» È rivolta anche a noi questa domanda decisiva. E la risposta consiste nello sfrondare da apparenze e illusioni, da maschere e paure la nostra identità. Meno è di più. Poco importa quello che ho accumulato, conta quello che ho lasciato cadere per tornare all'essenziale, ad essere uno-con-Dio. Uno che crede in un Dio dal cuore di luce, crede nel sole che sorge e non nella notte che perdura sul mondo. Crede che una goccia di luce è nascosta nel cuore vivo di tutte le cose.

  • Natale 2017/2018

  • Inaugurazione e Benedizione del Presepe 7 Dicembre 2017

    {gallery}presepe2017{/gallery}

Sul Web

GRUPPO FACEBOOK


CANALE YOUTUBE

Liturgia del Giorno

Santo del Giorno

Sono le.... del...

Rome