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Commento alle Letture della IV Domenica di Pasqua

 

Gesù buon pastore

Commento alle letture della quarta domenica di Pasqua

Anno B

 

            La quarta domenica di Pasqua è anche detta la “domenica del buon Pastore”, le letture, che la Chiesa ci propone in questo giorno, ci invitano a riflettere sulla resurrezione di Cristo, sul mistero pasquale e sulle conseguenze che questo ha sulla nostra vita quotidiana.

            Il Vangelo di questa settimana è molto conosciuto, per questo si corre il rischio di non lasciarsi interrogare dalle parole di Gesù e di non riflette seriamente su cosa lui voglia dirci oggi e sulla nostra vita, infatti, la tentazione di dire “già lo conosco, so di cosa parla e cosa il Signore vuole dirmi” fa chiudere il nostro cuore.

            Prima di iniziare a meditare insieme questo brano del vangelo, penso sia necessario ricordare che dobbiamo leggerlo alla luce della Pasqua, illuminati dalla resurrezione di Cristo, infatti il buon Pastore dice “do la mia vita [per le pecore] per poi riprenderla”.

            Ma chi è il buon Pastore?

            L’immagine del pastore è ben conosciuta nel mondo biblico, fa parte dell’esperienza quotidiana di Israele, che in larga parte vive di pastorizia, ed è l’esperienza di un allevamento del gregge non di tipo industriale, ma di solito il pastore ha un piccolo gregge, poche pecore, e comunque anche quando sono tante è il pastore che si prende cura di loro, che instaura in qualche modo con loro un rapporto privilegiato, il pastore è quello che sta attento alle sue pecore, che si prende cura della debole, che fascia la ferita, sta attento a che quella troppo forte non prenda il sopravvento su quelle più deboli. Insomma la relazione del pastore con le pecore è una relazione che finisce per diventare affettiva, al punto che il pastore le sue pecore le chiama tutte per nome, e le pecore riconoscono la sua voce, c’è qualche cosa del rapporto che non è semplicemente il rapporto utilitaristico, ma è fondamentalmente vivere con loro ventiquattro ore su ventiquattro, e averle sempre lì, e quindi affezionarsi; vedere come sono diverse una dall’altra, accorgersi che c’è quella che tende ad andarsene per conto suo e allora bisogna tenerla un po’ più d’occhio, c’è quella che prende il sopravvento sulle altre e allora bisogna difendere le deboli, c’è quella che è più carina e quella che è meno.

            Il pastore non è quello che fa la sua strada; il pastore costruisce la propria strada su ciò di cui le pecore hanno bisogno. L’esperienza che si fa nel pascolare le pecore è che loro sono l’elemento prioritario, e che dunque il pastore è al servizio delle pecore e non viceversa, così che nella conduzione del gregge il pastore sceglie il cammino, non quello che è più comodo per lui, ma quello che è più giusto, più adatto per le pecore, anche quando come ci dice il Salmo 23: “dovessi camminare per una valle oscure”.

            L’immagine del pastore, come abbiamo detto, evoca anche l’immagine del camminare, dell’essere condotti da lui anche verso l’ignoto, dentro a quel buio che spaventa; sono le pecore che camminano, e le pecore, come tutti gli animali - al meno gli animali che non sono decisamente notturni - del buio hanno paura. Queste pecore siamo noi, e anche per noi il buio è l’ignoto fanno paura, e quando poi addirittura questo buio ha dentro di sé il suono della morte allora è il terrore.

            La presenza del Pastore, di Gesù buon Pastore, diventa una presenza che in qualche modo mette in fuga le tenebre, mette in fuga la morte, e perciò mette in fuga la paura che l’uomo ha delle tenebre e della morte. L’esperienza della presenza di Dio permette di attraversare la morte senza più temere, perché il Signore ha preso su di sé il peccato e la morte, e nella sua morte e resurrezione li ha distrutti, li ha sconfitti per sempre facendoci scoprire di nuovo la bellezza e la dignità dell’essere figli di Dio, infatti “vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente!”, come ci dice la seconda lettura di oggi.

            Ma accanto alla figura del Pastore il Vangelo ci presenta altre figure, quella dei lupi e quella del mercenario. Il lupo è il peccato e il male che è sempre in agguato, che è alla porta del nostro cuore e vuole entrare per distruggere la nostra vita e la nostra esistenza, per ucciderci non solo fisicamente, ma spiritualmente, togliendo dalla nostra esistenza l’amore e la speranza, facendoci vivere alla giornata senza ideali e senza futuro: “se non agisci bene, il peccato è accovacciato alla tua porta; verso di te è il suo istinto” (Gen 4,7), ma noi, possiamo dominarlo come dice Dio a Caino, possiamo vivere come figli della luce.

            La seconda figura è quella del mercenario, che non è pastore, ma utilizza le pecore per un suo tornaconto, per un guadagno personale: non le ama, non sono la sua vita, e di fronte al pericolo e alla morte il mercenario fugge, lasciando in balia del male il suo gregge, invece come abbiamo visto, il pastore dona la vita per il bene delle proprie pecore.

            Tante volte nella nostra vita siamo circondati da tante voci, siamo frastornati, confusi, ma anche spaventati e incerti su come vivere. Ci capita di non riuscire ad ascoltare, o peggio di non voler ascoltare la voce del Pastore, perché pensiamo, erroneamente, che quello che Gesù ci chiede, ci dice, ci corregge non è veramente per il nostro bene e per la nostra felicità. Allora ci troviamo a prestare ascolto e attenzione alla voce del mercenario, scegliamo di seguire colui che non ci ama, ma ci illude nella menzogna. Quando seguiamo queste voci, cadiamo nel peccato e nella morte del cuore, spesso anche nella disperazione di credere che per noi non c’è più speranza, oggi il Signore viene a gridare con forza al nostro cuore il suo amore per noi, il perdono dei peccati e il dono della vita per tutti coloro che ascoltano la sua voce e permettono a Gesù buon Pastore di prendersi cura di loro e di lasciarsi prendere sulle sue spalle quando sono lontani e persi, infatti “ritrovata [la pecorella smarrita], se la mette in spalla tutto contento, va a casa, chiama gli amici e i vicini dicendo: Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora che era perduta. Così, vi dico, ci sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione” (Lc 15,5-7).

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