2 Marzo: VIII Domenica del Tempo Ordinario
Commento al Vangelo dell'VIII Domenica del Tempo Ordinario
Mt 6, 24 - 34 Anno A
Con l'orecchio al cuore di Dio e la mano al ritmo del mondo. D'altronde cosa dovrebbe fare un maestro - stavolta addirittura assorto al rango di Rabbì, quello Nazareno - se non rammentare all'uomo la sua capacità d'infinito? Ch'è poi la preoccupazione delle preoccupazioni, quella che c'impedisce di gustare persino le piccole conquiste del quotidiano: provvisorie, limitate, però cagione di qualche sprazzo di consolata consolazione. Perché tante cose - le essenze del cuore, gli spazi dell'animo, gli angoli della speranza - sembrano essere difficili persino da gustare: "chissà quanto dureranno" - è la domanda con la quale ne diamo il benvenuto. E così il presente diventa un logorante inseguimento di ciò che non c'è, di ciò che c'è stato, di ciò che potrebbe essere. Che chiede come credito inabilità d'assaporare i piccoli attimi del quotidiano. Torna all'attacco il Vangelo, quasi che questa - per l'ennesima volta in oltre due millenni di stimolo - possa davvero essere la volta buona: "Non preoccupatevi dunque dicendo: "Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo? Di tutte queste cose vanno in cerca i pagani. Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno". Non è l'invito di uno sprovveduto mercante d'illusioni: oltre trent'anni nella stamberga di Nazareth - chino a dar di colpo alla pialla del padre - gli son serviti a gustare la fatica del quotidiano, l'angoscia del daffare e del da farsi, la preoccupata mestizia delle sere in cui il lavoro calava. In cui la disoccupazione avanzava a passi lenti e inesorabili verso la porta di casa. Il suo non è un incitamento a non pensare al futuro, ma un incoraggiamento ancor più ardito. Ardito al punto tale che nessuno c'era mai arrivato prima: il futuro si costruisce favorendo il tempo presente. Il tempo della ferialità e del quotidiano, del sudore e del gaudio, delle gesta abitudinarie e dei sogni da inseguire: Dio entra sempre nelle vesti della pochezza. Nel piccolo - ch'è poi il presente di ogni cosa - Cristo legge il grande, ch'è poi l'altro nome dell'Eterno. D'Iddio stesso.
Parlano i gigli del campo, lo attestano gli uccelli del Cielo, ne fa memoria l'Uomo dei Vangeli: vivere il presente da protagonisti è la miglior forma per pensare il proprio futuro. Ancor oltre: per iniziare a favorirlo, per dare il via alla sua realizzazione, per essere il cambiamento che ciascuno di noi sogna di vedere nel mondo. E' l'annuncio sorprendente e inaspettato del Cielo: l'Eterno si gioca nel tempo, il futuro si gioca nel presente, il domani si prepara nell'oggi: "Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta". Ch'è poi la grande truffa di Lucifero e il grande cruccio del Cielo: ad inseguire Mammona - con tutti i suoi figli assieme a lui - non è poi così grande la gloria che da esso si guadagna, a seguire il Cielo è forse la consolazione del cuore quella che si riceve in cambio: "Sei protagonista della tua salita; questa è la condizione indispensabile! Troverai la mano tesa di chi ti vuol aiutare, ma nessuno può fare la salita al posto tuo" (Papa Francesco, Ospedale Sao Francisco de Assis na Providenzia). La consolazione di non essere in balìa del Nulla: "Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se costoro si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai". Mai: oggi, ma anche domani, sempre. Perché ti sei fidato di Me, ti sei affidato a Me, Mi hai reso un Dio affidabile, prendendoti gioco l'inaffidabilità di Lucifero.
Del domani il Vangelo trasuda curioso affetto: anche l'Eterno è una forma di domani. Ciò che preme al Rabbì è assicurare che l'Eterno non capiterà improvviso, inaspettato, lugubre; ma sarà la semplice conferma di ciò che l'uomo avrà scelto nel presente. Perché nessun gesto infrasettimanale - quelli che paiono banali, barbosi, barbini - è mai esente dalla possibilità di costruire il Cielo: "C'è qualcosa di saggio che dobbiamo imparare. Ci sono pezzi di un mistero, come parti di un mosaico, che andiamo incontrando. Noi vogliamo vedere troppo in fretta il tutto e Dio invece si fa vedere piano piano. Anche la Chiesa deve imparare questa attesa" (Papa Francesco). Ch'è poi lo scandalo più ambizioso della storia del Cristo: nella storia più banale - sin quasi ad apparire inutile agli occhi di qualcuno - scorre la storia più fondamentale, quella della salvezza. Della salvezza o della perdizione. Per la seconda basta Lucifero, per la prima non servono supereroi: basta un pugno di gente che abbia il coraggio di affrontare la vita confidando nella presenza di Dio. Gente capace di lasciarsi ridere in faccia perché convinta di coniugare il futuro della speranza con il tempo presente della propria storia. Una sgrammaticatura celeste. Un anticipo di fortuna.
Un anno fa', il 27 febbraio 2013, Benedetto XVI ha guidato la sua ultima Udienza Generale del Mercoledì.
Poi il silenzio: promesso, orante, prezioso. Un anno in cui su quelle dimisisoni s'è scritto tanto, troppo, persino a vanvera. Qualche penna sembra aver fatto di esse la sua ossessione: a scavare, a grattare, a dare di sospetti. Come se le loro ricostruzioni giovassero alla santità della Chiesa.
Di quel gesto a me bastò l'amabile confidenza di Benedetto. Umile, scarna, celeste: "Ho chiesto a Dio con insistenza nella preghiera di illuminarmi con la sua luce per farmi prendere la decisione più giusta non per il mio bene ma per il bene della Chiesa (...) Amare la Chiesa significa anche avere il coraggio di fare scelte difficili, sofferte avendo sempre davanti il bene della Chiesa e non di se stessi. Non abbandono la Croce ma resto in un modo nuovo presso il Santo Crocifisso"
(Benedetto XVI, 27 febbraio 2013).
23 Febbraio: VII Domenica del Tempo Ordinario
Commento al Vangelo della VII Domenica del Tempo Ordinario
Mt 5, 38 - 48 Anno A
Nell'antico Israele, come riporta la prima lettura (Levitico 19), era già raccomandato l'amore del prossimo; ma il concetto di "prossimo" riguardava soltanto i connazionali: "Non coverai nel tuo cuore odio contro il tuo fratello. Non ti vendicherai e non serberai rancore contro i figli del tuo popolo". Con Gesù le cose sono cambiate, come attesta sull'argomento il vangelo di oggi (Matteo 5,38-48), che espone due tratti essenziali della rivoluzione cristiana nei rapporti sociali.
Continuando a spiegare qual è il senso profondo, il pieno compimento, dei precetti presenti già nell'Antico Testamento, Gesù invita a superare la cosiddetta legge del taglione ("Occhio per occhio, dente per dente") e comanda: niente vendetta, mai violenza, neppure verso chi ci fa del male. Dice anzi, "Amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano", per essere davvero figli del Padre celeste e dunque prendere lui a modello di comportamento. Niente violenza, amore verso tutti: una vera rivoluzione, che pur essendo lontana dall'essere pienamente attuata già ha reso questo mondo, pur con tutte le sue brutture, certamente migliore di quello di duemila anni fa. Lo dimostra, quanto meno, un fatto: mentre un tempo l'oppressione, la prevaricazione, lo sfruttamento, insomma la violenza del più forte sul più debole era considerata normale, oggi gli stati civili l'hanno abolita nella loro legislazione, e quando avviene suscita in tutti almeno un sussulto di coscienza e la formale riprovazione.
La ragione profonda di questi insegnamenti di Gesù sta nel suo richiamo alla dignità dell'uomo, che Dio ha adottato come figlio. Nella seconda lettura (1Corinzi 3,16-23) Paolo lo ribadisce con forza: "Non sapete che siete tempio di Dio, che lo Spirito di Dio abita in voi? Se uno distrugge il tempio di Dio, Dio distruggerà lui, perché santo è il tempio di Dio, che siete voi". E ancora, alla fine del brano: "Tutto è vostro! Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio".
Tempio di Dio! Gli ascoltatori di Gesù conoscevano un unico tempio, quello di Gerusalemme, centro della loro vita, orgoglio della nazione, luogo della misteriosa ma reale presenza di Dio in mezzo al suo popolo: un luogo santissimo, in cui non era ammesso nulla e nessuno che lo profanasse. Oggi, anche a motivo delle parole di Paolo, per i cristiani la concezione del tempio è cambiata; più che dimora di Dio, esso è la casa dove i fedeli si radunano per celebrarlo. La Chiesa che Gesù ha fondato non è certo un edificio di pietra, ma l'insieme dei suoi fedeli; solo in seguito il termine è passato a designare anche gli edifici dove di solito i componenti della Chiesa si riuniscono. Dunque le chiese sono fatte per gli uomini; quanto alla dimora di Dio, più che tra quattro muri Egli si compiace di abitare nell'uomo, nell'unica creatura che ha fatto a sua immagine e somiglianza, che ha reso capace di dialogare con lui e accogliere i suoi doni; l'unica creatura autorizzata a chiamarlo Padre.
Tutte le cure che istintivamente gli uomini dedicano ai templi di pietra non devono prevalere su quelle del tempio vero, fatto di corpo e anima, di intelligenza e di cuore. Se Dio abita nell'uomo, all'uomo è conferita una dignità incomparabile, che a nessuno è concesso di calpestare: non allo stato, ad esempio praticando la tortura, privando i cittadini della libertà, tollerando situazioni di ingiustizia; non ai singoli, adottando comportamenti con cui di fatto non riconoscono nei propri simili quella dignità: sarà lecito tutelare il proprio buon diritto, ma mai offendendo, imbrogliando, sfruttando il prossimo, e neppure trascurando le sue difficoltà, quando si è in grado di alleviarle. E neppure la dignità propria sarà lecito calpestare: non importa se in pubblico o in privato, la coscienza di essere tempio di Dio impedisce di svilirsi con pensieri e azioni che persino a un padre terreno ci si vergognerebbe di manifestare.
16 Febbraio: VI Domenica del Tempo Ordinario
Commento al Vangelo della VI Domenica del Tempo Ordinario
Mt 5, 17-37 Anno A
Sulle labbra di Gesù il "Discorso della montagna" è un invito alla conversione, alla vita vera, alla beatitudine, alla felicità del cuore; gli insegnamenti di Gesù sono sorgente di un continuo rinnovamento spirituale e umano. "Se osserverai i comandamenti, essi ti custodiranno; se hai fiducia in Dio, anche tu vivrai", si dice nel testo del Saracide. La vita non è mortificata dai comandamenti di Dio, ma in essi ha la possibilità di realizzarsi pienamente, nella maniera più profonda. Così Gesù non abolisce ciò che è stato indicato nell'Antico Testamento, ma porta a compimento, cioè vive in sé e insegna a tutti il vero senso della vita, il rapporto con Dio, con gli altri, con se stessi, con la creazione. La Parola di Dio dura in eterno. A volte si tratta anche di correggere interpretazioni umane o applicazioni terrene della Parola di Dio. Gesù è il compimento della Parola e del progetto di salvezza di Dio Padre. E' importante anche per noi accogliere le indicazioni di vita del Signore e insegnarle a tanti altri. Questo è un cammino di vita vera. Fra gli esempi che Gesù riporta in questa parte del Discorso della Montagna ci sono i comandamenti: "Non uccidere, non commettere adulterio, non giurare il falso".Sono importanti anche per noi oggi.
"Non uccidere". Dio è il Dio della vita e quando c'è la morte, Lui ci prepara una vita talmente grande che non riusciamo neanche a immaginare. La vita è la realtà che tutti sentiamo profondamente, è l'unica cosa che abbiamo. La vita va accolta, protetta, cresciuta, difesa, promossa a tutti i livelli. Non è lecito eliminarla. Non si può uccidere, distruggere, eliminare, profanare la vita. Quando questo avviene siamo davanti al peccato, al guaio più grande. Molte volte la vita viene eliminata: nelle guerre, nelle violenze, nelle tragedie familiari, nello sciupio delle energie quando ci si lascia andare a vizi. Con un aggravante: che la violenza entra a far parte della mentalità comune e si finisce per lasciarsi andare alla rassegnazione o al mal esempio.
Gesù ci dice: Non solo non uccidere, ma ama il prossimo e la sua vita. Anche nelle piccole cose. Ama il prossimo e dà la tua vita per la vita del prossimo. E se uno ama, si sacrifica, dà se stesso per un altro, sinceramente, non si permetterà mai di fare del male. Possiamo pensare a tanti esempi di questo amore vissuto e testimoniato. Quanto amore alla vita viene portato avanti da tanti!
Gesù dice: "Non commettere adulterio". Insegna e sostiene, con la sua grazia, l'amore fedele, sincero, costante, "per sempre". Certo si possono incontrare difficoltà, tentazioni, momenti di crisi. Occorre avere attenzione a tante suggestioni o pensieri che portano all'adulterio del cuore. Gesù ci vuol dare la forza di essere decisi nelle tentazioni, certo non andarle a cercare, a tagliare con decisione quelle cose che fanno male a noi e agli altri. Per questo preghiamo e ci impegniamo per la fedeltà degli sposi, per l'unità della famiglia. E dove ci sono delle famiglie ferite ci sarà tutto il nostro amore perché ci sia sempre l'esperienza dell'amore di Dio, del suo perdono, della sua forza, della sua gioia. Gesù dice: "Non giurare il falso". E' l'invito alla sincerità, alla trasparenza, all'amore della verità in sé, per gli altri, davanti a Dio, in una coscienza che cerca di essere retta. Beato chi cammina nella legge del Signore!
9 Febbraio 2014: V Domenica del Tempo Ordinario
Commento al Vangelo della V Domenica del Tempo Ordinario
Mt 5, 13 - 16 Anno A
Gesù ha appena finito di proclamare il vertice del suo messaggio, le beatitudini, e aggiunge, rivolto ai suoi discepoli e a noi: se vivete questo, voi siete «sale e luce della terra».
Una affermazione che ci sorprende: che Dio sia luce del mondo lo abbiamo sentito, il Vangelo di Giovanni l'ha ripetuto, ci crediamo; ma sentire - e credere - che anche l'uomo è luce, che lo siamo anch'io e tu, con tutti i nostri limiti e le nostre ombre, questo è sorprendente.
E non si tratta di una esortazione di Gesù: siate, sforzatevi di diventare luce, ma: sappiate che lo siete già. La candela non deve sforzarsi, se è accesa, di far luce, è la sua natura, così voi. La luce è il dono naturale del discepolo ha respirato Dio. Incredibile la stima, la fiducia negli uomini che Gesù comunica, la speranza che ripone in noi. E ci incoraggia a prenderne coscienza: non fermarti alla superficie di te stesso, al ruvido dell'argilla, cerca in profondità, verso la cella segreta del cuore, scendi nel tuo centro e là troverai una lucerna accesa, una manciata di sale. Voi che vivete secondo il Vangelo siete «una manciata di luce gettata in faccia al mondo» (Gigi Verdi). E lo siete non con la dottrina o le parole, ma con le opere: risplenda la vostra luce nelle vostre opere buone .
Tu puoi compiere opere di luce! E sono quelle dei miti, dei puri, dei giusti, dei poveri, le opere alternative alle scelte del mondo, la differenza evangelica offerta alla fioritura della vita. Quando tu segui come unica regola di vita l'amore, allora sei Luce e Sale per chi ti incontra. Quando due sulla terra si amano diventano luce nel buio, lampada ai passi di molti. In qualsiasi luogo dove ci si vuol bene viene sparso il sale che dà sapore buono alla vita.
Isaia suggerisce la strada perché la luce sia posta sul candelabro e non sotto il moggio. Ed è tutto un incalzare di verbi: Spezza il tuo pane, Introduci in casa lo straniero, vesti chi è nudo, non distogliere gli occhi dalla tua gente. Allora la tua luce sorgerà come l'aurora, la tua ferita si rimarginerà in fretta.
Illumina altri e ti illuminerai, guarisci altri e guarirai. Non restare curvo sulle tue storie e sulle tue sconfitte, ma occupati della terra, della città dell'altro, altrimenti non diventerai mai un uomo o una donna radiosi. Chi guarda solo a se stesso non si illumina mai.
Allora sarai lucerna sul lucerniere, ma secondo le modalità proprie della luce, che non fa rumore e non violenta le cose. Le accarezza e fa emergere il bello che è in loro. Così «noi del Vangelo» siamo gente che ogni giorno accarezza la vita e ne rivela la bellezza nascosta.