9 Febbraio 2014: V Domenica del Tempo Ordinario
Commento al Vangelo della V Domenica del Tempo Ordinario
Mt 5, 13 - 16 Anno A
Gesù ha appena finito di proclamare il vertice del suo messaggio, le beatitudini, e aggiunge, rivolto ai suoi discepoli e a noi: se vivete questo, voi siete «sale e luce della terra».
Una affermazione che ci sorprende: che Dio sia luce del mondo lo abbiamo sentito, il Vangelo di Giovanni l'ha ripetuto, ci crediamo; ma sentire - e credere - che anche l'uomo è luce, che lo siamo anch'io e tu, con tutti i nostri limiti e le nostre ombre, questo è sorprendente.
E non si tratta di una esortazione di Gesù: siate, sforzatevi di diventare luce, ma: sappiate che lo siete già. La candela non deve sforzarsi, se è accesa, di far luce, è la sua natura, così voi. La luce è il dono naturale del discepolo ha respirato Dio. Incredibile la stima, la fiducia negli uomini che Gesù comunica, la speranza che ripone in noi. E ci incoraggia a prenderne coscienza: non fermarti alla superficie di te stesso, al ruvido dell'argilla, cerca in profondità, verso la cella segreta del cuore, scendi nel tuo centro e là troverai una lucerna accesa, una manciata di sale. Voi che vivete secondo il Vangelo siete «una manciata di luce gettata in faccia al mondo» (Gigi Verdi). E lo siete non con la dottrina o le parole, ma con le opere: risplenda la vostra luce nelle vostre opere buone .
Tu puoi compiere opere di luce! E sono quelle dei miti, dei puri, dei giusti, dei poveri, le opere alternative alle scelte del mondo, la differenza evangelica offerta alla fioritura della vita. Quando tu segui come unica regola di vita l'amore, allora sei Luce e Sale per chi ti incontra. Quando due sulla terra si amano diventano luce nel buio, lampada ai passi di molti. In qualsiasi luogo dove ci si vuol bene viene sparso il sale che dà sapore buono alla vita.
Isaia suggerisce la strada perché la luce sia posta sul candelabro e non sotto il moggio. Ed è tutto un incalzare di verbi: Spezza il tuo pane, Introduci in casa lo straniero, vesti chi è nudo, non distogliere gli occhi dalla tua gente. Allora la tua luce sorgerà come l'aurora, la tua ferita si rimarginerà in fretta.
Illumina altri e ti illuminerai, guarisci altri e guarirai. Non restare curvo sulle tue storie e sulle tue sconfitte, ma occupati della terra, della città dell'altro, altrimenti non diventerai mai un uomo o una donna radiosi. Chi guarda solo a se stesso non si illumina mai.
Allora sarai lucerna sul lucerniere, ma secondo le modalità proprie della luce, che non fa rumore e non violenta le cose. Le accarezza e fa emergere il bello che è in loro. Così «noi del Vangelo» siamo gente che ogni giorno accarezza la vita e ne rivela la bellezza nascosta.
2 Febbraio 2014: Presentazione del Signore al Tempio
Commento al Vangelo nella
Domenica della Presentazione del Signore al Tempio
Lc 2, 22 - 40
Maria e Giuseppe portano Gesù al tempio per presentarlo al Signore, ma non fanno nemmeno in tempo a entrare che subito le braccia di un uomo e di una donna se lo contendono: Gesù non appartiene al tempio, egli appartiene all'uomo. È nostro, di tutti gli uomini e le donne assetati, di quelli che non smettono di cercare e sognare mai, come Simeone; di quelli che sanno vedere oltre, come Anna, e incantarsi davanti a un neonato, perché sentono Dio come futuro. Gesù non è accolto dai sacerdoti, ma da un anziano e un'anziana senza ruolo, due innamorati di Dio che hanno occhi velati dalla vecchiaia ma ancora accesi dal desiderio. È la vecchiaia del mondo che accoglie fra le sue braccia l'eterna giovinezza di Dio.
Lo Spirito aveva rivelato a Simeone che non avrebbe visto la morte senza aver prima veduto il Messia. Parole che lo Spirito ha conservato nella Bibbia perché io le conservassi nel cuore: tu non morirai senza aver visto il Signore. La tua vita non si spegnerà senza risposte, senza incontri, senza luce. Verrà anche per me il Signore, verrà come aiuto in ciò che fa soffrire, come forza di ciò che fa partire. Io non morirò senza aver visto l'offensiva di Dio, l'offensiva del bene, già in atto, di un Dio all'opera tra noi, lievito nel nostro pane.
Simeone aspettava la consolazione di Israele. Lui sapeva aspettare, come chi ha speranza. Come lui il cristiano è il contrario di chi non si aspetta più niente, ma crede tenacemente che qualcosa può accadere. Se aspetti, gli occhi si fanno attenti, penetranti, vigili e vedono: ho visto la luce preparata per i popoli. Ma quale luce emana da questo piccolo figlio della terra? La luce è Gesù, luce incarnata, carne illuminata, storia fecondata. La salvezza non è un opera particolare, ma Dio che è venuto, si lascia abbracciare dall'uomo, mescola la sua vita alle nostre. E a quella di tutti i popoli, di tutte le genti... la salvezza non è un fatto individuale, che riguarda solo la mia vita: o ci salveremo tutti insieme o periremo tutti.
Simeone dice poi tre parole immense a Maria, e che sono per noi: egli è qui come caduta e risurrezione, come segno di contraddizione.
Cristo come caduta e contraddizione. Caduta dei nostri piccoli o grandi idoli, che fa cadere in rovina il nostro mondo di maschere e bugie, che contraddice la quieta mediocrità, il disamore e le idee false di Dio.
Cristo come risurrezione: forza che mi ha fatto ripartire quando avevo il vuoto dentro e il nero davanti agli occhi. Risurrezione della nobiltà che è in ogni uomo, anche il più perduto e disperato.
Caduta, risurrezione contraddizione. Tre parole che danno respiro alla vita, aprono brecce. Gesù ha il luminoso potere di far vedere che le cose sono abitate da un «oltre».
26 Gennaio 2014:III Domenica del Tempo Ordinario
Commento al Vangelo della III Domenica del Tempo Ordinario
Mt 4, 12 - 23 Anno A
Giovanni il Battista è stato appena arrestato, è accaduto qualcosa di minaccioso che, anziché impaurire e rendere prudente Gesù, lo fa uscire allo scoperto, a dare il cambio a Giovanni. Abbandona famiglia, casa, lavoro, lascia Nazaret per Cafarnao, non porta niente con sé, solo un annuncio. Che riparte da là dove Giovanni si era fermato: convertitevi perché il regno dei cieli è vicino. Sono le parole inaugurali del Vangelo, generative di tutto il resto.
Convertitevi. Noi interpretiamo come «pentitevi», mentre è l'invito a rivoluzionare la vita: cambiate logica, spostatevi, non vedete dove vi porta questa strada? È l'offerta di un'opportunità: venite con me, di qua il cielo è più azzurro, il sole più caldo, le persone sono più sane, la vita più vera.
E subito aggiunge il motivo, il perché della conversione: il regno si è fatto vicino. Che cos'è il regno dei cieli, o di Dio? È la vita che fiorisce in tutte le sue forme, un'offerta di solarità. Il regno è di Dio, ma è per gli uomini, per una nuova architettura del mondo e dei rapporti umani, per una terra come Dio la sogna.
Questo regno si è fatto vicino. È come se Gesù dicesse: tenete gli occhi bene aperti perché è successo qualcosa di importantissimo: Giratevi verso la luce, perché la luce è già qui. Dio è qui, come una forza che circola ormai, che non sta ferma, come un lievito, un seme, un fermento.
Il Vangelo termina con la chiamata dei quattro pescatori e la promessa: vi farò pescatori di uomini.
Con che cosa, con quale rete pescheranno gli uomini?
Ascolta, qualcuno ha una cosa bellissima da dirti, così bella che appare incredibile, così affascinante che i pescatori ne sono sedotti, abbandonano tutto, come chi trova un tesoro. La notizia bellissima è questa: la felicità è possibile e vicina. E il Vangelo ne possiede la chiave. E la chiave è questa: la nostra tristezza infinita si cura soltanto con un infinito amore (Evangelii Gaudium).
Il Vangelo è la chiave: è possibile vivere meglio, per tutti, perché la sua parola risponde alle necessità più profonde delle persone. Perché quando è narrato adeguatamente e con bellezza sicuramente il Vangelo risponde ai bisogni più profondi dei cuori e mette a disposizione un tesoro di vita e di amore, che non inganna, che non delude.
La conclusione del brano di oggi è una sintesi affascinante della vita di Gesù. Camminava e annunciava la buona novella, camminava e guariva la vita.
Gesù cammina verso di noi, gente delle strade, incontro a noi, gente dalla vita ordinaria e mostra con ogni suo gesto che Dio è qui, con amore.
E questa è l'unica cosa che guarisce la vita. Questo sarà anche il mio annuncio, a ciascuno: Dio è con te, con amore.
19 Gennaio 2014: II Domenica del Tempo Ordinario
Commento al Vangelo della II Domenica del Tempo Ordinario
Gv 1, 29-34 Anno A
La seconda domenica del tempo ordinario ci offre nuovamente come spunto di meditazione e riflessione la figura di Giovanni il Battista. Potremmo dire che tutto il tempo di Avvento, del Natale e queste prime domeniche del nuovo il protagonista principale del Vangelo è Giovanni il Battista. Egli è il testimone diretto, immediato e credibile della presenza del Messia e salvatore del mondo in mezzo al suo popolo. Nel brano del Vangelo di questa domenica, infatti, Giovanni Battista indica in Gesù l'unico salvatore del mondo, senza confusioni di ruolo e di missione. Egli è semplicemente colui che indica Gesù Cristo come il vero centro di tutta la storia e della salvezza. Anche i termini utilizzati in questo brano del Vangelo di Giovanni precisano appunto la vera natura del Cristo e della sua missione nel mondo: Agnello di Dio, il Figlio di Dio.
In tal modo, Giovanni il Battista diventa l'anello di congiunzione tra il popolo e Cristo e attraverso la sua parola e la sua voce il popolo stesso riconoscerà in Gesù Cristo il salvatore. Come dire che ogni persona in base alla sua profonda fede, diventa uno strumento docile e flessibile nelle mani di Dio, per annunciare al mondo le meraviglie che il Signore ha compiuto nella creazione e specialmente nel mistero della redenzione. Essere strumenti di annuncio di speranza e di gioia è il compito che spetta ad ogni cristiano, come ci ripete sistematicamente Papa Francesco nei suoi molteplici interventi magisteriali.
La missione di Cristo nel mondo è ben delineata dal profeta Isaia che si concentra nel suo rivelazione sulla figura del Messia e del Servo di Dio, che è Gesù. Il testo della prima lettura di questa domenica ci aiuta alla comprensione della natura divina del Cristo e della sua importante missione nel popolo di Israele.
La dimensione apostolica della fede ci obbliga moralmente ad annunciare Cristo, a farlo conoscere e amarlo, perché al di fuori di Cristo non c'è vera salvezza per l'uomo. E' un dovere di tutti i battezzati annunciare con la gioia il gaudio del vangelo, la buona notizia del Regno e dire che solo Cristo è il Salvatore e non dobbiamo attendere altri salvatori se non Gesù solo. Entra in gioco quello che è una priorità assoluta per ogni battezzato e cresimato, quella della testimonianza della fede in Gesù Cristo, il Figlio di Dio, l'Agnello immolato per la nostra salvezza. Abbiamo il coraggio come Giovanni Battista di dire apertamente chi è il Cristo? O come l'Apostolo Paolo che dopo la conversione si fa pone al servizio del Vangelo nella piena consapevolezza della sua grandezza e della sua povertà? Leggiamo, infatti, oggi, nel brano della seconda lettura di oggi, tratto dalla a prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi, parole autobiografiche di San Paolo, che è "chiamato a essere apostolo di Cristo Gesù per volontà di Dio, e il fratello Sòstene"- Lui per la missione che gli compete si rivolge, in questa lettera, "alla Chiesa di Dio che è a Corinto, a coloro che sono stati santificati in Cristo Gesù, santi per chiamata, insieme a tutti quelli che in ogni luogo invocano il nome del Signore nostro Gesù Cristo, Signore nostro e loro". Si rivolge a loro con il saluto fraterno inserito nella celebrazione dei divini misteri: "Grazia a voi e pace da Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo!.
Cristo è venuto a portare pace all'umanità e nel nome di questo consacrato di Dio che ogni cristiano, discepolo di così grande maestro è chiamato a vivere in pace e a costruire la pace, anche se la pace non è sempre possibile e perseguibile. La buona volontà e la retta intenzione aiutano il cammino e il processo di avvicinamento a Dio, specie quando sono intere famiglie con il loro sistema di vita, non hanno più bisogno di nessuno e tantomeno dell'idea di Dio.
Come non ricordare e citare l'Esortazione apostolica di Papa Francesco, Evangelii gaudium, nella quale mette in evidenza l'importanza dell'annunzio missionario nei tempi e nei modi più consoni al mondo odierno.
Esempio di questo annuncio lieto, gioioso, coraggioso, fino al martirio, senza compromesso alcuno è proprio il Precursore del Signore.
Nel ricordare la figura di San Giovanni Battista, nel giorno della sua solennità, il 24 giugno scorso, Papa Francesco ha detto che una Chiesa ispirata alla figura di Giovanni il Battista esiste per proclamare, per essere voce di una parola, del suo sposo che è la parola e per proclamare questa parola fino al martirio.
Chi è Giovanni. E' egli stesso a dirlo. Egli, infatti quando «gli scribi, i farisei, vanno a chiedergli di spiegare meglio chi fosse», risponde chiaramente: «Io non sono il Messia. Io sono una voce, una voce nel deserto». Di conseguenza la prima cosa che si capisce è che «il deserto» sono i suoi interlocutori; gente con «un cuore così, senza niente». Mentre lui è «la voce, una voce senza parola, perché la parola non è lui, è un altro. Lui è quello che parla, ma non dice; quello che predica su un altro che verrà dopo».
In tutto questo c'è «il mistero di Giovanni» che «mai si impadronisce della parola; la parola è un altro. E Giovanni è quello che indica, quello che insegna», utilizzando i termini «dietro di me... io non sono quello che voi pensate; ecco viene dopo di me uno al quale io non sono degno di allacciare i sandali». Dunque «la parola non c'è», c'è invece «una voce che indica un altro». Tutto il senso della sua vita «è indicare un altro. Nelle tenebre di quel tempo Giovanni era l'uomo della luce: non una luce propria, ma una luce riflessa. Come una luna. E quando Gesù cominciò a predicare», la luce di Giovanni iniziò ad affievolirsi, «a diminuire, ad andare giù». Egli stesso lo dice chiaramente parlando della propria missione: «È necessario che lui cresca e io venga meno». Quindi: «Voce, non parola; luce, ma non propria, Giovanni sembra essere niente». Ecco svelata "la vocazione" del Battista: «Annientarsi. E quando noi contempliamo la vita di quest'uomo tanto grande, tanto potente - tutti credevano che fosse il Messia - quando contempliamo come questa vita si annienta fino al buio di un carcere, contempliamo un mistero» enorme. Infatti, «noi non sappiamo come sono stati» i suoi ultimi giorni. È noto solo che è stato ucciso e che la sua testa è finita «su un vassoio come grande regalo da una ballerina a un'adultera. Credo che più di così non si possa andare giù, annientarsi». Il Battista poteva vantarsi, sentirsi importante, ma non lo ha fatto: egli «indicava soltanto, si sentiva voce e non parola». Questo è «il segreto di Giovanni». Egli «non ha voluto essere un ideologo». È stato un «uomo che si è negato a se stesso, perché la parola» crescesse. Ecco allora l'attualità del suo insegnamento: «Noi come Chiesa possiamo chiedere oggi la grazia di non diventare una Chiesa ideologizzata», per essere invece una «Chiesa che ascolta religiosamente la parola di Gesù e la proclama con coraggio»; «una Chiesa sempre al servizio della Parola; una Chiesa che mai prenda niente per se stessa».
Sia questa la nostra umile preghiera che innalziamo all'inizio della celebrazione della santa messa: O Padre, che in Cristo, agnello pasquale e luce delle genti, chiami tutti gli uomini formare il popolo della nuova alleanza, conferma in noi la grazia del battesimo con la forza del tuo Spirito, perché tutta la nostra vita proclami il lieto annunzio del Vangelo". Amen.