26 Aprile 2015: IV Domenica di Pasqua
IV Domenica di Pasqua - Anno B
(Letture: Atti 4,8-12; Salmo 117; 1 Giovanni 3,1-2; Giovanni 19,11-18)
In quel tempo, Gesù disse: «Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore. Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore.
Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».
Pastore buono: è il titolo più disarmato e disarmante che Gesù abbia dato a se stesso. Eppure questa immagine non ha in sé nulla di debole o remissivo: è il pastore forte che si erge contro i lupi, che ha il coraggio di non fuggire; il pastore bello nel suo impeto generoso; il pastore vero che si frappone fra ciò che dà la vita e ciò che procura morte al suo gregge.
Il pastore buono che nella visione del profeta «porta gli agnellini sul seno e conduce pian piano le pecore madri» (Isaia 40,11), evoca anche una dimensione tenera e materna che, unita alla fortezza, compone quella che papa Francesco chiama con un magnifico ossimoro, una «combattiva tenerezza» (Evangelii gaudium 88).
Che cosa ha rivelato Gesù ai suoi? Non una dottrina, ma il racconto della tenerezza ostinata e mai arresa di Dio. Nel fazzoletto di terra che abitiamo, anche noi siamo chiamati a diventare il racconto della tenerezza di Dio. Della sua combattiva tenerezza.
Qual è il comportamento, il gesto che caratterizza questo pastore secondo il cuore di Dio? Il Vangelo di oggi lo sottolinea per cinque volte, racchiudendolo in queste parole: il pastore dà la vita. Qui affiora il filo d'oro che lega insieme tutta intera l'opera ininterrotta di Dio nei confronti di ogni creatura: il suo lavoro è da sempre e per sempre trasmettere vita, «far vivere e santificare l'universo» (Prece eucaristica III).
Dare la vita non è, innanzitutto o solamente, morire sulla croce, perché se il Pastore muore le pecore sono abbandonate e il lupo rapisce, uccide, vince.
Dare la vita è l'opera generativa di Dio, un Dio inteso al modo delle madri, uno che nel suo intimo non è autoreferenzialità, ma generazione..
Un Dio compreso nel senso della vite che dà linfa ai tralci; del seno di donna che offre vita al piccolo; dell'acqua che dà vita alla steppa arida. Io offro la mia vita significa: vi offro una energia di nascita dall'alto; offro germi di divinità, per farvi simili a me (noi saremo simili a lui, 1 Gv 3,2 nella II Lettura).
Solo con un supplemento di vita, la sua, potremo battere coloro che amano la morte, i tanti lupi di oggi.
Perché anche noi, discepoli che vogliono, come lui, sperare ed edificare, dare vita e liberare, siamo chiamati ad assumere il ruolo di "pastore buono", cioè forte e bello, combattivo e tenero, del gregge che ci è consegnato: la famiglia, gli amici, quanti contano su di noi e di noi si fidano.
"Dare vita" significa contagiare di amore, libertà e coraggio chi avvicini, di vitalità ed energia chi incontri. Significa trasmettere le cose che ti fanno vivere, che fanno lieta, generosa e forte la tua vita, bella la tua fede, contagiosi i motivi della tua gioia.
19 Aprile 2015: III Domenica di Pasqua
III Domenica di Pasqua
Anno B
(Letture: Atti 3,13-15.17-19; Salmo 4; 1 Giovanni 2,1-5; Luca 24, 35-48)
In quel tempo, [i due discepoli che erano ritornati da Èmmaus] narravano [agli Undici e a quelli che erano con loro] ciò che era accaduto lungo la via e come avevano riconosciuto [Gesù] nello spezzare il pane. Mentre essi parlavano di queste cose, Gesù in persona stette in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». Sconvolti e pieni di paura, credevano di vedere un fantasma. Ma egli disse loro: «Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa, come vedete che io ho» (...). Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture e disse loro: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme(...)».
Lo conoscevano bene, dopo tre anni di strade, di olivi, di pesci, di villaggi, di occhi negli occhi, eppure non lo riconoscono.
Gesù è lo stesso ed è diverso, è il medesimo ed è trasformato, è quello di prima ed è altro. Perché la Risurrezione non è semplicemente un ritornare alla vita di prima: è andare avanti, è trasfigurazione, è acquisire un di più. Energia in movimento che Gesù non tiene per sé, ma che estende all'intera creazione, tutta presa, e da noi compresa, dentro il suo risorgere e trascinata in alto verso più luminose forme.
Pace, è la prima parola del Risorto. E la ripete ad ogni incontro: entro in chiesa, apro il Vangelo, scendo nel silenzio del cuore, spezzo il pane con l'affamato. Sono molte le strade che l'Incamminato percorre, ma ogni volta, sempre, ad ogni incontro ci accoglie come un amico sorridente, a braccia aperte, con parole che offrono benessere, pace, pienezza, armonia. Credere in lui fa bene alla vita. Vuole contagiarci di luce e contaminarci di pace.
Lui sa bene che sono gli incontri che cambiano la vita degli esseri umani. Infatti viene dai suoi, maestro di incontri, con la sua pedagogia regale che non prevede richieste o ingiunzioni, ma comunione. Viene e condivide pane, sguardi, amicizia, parola, pace.
Il ruolo dei discepoli è non difendersi, non vergognarsi, ma ridestare dal sonno dell'abitudine mani, occhi, orecchie, bocca: toccate, guardate, mangiamo insieme. Aprirsi con tutti «i sensi divine tastiere» (Turoldo), strumenti di una musica suonata da Dio.
«Toccatemi, guardate». Ma come toccarlo oggi, dove vederlo? Lui è nel grido vittorioso del bambino che nasce e nell'ultimo respiro del morente, che raccoglie con un bacio. È nella gioia improvvisa dentro una preghiera fatta di abitudini, nello stupore davanti all'alleluja pasquale del primo ciliegio in fiore. Quando in me riprende a scorrere amore; quando tocco, con emozione e venerazione, le piaghe della terra: «ecco io carezzo la vita perché profuma di Te» (Rumi)...
«Non sono un fantasma» è il lamento di Gesù, e vi risuona il desiderio di essere abbracciato forte come un amico che torna da lontano, di essere stretto con lo slancio di chi ti vuole bene. Non si ama un fantasma.
«Mangiamo insieme». Questo piccolo segno del pesce arrostito, gli apostoli lo daranno come prova decisiva: abbiamo mangiato con lui dopo la sua risurrezione (At 10,41). Perché mangiare è il segno della vita; mangiare insieme è il segno più eloquente di una comunione ritrovata, il gesto che lega, custodisce e accresce le vite. Il cibo è una realtà santa. Santa perché fa vivere. E che l'uomo viva è la prima di tutte le leggi, della legge di Dio e delle leggi umane.
12 Aprile 2015: II Domenica di Pasqua
II Domenica di Pasqua Divina Misericordia - Anno B
(Letture: Atti 4,32-35; Salmo 117; 1 Giovanni 5,1-6; Giovanni 20,19-31)
La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati». Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo» (...).
I discepoli erano chiusi in casa per paura dei Giudei. La paura è la paralisi della vita. Ciò che apre il futuro e fa ripartire la vita sono invece gli incontri. Gesù lo sa bene. I suoi sono scappati tutti, l'hanno abbandonato: che cosa di meno affidabile di quel gruppetto allo sbando? E tuttavia Gesù viene. È una comunità dove non si può stare bene, porte e finestre sbarrate, dove manca l'aria e si respira dolore. Una comunità chiusa, ripiegata su se stessa, che non si apre, che si sta ammalando. E tuttavia Gesù viene. E non al di sopra, non a distanza, ma “viene e sta in mezzo a loro”. Non nell'io, non nel tu soltanto, lo Spirito abita nel cuore delle relazioni, è come il terzo tra i due, collante delle vite. Viene e sta in mezzo. Lui, il maestro dei maestri, ci insegna a gestire l'imperfezione delle vite. Il suo metodo non consiste nel riproporre l'ideale perfetto, nel sottolineare la nostra distanza dal progetto, ma nell'avviare processi: a chi sente i morsi della paura, porta in dono la pace; a chi non crede, offre un'altra occasione: guarda tocca metti il dito; a chi non ha accolto il soffio del vento dello Spirito, lui spalanca orizzonti. Il suo metodo umanissimo, che conforta la vita, sta nell'iniziare percorsi, nell'indicare il primo passo, perché un primo passo è possibile sempre, per tutti, da qualsiasi situazione. Il gruppo degli apostoli aveva tentato di coinvolgere Tommaso: abbiamo visto il Signore. Ma lui, che era il più libero di tutti, lui che aveva il coraggio di entrare e uscire da quella casa, non ci sta: io non mi accontento di parole. Se lui è vivo, come fate ad essere ancora qui rinchiusi, invece di uscire nel sole del mondo? Se lui è vivo, la nostra vita cambia! Ed ecco Gesù che entra, sta in mezzo, e dice: Pace a voi. Non un augurio, non una promessa, è molto di più, una affermazione: la pace è con voi, è qui, è iniziata; non è merito, è dono. Poi si rivolge a Tommaso: Metti qui il tuo dito. Gesù aveva educato Tommaso alla libertà interiore, a dissentire, l'aveva fatto coraggioso e grande in umanità. Per farlo ancora più grande, gli fa un piccolo rimprovero, ma dolcemente, come si fa con gli amici: non essere incredulo... Rispetta i suoi tempi, e invece di imporsi, si propone: Metti, guarda, tocca. La risurrezione non ha richiuso i fori dei chiodi, non ha rimarginato le labbra delle ferite. Perché la morte di croce non è un semplice incidente da superare: quelle ferite sono la gloria di Dio, il punto più alto dell'amore, la grande bellezza della storia. Su quel corpo l'amore ha scritto il suo racconto con l'alfabeto delle ferite, le uniche che non ingannano. Indelebili ormai come l'amore stesso.
5 Aprile 2015: Pasqua di Resurrezione
Resurrezione del Signore -Anno B
(Letture: Atti 10,34a.37-43; Salmo 117; Colossesi 3,1-4; Giovanni 20,1-9)
Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro. Corse allora e andò da Simon Pietro e dall'altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l'hanno posto!». Pietro allora uscì insieme all'altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l'altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò. Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte. Allora entrò anche l'altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette (...).
Una tomba, una casa, il primo sole, e la corsa di donne e uomini come una spola lucente a tessere vita. Per prima è Maria di Magdala ad uscire di casa quando è ancora notte, buio nel cielo e buio nel cuore. Non ha niente tra le mani, solo il suo amore che si ribella alla morte di Gesù: «amare è dire: tu non morirai!» (G. Marcel). Il suo amore, che intona un nuovo Cantico dei Cantici in quell'alba: «Mi alzerò...farò il giro delle strade: "avete visto l'amore dell'anima mia?"» (Cantico 3,1-3). E poi il giardino, la corsa e le lacrime, il nome pronunciato come solo chi ti ama sa fare.
Quell'uomo amato, che sapeva di cielo, che aveva spalancato per lei orizzonti infiniti, è ora chiuso in un buco nella roccia. Tutto finito. Ma allora perché si reca al sepolcro? «Perché si avvicinò alla tomba, pur essendo una donna, mentre ebbero paura gli uomini? Perché lei gli apparteneva e il suo cuore era presso di lui. Dove era lui, era anche il cuore di lei. Perciò non aveva paura» (Meister Eckhart).
E vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro. Il sepolcro è spalancato, aperto come il guscio di un seme, vuoto e risplendente, nel fresco dell'alba. E nel giardino è primavera.
Maria di Magdala corse allora e andò da Simon Pietro e dall'altro discepolo.
Anche su di loro era rotolato un masso che li stava schiacciando. Il dolore a unghiate graffiava il cuore. Ma loro erano rimasti insieme, ecco la forza, il gruppo non si era dissolto: qualcosa, molto di Gesù perdurava tra loro come collante delle vite. Insieme è molto di più della somma dei singoli: tu sei argine alle mie paure e riserva d'olio per la mia lampada, io sarò soffio di vento nelle tue vele e impulso per andare: uscirono allora, e correvano insieme tutti e due...
Arrivano e vedono: manca un corpo alla contabilità della morte, manca un ucciso ai registri della violenza: il loro bilancio è in perdita.
«Non è qui» dice un angelo alle donne. Che bella questa parola: «non è qui». Lui è, ma non qui. Lui è, ma va cercato fuori, altrove, è in giro per le strade, è il vivente, è un Dio da sorprendere nella vita. È dovunque, eccetto che fra le cose morte. Matura come un germoglio di luce nella notte, come un seme di fuoco nella storia.
Vi precede in Galilea (Mt 28,7): è il primo della lunga carovana, cammina davanti, ad aprire la nostra immensa migrazione verso la vita. Davanti, a ricevere in faccia il vento, l'ingiuria, la morte, il sole, senza arretrare di un passo mai.
E coloro che, come lui, non accettano che il mondo si perpetui così com'è, coloro che vogliono cieli nuovi e nuova terra, sanno che chi vive una vita come la sua ha in dono già la sua stessa vita indistruttibile.